Ora vi racconto cosa succede ad una donna che subisce un raschiamento.
Questo post va contro tutta l'atmosfera natalizia della blogsfera, ai frizzi e ai lazzi, alle lucine colorate e agli alberi di natale.
Quindi cambiate pagina se non siete predisposte, se non vi va di guardare in faccia il dolore, se siete in gravidanza e vi sentite male al pensiero che potrebbe capitare qualcosa.
Tranquille.
Capita solo alle persone come me.
Quelle che non si sono godute la gravidanza, come qualcuno mi ha scritto, quelle che
"almeno se succede qualcosa mi sono goduta il tempo che è stato con me".
Quindi io sono una cattiva mamma, perchè non ho avuto fiducia nel mio cavaliere, perchè non ho creduto in lui, perchè
"lui ti sente, non fare così".
Quindi alla fine è colpa pure mia se è finito tutto, perchè non ho predisposto la mia anima verso una visione positiva della questione.
C'avevo un'aurea spenta e zozza.
Quindi il sogno non è partito per questo.
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Non lo penso.
Faccio solo un breve riassunto delle cazzate che devi sentirti dire, nonostante tutto.
Dicevo, il raschiamento.
Che così abbiamo provato pure questa, e ora ho materiale per scrivere il mio libro di donna abortiva e posso far venire le lacrime ad un pò di gente e posso far aumentare le pacche sulle spalle e i
"mi dispiace", i
"non ho parole".
Lo so che sono caustica.
E mi faccio paura.
Ma un raschiamento è così.
E' un interruttore.
Hanno spento il tasto OFF venerdi mattina dentro di me. E l' ON non esiste più.
Un raschiamento è quanto di più innaturale possa esistere per una donna in gravidanza, anche se il bambino è morto dentro la propria pancia. Ma tu lo sai che c'è, lo senti. E senti la sua immobilità, senti il suo silenzio e il vuoto e il suo decrescere e il suo raggomitolarsi in se stesso.
Dopo non senti più niente.
A chi dice che un raschiamento è peggio di un'espulsione spontanea dico che è una cazzata.
Fisicamente ed emotivamente.
Almeno nei momenti gestazionali in cui io ho subìto i miei aborti.
Non sto dicendo che non si soffre: la sofferenza che si prova è una sofferenza a cui il corpo si deve abituare con il tempo in maniera graduale.
Al momento, il dolore non c'è. Io non ne ho avuto. E' stato tutto surreale.
Ci siamo alzati alle 5.30 per poter attraversare uno strato di ghiaccio sulla strada e nei nostri cuori. Siamo arrivati in ospedale alle 7.15. Nei corridoi le degenti dormivano, i corridoi erano spenti. Noi siamo in una stanza piccola, con il soffitto di 4 mt, una forte luce a neon, la finestra chiusa, un divano di pelle con i braccioli tagliati da un taglierino da cui fuoriesce la gommapiuma, sembrano ferite sanguinanti. Accanto un bagno, caldo, pulito. Davanti a noi una ragazza, sola, insonnolita. Alle 8.30 siamo ancora lì, il reparto si è svegliato, la stanzetta si è riempita di coppie, io ho compilato un foglio per la privacy e uno per autorizzare l'intervento.
Alle 8.45 la caposala inizia ad assegnare i letti e ci chiama per i prelievi. Noi ci avviciniamo e tremanti facciamo presente che abbiamo già tutti i prelievi compreso l'ecg, che già siamo daccordo con il dottore, che dobbiamo sbrigarci perchè alle 10.30 dobbiamo stare dall'altra parte della città per consegnare
nostro figlio ad un laboratorio di genetica.
Mi scuserete se lo chiamo ancora
nostro figlio ma
materiale abortivo proprio non mi viene.
Si scatena il putiferio.
Inavvertitamente facciamo scattare uno di quei meccanismi per cui la caposala si sente scavalcata dal dottore e le regole ospedaliere vengono cestinate e messe in un angolino. In un attimo ci sentiamo come due criminali che stanno per commettere un reato senza precedenti.
Io sto per crollare.
Sento che potrei farmi arrestare.
Sento che potrei fare qualcosa che non riuscirei a controllare.
Rientro tremante nella stanzetta affollata di coppie.
Mio marito rimane lì in corridoio e subisce le spalle della caposala che comincia a raccontare a chiunque arriva, l'accaduto.
Lo vedo umiliato e disorientato, ma io non posso intervenire. Continuo a tremare.
Arriva il nostro dottore, stringe la mano di Fabio e poi comincia a discutere con l'infermiera. Per me è tutto confuso. So solo che tremo, tremo, e mi ronzano le orecchie. Entra il dottore nella stanzetta, ci mette una mano sulla spalla e ci dice che non dobbiamo parlare con nessuno, che non c'è la convenzione con l'ospedale per fare il citogenetico e per questo dobbiamo agire così, di non preoccuparsi perchè è una prassi e che per la scienza e per casi come il nostro, si fa.
E che la caposala è una stronza.
Un'infermiera bionda e piccolina, più giovane di me, mi accompagna in medicheria. Compilo la scheda dell'anamnesi, firmo tanti moduli, faccio l'elenco delle analisi che ho, ho tutta la cartella della pma con me e ho tutte le analisi possibili, in doppia copia. Sono tutti meravigliati dalla mia efficienza e la mia lucidità. Parlo con un ginecologo che mi spiega cosa succederà da lì a poco e poi dopo, e poi tra un mese.
Ho l'impressione che dopo aver raccontato la mia storia i visi si siano forzatamente distesi, le pacche virtuali sulla spalla aumentino ad ogni mio passaggio, e ora, anche la caposala mi sorride. Quei sorrisi che ti stringono il cuore e dicono
"poverina".
Mi accompagnano in sala operatoria con la sedia a rotelle perchè sono scalza e ho dimenticato le pantofole. Lì mi fanno sedere su una sedia di ferro gelata. Il vestito è lo stesso identico della clinica in cui ho fatto il pick up,
mi ha seguito. Ho i capelli raccolti in una cuffietta verde e i piedi dentro scarpe di carta.
Accanto a me si siede una ragazzina che deve fare una laparoscopia per non so cosa ma che già una volta non c'è riuscita per via di una brutta reazione all'anestesia.
Io continuo a tremare.
L'anestetista è dolcissimo.
Mi compila un'altra scheda e poi mi mette l'ago per la flebo.
Il dottore si avvicina e dice :"questa piccolina qua ha una storia lunga da raccontare. Ha cinque aborti sulle sue spalle, due spalle grandi..." "...e una geu" aggiungo io. Ma le parole mi muoiono in gola. "hai paura?" "Tanta" "Non devi. Questa è una stupidaggine rispetto a quello che hai passato"
Ed io annuisco poco convinta.
Mi fanno entrare in sala operatoria, su quel lettino con le staffe.
Le modalità sono identiche a quelle del pick up. Mi ritrovo a specchiarmi sulla luce forte sopra al lettino, nella posizione in cui mi sento svilita in tutta la mia femminilità. Solo che ora mi sento morta insieme a mio figlio. Durante il pick up ero felice, dolorante ma piena di felicità.
Ricordo quando mi fecero la prima anestesia tredici anni fa, a quanto mi sembrò innaturale, a quanto vomitai dopo. Il dottore mi dice che la sera starò bene e che uscirò a cena fuori. E continua ad accarezzarmi il braccio. L'anestetista è alla mia destra, vedo la flebo attaccata a qualcosa che non so cosa sia. Mi dice che è tutto ok. Che sta arrivando il sonno. E' dolce. Mi avverte. Non come la stronza del pick up che non vedeva l'ora di finire il suo lavoro. La sento, sento forte arrivare quel veleno, veloce, dalle vene del braccio in mezzo secondo arriva alla gola.
"fai un respiro profondo"
Faccio una smorfia di dolore.
Sono gli ultimi istanti coscienti con il mio bambino.
Aumenta la musica, il ritmo cardiaco, il tumtum nelle orecchie, il tremolìo delle braccia legate al lettino operatorio.
Addio bambino mio.
Addio.
Il dopo è il vuoto.
Ecco cosa è un raschiamento.
Un istante prima c'è.
Dopo non più.
Mentre il tuo corpo crede ancora che c'è.
Ecco cosa è un raschiamento.
Costringere la tua mente a rendersi conto che non c'è più fisicamente, anche se il tuo cervello sta andando in tilt e si scontra con una realtà che non riconosce.
Ecco cosa è un raschiamento.
E' un prima e un dopo che ti costringe a fare i conti con un'esistenza beffarda, una pancia di nuovo vuota e un corpo che non capisce.
Non ho dolori fisici.
Nonostante il methergin.
Nonostante le perdite.
E' come se il mio corpo si fosse gradatamente abituato al dolore, come se la mia soglia di sopportazione si fosse innalzata di un grado.
Ora il seno fa male e la pancia è ancora gonfia e la mattina mi sveglio con il mal di testa.
Arriveranno i dolori e il flusso catastrofico.
Ora no.
Ora l'interruttore è su OFF.
Questo è un raschiamento.
Non vedi, non senti, non hai il tempo per renderti conto.
Sei catapultata nel buio, dove non vedi più speranza e luce.
Non hai più attenuanti per fare cazzate irrazionali, come i test di gravidanza per dirti che ancora è lì, dentro di te.
Ora lo sai che non c'è più.
E' in un barattolino in un laboratorio di genetica.
Ora non è più.
E' tutto innaturale. Te lo hanno strappato via e ora sei tu a ritrovarti rannicchiata in un'altra stanza vuota, con il soffitto di quattro metri, la forte luce a neon e il freddo.
E tu tremi ancora.