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domenica 30 novembre 2014

Gratitudine

Non so bene come andranno le cose stavolta.
So che finalmente sapremo cosa fare.
Abbiamo preso una via, l'unica da prendere, e mai come oggi sono serena.
Non riesco a ritrovarmi in quella che ero.
Sono stranamente tranquilla e ricerco segnali di un passato già vissuto, ma non li trovo.

Respiro.

Ho la mente occupata, il cuore pure.
Forse non sono più disposta a stare male.
Forse è sopravvivenza.
Guardo da fuori ciò che accade, guardo al futuro. Non sono più disposta a spiegare. Non ho più voglia di capire. Non credo sia più giusto cercare giustificazioni.
Io non mi giustifico.
Mai.
Sono molto esigente con me stessa, non mi faccio sconti, credo non imparerò mai a farmeli.

Raccolgo perle.
Filippo è stata una perla luminosa, perchè ha illuminato una strada che io già percorrevo ma che non vedevo.
Ero al buio e non sapevo dove stavo andando.
Tutta la mia storia, alla fine, mi è piaciuta.
Sorrido a scriverlo.
Mi è piaciuta perchè mi ha restituito una me migliore.

Mi sta stretto tutto l'intorno.
Ho voglia di tenere stretti i miei amori.
Adoro la mia casa, la mia tana.
Mi piace addormentarmi stanca.
Mi piace volgere lo sguardo agli angeli appesi che mi salutano dandomi la buonanotte.
Ho voglia di viaggiare, di incontrare gente nuova, perchè ora so che di gente bella ce n'è. Ho sbagliato a credere che non è così.
Ora ho in mano un passino con la rete stretta, alla fine,
rimangono solo i pezzi buoni.
Prima non lo avevo questo strumento e io raccoglievo (elemosinavo) amore.

Essere un'abortiva mi ha cambiato per sempre.
Dare un'anima e un'identità e un nome ai miei figli, è stata un'esperienza (che se si ripeterà -perchè non so se si ripeterà- considero comunque chiusa) che mi ha dato tanto, che mi ha elevato ad un livello di conoscenza di me stessa che difficilmente avrei potuto raggiungere.
Ora il mondo è migliore con in mano questa lente di ingrandimento.

Saranno giorni difficili, che spero mi restituiranno un natale caldo, lento, sereno.
Se vi va pensatemi, anche se mi sento forte e la paura non mi dominerà.

Vi invito a leggere e a mandare i vostri contributi a questo blog, nato per amore, nato per rinascere, nato per vivere.
http://piovonomiracoli.wordpress.com/

Grazie.


La gratitudine è la memoria del cuore.

(Jean Baptiste Massieu)

sabato 28 giugno 2014

Il futuro non è più quello di una volta.




Mi sono ritrovata in un forum per eterologa.
Ho letto la mia presentazione e non mi sono riconosciuta.
Mi sono letta come se le cose accadute fossero accadute ad un'altra persona, e questo, non mi è piaciuto.
E' una presentazione che riassume molto di me, e che sul blog non ho mai fatto, perchè il blog è per i miei figli e per me.
"L'appoggio" qui, per chi passa, affinchè abbia l'accortezza di non propormi torte di pannolini e offerte per asilo nido, e per me, per tenere nero su bianco ciò che mi ha portato ad essere oggi quella che sono:
una donna in attesa e in continua ricerca di se stessa.

Lun Dic 10, 2012 3:57 pm
"vi racconto il nostro percorso.la nostra ricerca inizia a settembre 2009.la prima volta che vedo un test positivo è marzo 2010 ma subito dopo arriva il ciclo.non mi preoccupo, sono inesperta, sono felice di aver cmq prodotto qualcosa.E infatti, a maggio, con una settimana di anticipo dall'arrivo del ciclo, faccio un clear blue che mi indica "incinta 1-2 settimane"Il 2 giugno iniziano le perdite, forti, che non si interrompono.Lo perdo.A febbraio 2011 inizio un monitoraggio dell'ovulazione, unica iniziativa della mia ginecologa che non ritiene di dover fare nessuno approfondimento.Rimango ovviamente incinta. Ma poco dopo arriva il ciclo. Faccio le beta e sono positive.sono scioccata. Chiamo la ginecologa e lei mi dice che sia il test sulle urine che le beta sul sangue sono sbagliate. Io le chiedo esami e approfondimenti sulla poliabortività e lei mi risponde che faremo un esame alle tube. Mi incazzo. Cosa centra un esame alle tube se io rimango incinta?Vado in crisi. Cominciano le crisi di panico e di ansia.Cerco aiuto.Trovo il mio angelo. Un dottore esperto in abortività che mi ha accompagnato fino ad oggi tenendomi per mano.Iniziano le ricerche che però non rilevano nulla di importante, a parte le solite mutazioni in eterozigote dell'MTHFR e del PAI, sia mie che di mio marito. Dagli esami strumentali invece si scopre immediatamente un papilloma virus al collo dell'utero, che non centra con le gravidanze ma che quella cretina precedente non aveva visto per la mia salute, e da un'isteroscopia all'utero, dei polimi endometriali. Con una terapia forte ormonale i polipi scompaiono. E' luglio. Inizio una terapia a base di integratori e prefolic, a settembre sono di nuovo incinta. Le beta sono altissime in anticipo di dieci giorni dal ciclo. Non capisco cosa è successo. Crescono. Ma non raddoppiano. Iniziamo una terapia a base di cardioaspirina, cortisone, preogesterone in ovuli e punture oltre al resto. Arriviamo a vedere una piccola cameretta gestazionale. Ma le beta si fermano: partite da 1200 arrivano a 13.000 e poi basta. Nuovo aborto. Sempre alla sesta settimana. Espulsione spontanea. Impiego 53 giorni per far tornare il ciclo. Era il 15 dicembre dello scorso anno, ero a Colonia, in Germania, dentro il Duomo. Me lo ricordo come ora. E' l'inizio di un nuovo periodo, lo sento. A gennaio inizio il monitoraggio dell'ovulazione, ogni mese capiamo che è l'ovaio sinistro a produrre, ma è bislacco, secondo il dottore il vero ovaio è quello di destra, quello "buono" che dovrebbe produrre ovuletti buoni da fecondare.A marzo facciamo un post coital test e il risultato è ottimo. Tanti spermatozoi, pimpanti e baldanzosi, si decide che una IUI in questo caso è inutile. Ovulo a destra, due giorni prima del post coital test.Manco a dirlo, a fine mese sono incinta. Ovulazione destra come previsto.Stavolta la terapia dura da mesi, non inizia con la gravidanza, ricominciamo punture e ovuli di progesterone e aggiungiamo eparina.Le beta triplicano. Crescono benissimo. Il mio dottore dice che è la volta giusta ne è sicuro.Una mattina mi sveglio, e mentre facevo il pane, sento un dolore lancinante alla pancia. Un dolore che mi piega in due.Sotto consiglio medico prendo un buscopan e mi metto a letto. Dopo due ore il dolore è tutto a destra. Aumenta sempre di più. Non voglio andare in pronto soccorso, il mio dottore mi accoglie in studio e non vedo nulla in utero. A destra sospetta un versamento, mi manda subito in PS e chiede un monitoraggio delle beta per sospetta GEU. Naturalmente le infermiere minimizzano, io aspetto un'ora e mezzo prima di essere visitata e ad un certo punto vado in choc. Svengo e non mi rialzo più.Di lì vengo portata di corsa in sala operatoria. Il dolore è così forte che non respiro più. Extrauterina a sinistra, anche se il dolore era a destra, anche se l'ovulazione era a destra. La tuba sinistra ha fatto un giro strano e si è pappato l'ovuletto fecondato nella tuba destra. Succede. Raramente. Sfortuna. Io rischio di morire, sia perchè la tuba scoppia in pronto soccorso, sia perchè perdo tanto sangue per via della terapia di eparina e cardioaspirina. Perdo anche la tuba ovviamente. E' maggio. Il 14 maggio 2012.Da subito mi viene messa davanti la realtà che da donna molto fertile ora le possibilità di concepire naturalmente sono bassissime, soprattutto perchè il mio ovaio destro, quello con la tuba lavora poco.A luglio prendiamo la decisione per iniziare la pma a settembre.Passo un'estate di preparazione, tra esami da portare e una dieta che mi fa perdere 14 kg, perchè mi dicono che così ho più possibilità.La pma inizia il 23 settembre con la soppressione, protocollo lungo. Il 18 ottobre con un pick up dolorosissimo ottengo 10 ovuli tutti dall'ovaio destro, il sinistro va in sciopero e questo convalida la teoria che è un ovaio che non va bene. 8 dei 10 sono fecondabili con ICSI. Tre di loro non vanno avanti, cinque si tenta di portarli a blastocisti, per ottenere ovociti di buona qualità. Si ottengono 4 blastocisti di qualità A, i biologi sono soddisfatti, i dottori pure, noi pure. Mi dicono che a 38 anni è una risposta buonissima.Il 23 ottobre è il giorno più bello della mia vita. Due di loro vengono trasferite nel mio utero. Le altre due sono crioconservate.Li amo da subito e so che ci sono.Oramai ho imparato a riconoscere i segnali del mio corpo e dei miei figli. So che ci sono. Il 31 ottobre le beta sono 213. Sono alte per un 8°PT.Pensano abbiamo attaccato entrambi.Lo stesso pomeriggio, la gioia si trasforma in angoscia. Perdite di sangue.dopo due giorni le beta sono cresciute ma non raddoppiate e così per tutta la settimana ogni due giorni.Si ipotizza che uno dei due che inizialmente si era attaccato non ce l'ha fatta e che ora le beta non vanno come dovrebbero perchè falsate da questo evento. Alla terapia aggiungiamo la solita eparina ma raddoppiate di dosaggio. Raddoppiamo anche il cortisone e l'eutirox e iniziamo un integratore per l'omocisteina. A sei settimane la prima eco, ci fa vedere una cameretta gestazionale giusta per le misure, tonda, bella e piena di speranze. Ma c'è un distacco. Io ho perdite marroni continue. Aumentiamo il progesterone e oltre alle punture quotidiane e agli ovuli aggungo il lentogest ogni due gg. Sono a letto. Mi alzo solo per andare in bagno. sono stremata ma penso che il mio piccolo ce la può fare. A 7+0 vediamo un piccolo embrioncino, ma davvero piccolo, di 3 mm.Il battito non lo vediamo. Ci rimandano alla fine della settimana per un'altra eco dove il battito si deve vedere. Io capisco che è finita. Da quel momento smetto di sperare, non lo sento più. Capisco che se ne è andato. E a 7+5 l'eco non vede più nemmeno l'embrione, la cameretta non si è ingrandita, io ho il sesto aborto.Venerdi, a 8+4 il mio primo raschiamento.Quello che si tenta è di ottenere una risposta dal citogenetico, che ci verrà consegnato il 7 gennaio 2013.Nel frattempo il mio dottore si confronta con Martinez di Malaga, che è un suo amico, e che so che qui nel forum molte di voi conoscono, e l'ipotesi che si delinea è che io e mio marito produciamo ovuli malati. Io studiando capisco che quel "malati" vuol dire cellule aneuploidie, alle quali non c'è soluzione, a quanto mi dicono.Capisco da sola che esiste una tecnica chiamata ARRAY CGH proprio per coppie con cariotipo normale e aborti ripetuti.Allo stato attuale non mi è chiaro ancora se è una tecnica che possiamo fare sul nostro sangue, se possiamo farla sulle due blastocisti congelate o non so che altro. Nell'ipotesi di poterla fare sulle blasto, ammesso di non metterle a rischio, dobbiamo accettare di scongelarle, fare la biopsia e poi trasferirle prima dei risultati. Ovvero devo mettere in conto un altro aborto.Ma io so che non posso lasciarle lì, anche se sono malate.Ora è tutto nero. Davanti a noi si delinea l'ipotesi che ogni volta che io e mio marito ci uniamo, nell'atto di amore più profondo, l'unica cosa che rimane, da una vita che potremmo concepire, potrebbe scaturire una morte. E a noi questo ora sembra una condanna infinita, una punizione che non meritiamo, una malattia che non sappiamo come curare.Siamo disperati, perchè sta morendo l'unica cosa che fino ad oggi ci dava la forza per andare avanti: la speranza."

La presentazione si ferma a quel dicembre.
Il 29 aprile 2013 ci prepariamo per accogliere i due crioconservati di classe A e B.
Quella mattina sono calma. Ho imparato a respirare grazie allo yoga. Sono sul lettino con le rotelle con indosso solo la camicia verde di carta da sala operatoria. Mio marito mi guarda affascinato mentre recito i miei mantra.
Entra il giovane biologo, che ci aveva già seguito a ottobre, e ci dice che la blastocisti di grado A non è sopravvissuta allo scongelamento e che trasferiranno solo quella di grado B, la quale comunque, dopo ore dal risveglio, si è espansa e ha buonissimi segnali di crescita. Non c'è motvo per cui non debba farcela.
Io capisco immediatamente che è finita così.
Il mio transfer non è bello come il precedente, mi emoziono comunque ma non piango.
Tengo con me la piccola blasto per dieci giorni e poi decido di fare le beta. Sono positive ma molto basse. Accolgo la notizia senza emozione. Mando a tutti questo sms: " il settimo angelo è arrivato, mi preparo a combattere" ma sento che non va bene.
Infatti dopo due giorni le beta si dimezzano.
Spiegazione: la gravidanza non è partita, il residuo del gonasi ha fatto sì che si leggessero beta positive ma non erano relative alla gravidanza.
L'endocrinologo sposa questa teoria, il ginecologo nicchia, io sorvolo. Nemmeno ho il tempo di piangere e pensare perchè il 6 giugno, improvvisamente, la madre di mio marito muore, in maniera drammatica e dolorosa, e tocca a noi due soccorrerla.
Il dolore mi si stampa nel cuore in maniera indelebile.
Improvvisamente mi cadono addosso tutti gli anni passati a combattere e rialzarmi immediatamente dopo la partenza di uno dei miei figli.
Cado in ginocchio, sotto il peso della responsabilità di una nuova famiglia confusa e dispersa, responsabilità che non mi viene richiesta ma che io per carattere adotto, e sotto il peso della caduta della speranza. La Speranza che avevo tenuto accesa in tutti questi anni.
Sto male. Fisicamente. Una gastrite violenta mi piega. E arrivo a dicembre. un dicembre sereno, calmo, in cui lascio andare tutti i miei figli e tutte le persone che non sono più con me e quelle responsabilità che nessuno mi aveva chiesto. Rinasco. 
Sono passati sei mesi del nuovo anno. Un nuovo periodo. Una nuova vita in cui vorrei raccontare del mio baby raimbow che non è arrivato e che cerco ogni mese, avendo preso la decisione di continuare la ricerca "naturalmente".
Ho poche armi ormai a disposizione.
Una diagnosi preimpianto o un'eterologa.
Per la prima la decisione viene presa seguendo il cuore. Non sottoporrò i miei embrioni, i miei figli, ad esami che li porteranno ad essere "scartati" in caso di errori cromosomici. Non sono loro che hanno chiesto di essere concepiti e il solo avere come risultato la diagnosi non mi porta ad avere la soluzione. Per la seconda, è la mia ultima spiaggia, che economicamente non posso affrontare ora, e per la quale mi dò il tempo per capire. La mia paura è quella di mio figlio da grande, che è la paura di tutti i genitori, e delle sue domande, per le quali oggi, non ho ancora risposte.

Ho superato il compleanno dei 40, che tanto temevo e ho fatto indigestione di storie a lieto fine over40. Ho concluso un altro ciclo di yoga, ancora più profondo e consapevole. Ho riconosciuto i miei sbagli e ho preso atto di una situazione che, da un punto di vista razionale non ha molto da raccontare.
Ho dedicato l'inverno ad un lavoro che mi ha riempito di soddisfazione, ho scritto molto, in maniera approfondita e meditata, su me stessa e sulle donne che affrontano un aborto. Ho conosciuto persone importantissime, che non si sono legate al virtuale, ma che per la prima volta sono reali, con le quali non mangerò la pizza il sabato sera ma dalle quali imparerò ogni giorno.
Ho dato spazio alla preghiera, pur non credendo in fondo che sarò esaudita. Il nodo da sciogliere attuale, è questa fede che non comprendo perchè debba essere viva, solo perchè si esaudisce un desiderio. Questa non è Fede.
Ma non rinuncio. Ci sto lavorando.
Ma non ho voglia di non prendere atto di quello che è stato.
Ho bisogno di recuperare un dialogo che nel tempo si è perso tra medicine, esami, ipotesi e ragion di vita.
Ho perso l'istinto.
Questa è la verità.
Ed è sempre stata l'unica cosa vera in tutta questa storia.
Sono divisa in due, tra il sentirmi ferma e senza armi e il "lasciare che accada quello che deve accadere", e questa situazione ora, è difficile da digerire. Non si trasferisce su un blog, non si racconta per strada quando mi chiedono "come va?" con gli occhi di commiserazione.
Ecco perchè mi fermo qui.
Persa.
Continuo a scrivere fiumi di parole che non verranno lette attraverso un video, ma solo attraverso il cuore di un figlio che arriverà.
Non ho spazio per altro.
E non so cosa accadrà.

domenica 15 giugno 2014

Ricerca

Faccio i conti con questa me stessa tutti i giorni.
La ritrovo la notte, in sogni pieni di gente, gente che appartiene al mio passato, che ho conosciuto ma con la quale non ho avuto molti rapporti, la ritrovo in luoghi confusi, di luoghi riconosciuti ma senza ragione di essere lì, in quella situazione.
Mi riconosco, in ogni sussulto, respiro di condanna, dolore in punta di spillo, eterna speranza, sorriso ricercato, ossa ricostruite, nel mio corpo da salvare.
Ascolto la mia me stessa razionale, che programma, che organizza, ma non prevale più ormai. La ascolto per istanti, la seguo, ci credo ancora in lei, eppure ne sono distante, non mi appartiene. E' una me che vorrei seguire, a cui vorrei dire che ha ragione, che le cose funzioneranno così, ricordandosi di come si disegna il grafico della funzione di una retta.
Ma quella me vive da sola, è un pezzo che si è staccato nel mondo, è autonoma, non ha più bisogno di me.
Può farcela così, va nel mondo, senza di me. E funziona.
L'ho cresciuta, è maturata, va in proporzione all'età, è la me che ci si aspetta di incontrare. Sempre.
Ma l'ho abbandonata.
Ormai da un pò.

Ciò che scelgo di raccontare è ciò che rimane di me oggi. Non la minima parte. La parte più grande, quella insondabile, quella incomprensibile, la parte piena di dubbi e di domande, che non ha certezze.
Quella più facile da attaccare, da appendere ad un muro, da raccogliere per cercare di salvarla.
Io non devo essere salvata.
Non cerco soluzioni.
Sono in viaggio alla ricerca di una parte di me che ancora non conosco, cado nel frattempo, faccio errori, mi guardo indietro, cerco luce indietro, perchè non è vero che è stato solo buio, e faccio errori, nell'insindacabile bisogno di completarmi, per tornare a ricongiungermi finalmente con la parte che, matura, viaggia da sola. Nel bisogno di completarmi.

Sto imparando ad accettare che l'intercessione, al di là della mia Fede (in qualcuno, in qualcosa), guarisca le mie ferite e mi regali nuova vita. Accetto mani sulla mia pancia, preghiere sussurrate commosse, lacrime e abbracci stretti. Accetto il silenzio intorno a me. Osservo. Chi ha la soluzione, che sia razionale, che sia di Fede. Invidio per questo. Imparo.
A lasciarmi andare a pianti a singhiozzo, sola, al centro di una scala stretta, dopo che mani sconosciute hanno toccato il mio cuore e la mia pancia, chiedendo che io sia completata.
Che è la mia preghiera.
Che è la mia soluzione.
Sussurro, ogni sera, parole lette in un cartoncino, come i mantra che recito durante le lezioni di yoga, dando corpo alla luce che avverto dentro.
Mi pongo domande. Tante. Perchè io. Perchè dovrei essere ascoltata e da chi poi. Perchè la mia richiesta dovrebbe valere più di quella di mio marito, o dei miei genitori o delle tante persone che chiedono per noi. Perchè di nuovo tutto dipende da me? Perchè una grazia non dovrebbe essere esaudita anche se io non la richiedo. Perchè dovrei farlo, io che ho tutto, che ho cuore e testa per salvarmi, quando ci sono persone che non hanno nulla e che hanno molto più bisogno di me?
I miei figli mi hanno attraversata. Parte di loro vive in me. Non riesco ad ignorarli. E questo non vuol dire non riuscire a lasciar andare. I miei figli sono andati via. Sono esistiti talmente poco che la maggior parte della gente non considera nemmeno la loro esistenza. Non ho tombe sulle quali piangere. Non le cerco.
Non ho bisogno ora di questo. Il tempo è passato, ed è stato un tempo sufficientemente lungo per potermi permettere di ricostruirmi intorno ai vuoti che hanno lasciato. Ho imparato a riconoscere i segni dei loro passaggi, e questo mi basta. E' tanto per me. C'è chi non ha nemmeno questo. E così si muore.
Io non muoio perchè li chiamo "figli". Lo so che è un termine che infastidisce. Lo so che mi dipinge come una donna ancorata ad un esistenza fatta a metà. Ma non è così. Il mio bisogno di riconoscerli mi impone l'obbligo di vivere per il mio futuro, e vivere nel migliore dei modi.
Parlarne mi consola.
Io lo posso fare solo qui.
Dare voce alla loro esistenza mi è proibito.
Quando posso farlo, quando possiamo farlo, crolliamo, sia io che lui, da soli, al centro di una stretta scala, a casa di una santa, scomodata per dare voce al nostro distinto istinto di genitori mancati. Crolliamo e piangiamo, sotto il peso dei giudizi, delle condanne, delle parole non richieste che pesano come macigni. Come fosse facile svegliarsi tutte le mattine e non giudicarsi da soli per come scegliamo di andare avanti, incerti se sia il modo più corretto per riprendere a camminare, nella ricerca spasmodica di raggiungerci, per completarci.


Pietro mi squadra intimorito, in quel modo che mi basta a farmi comprendere che non potrà mai capirmi. 
E poi dice una di quelle cose stupide che dice sempre.
"Cerca di stare tranquilla".
Strano che non abbia anche detto: "Dobbiamo guardare avanti".
E invece no, lo dice subito dopo: "Dobbiamo cercare di guardare avanti".
"Ah sì?" ho un tono di voce acuto, derisorio.
"E dimmi allora, cosa c'è avanti?" Cosa vedi di tanto interessante?"
"Io vedo te" mi risponde lui, guardandomi dritto negli occhi.

Nessuno sa di noi, Simona Spartaco

giovedì 8 maggio 2014

I vostri figli

Io non invidio le altrui pance.
Che sia messo agli atti una volta per tutte.
Non mi sono affatto indifferenti, questo lo ammetto.
Le scovo a distanza di metri, le trovo agli angoli dei miei occhi, mentre passeggio e sto facendo tutt'altro.
Dietro il bancone delle commesse con le camicie sblusate, mentre le signore si stirano per arrivare allo scaffale e afferrare il detersivo scelto, in un profilo nascosto da un maglione abbondante, tra i fianchi insolitamente più larghi di un'esile figura femminile che mi cammina davanti.

Ma se la mia storia mi ha insegnato qualcosa, una di queste è che ogni gravidanza può raccontare un'altra storia, felice e non, e che ogni storia può essere difficile, oppure no, e che l'invidia della pancia, quella no, non la provo.
Critico la spavalderia, l'inconsapevolezza, l'arroganza di chi porta una pancia puntata in avanti come un'arma pronta a sparare. Di questo me ne assumo responsabilità e critiche, spesso riversatemi addosso, perchè è più facile raccontarsi che un'infertile, oltretutto abortiva, è invidiosa, piuttosto che fermarsi a pensare.
Ma di questo non mi curo. I quarant'anni sono passati e finalmente posso legittimare la mia intolleranza verso buona parte del genere umano, giustificandomi dietro i primi segnali di senilità che mi porteranno alla pazzia e al diventare la canara del quartiere, senza figli e con la panza e i peli sulle gambe.
Me ne frego.
Per ora le cose stanno così.
Me le spizzo le vostre pance, oh come lo faccio volentieri. E poi vi guardo.
Cerco segnali di donna nei vostri visi, cerco solidarietà e non supponenza, cerco amore, perchè spesso la pancia ne dà così tanto che è impossibile nasconderlo, anche se ricoprite un ruolo che non vi consentirebbe di darne a vedere.
Io non vi invidio, so cosa vuol dire portare la pancia, e, anche se la mia è cresciuta poco, era lì, e mi regalava ogni giorno un sorriso.
Lo capisco se vi scappa di seguire quella moda di fare il calco alla protuberanza. La nostalgia di quando non ci sarà più, può prendere all'improvviso, anche se il bambino è nato. A me la mia è mancata tanto. E il mio bambino non è mai nato.
Quando manca qualcuno si ha bisogno di attaccarsi a qualcosa di fisico per non impazzire, che sia un oggetto, un odore, un profilo da accarezzare.
Raccontatelo a noi abortive, che ci attacchiamo alla foto dell'ultima ecografia, al risultato numerico delle ultime analisi, ad una bola tintinnante, ai lividi sulla coscia dovuti alle punture di progesterone che ora tanto ami. A niente. Questo non è niente. Lo sappiamo.
Io non invidio le vostre pance.
Posso sedere al tavolo con voi e tenere una conversazione seria dall'inizio alla fine senza mai farti capire che il mio cuore è attaccato a quello che batte dentro la tua pancia, e lo sente, tutto sente tutto, e parla con te, ma mica è vero, in realtà parla con il tuo ospite e gli chiede tante cose.

Io non bramo ad avere la vostra pancia.
Io invidio i vostri bambini, perchè hanno conosciuto i miei.
Perchè hanno la stessa età dei miei e li hanno visti là, dove stanno tutti insieme prima di essere chiamati da noi.
E li guardo i vostri figli, prima che i loro sguardi diventino adulti e dimentichino chi sono stati per trasformarsi in persone che temporaneamente devono assumere un ruolo ben preciso su questa Terra.
Li scruto per cercare di afferrare un messaggio.
Non mi dò pace. No.
Lo capirete. Si.
O forse no. La maggior parte di voi no.
Ma  non importa.
Io non devo nulla all'umanità su questa terra. Devo ai miei figli che si insinuano nei sogni altrui e si manifestano così, in persone che non mi hanno mai vista e che mi raccontano di avermi sognata mano nella mano con mia figlia (Cinzia, in ordine di tempo, mi riferisco a te... grazie.), e che dopo l'ennesimo sogno a me poi raccontato, mi viene il dubbio che questi figli la strada l'hanno persa e che forse hanno bisogno di un paio di occhiali per ritrovarla, una luce, una candela.
Se li sognate ancora, vi prego, dotateli di una torcia, indicate loro la strada, date loro il mio cellulare. Dite loro che io li andrò a prendere, ovunque siano andati a finire.

Nei vostri figli vedo i miei, quello che sarebbero potuto diventare. Le pieghe dei loro piedi, le fossette sul viso, i chili presi, i dentini appena spuntati. Ma non voglio i vostri figli, io voglio i miei. E se non lo capite è perchè non volete farlo. Perchè non vi interessa oppure perchè pensate in fondo che io potrei arrivare a rubarveli i vostri figli.
Loro sono per me fonte di invidia, confesso vostro onore, ma solo perchè hanno potuto conoscere i miei.
Mettetevelo in testa.
E se non comprendete i miei comportamenti irrazionali, va bene così.
Convincetevi che sto impazzendo e segnalatemi gatti e cani abbandonati del vostro quartiere.
Vedrete che tra qualche anno sarò lì a portar loro croccantini e scatolette puzzolenti, e allora, guardandomi negli occhi, i vostri figli mi riconosceranno.




Buona festa della mamma alle donne non mamme su questa terra.

sabato 19 aprile 2014

Gestione del dolore

"La mamma sta bene. Lo sa anche Picasso che è una bugia. Che le mamme intrise di dolore fanno paura. E non c'è rimedio che lenisca, finchè non riescono a uscire loro stesse dall'abisso. E non c'è modo di affrettarne il ritorno alla vita. Ma almeno abbiate compassione. E rispetto. "
Ciao Lapo Onlus


Sono giorni che mi frullano in testa tante parole, sarà che non sono più immune al dolore anche se non mi riguarda più direttamente, sarà che non mi è più possibile passare oltre, sarà che il dolore mi gira intorno, poi mi scova, ne annuso la presenza da lontano, e non sbaglio mai. Non sbaglio più.
Il dolore va attraversato, ci si convive insieme, prende forma e poi spazio nel cuore, con il tempo, piano piano, e poi si impara a gestirlo. Ci vuole tempo ed esperienza, ma una volta provato non si è più immune, ormai fa parte di te, e non si guarisce. Ma non è una cosa negativa questa. Se sei ammalato di dolore sviluppi una sensibilità verso gli altri e riguardo i fatti che ti girano intorno, che, seppur non ti lasciano indifferente e fanno sempre lavorare cuore e testa, io considero comunque un dono.
Non è facile ok. Ma non si può non considerare il fatto che l'apertura al mondo ti eleva ad un gradino dal quale osservi la vita con un punto di vista che mai avevi raggiunto prima.
Gestire il dolore è altro affare e su quello ci si sta lavorando.
Ho chiesto silenzio durante il massimo dolore perchè mi sono sentita smarrita, non sapevo cosa fare, non sapevo gestirmi, tanto meno riuscivo a capire come mitigare quell'ondata che mi investiva con violenza e mi lasciava senza fiato. Poi, dopo lo tsunami, quando tutto intorno a me era deserto e desolazione, ho teso le mani per rialzarmi e spesso, non ho trovato nessuno a tirarmi su.
Le parole che mi sono state rivolte in alcuni casi sono state proprio quelle riguardanti l'incapacità a saper gestire il mio dolore, quella situazione. E in effetti ho capito, ho giustificato.
A volte ho suggerito io, a volte ho dichiarato che lo capivo il perchè di certi allontanamenti che secondo me derivavano dal non saper gestire una situazione come la mia, eppure mi è stato risposto che non era affatto così.
Diffidare da tale sicurezza, quelle sono le persone che pretendono un comportamento sempre e comunque costante da te. Nonostante lo tsunami.

Non affronto in questa sede il dolore a seguito della perdita di una persona cara, parliamo di quello di cui normalmente scrivo qui. Parliamo dell'aborto finito in un raschiamento, l'ultimo in ordine di tempo.
 Di tutte le interruzioni di gravidanza vissute, nonostante l'aver rischiato la vita con l'extrauterina (forse perchè quella volta viveva in me un certo stato di incoscienza), ecco nonostante ciò,  dicevo, la più dolorosa in assoluto è stata la perdita fisica dopo il raschiamento. Sarà che un raschiamento dopo una gravidanza ottenuta con pma è davvero difficile da affrontare fisicamente, dopo mesi di punture, letto, medicine, esami, vane ecografie. Sarà che la pma è tanta roba, tanto accumulo di speranza, tante situazioni, belle, brutte, tanto tempo prima e tanto tempo dopo, tempo sottile, che si diluisce nel tuo sangue, diventa dialogo continuo tra te e tuo figlio.

La mia gravidanza non è andata bene dall'inizio: di quel periodo ricordo il letto, il computer, la tv, i libri e le punture. Poi ricordo perfettamente la sua presenza dentro di me e il mio corpo che cambiava, e un sottile, costante, flebile dolore, che mi ricordava che le cose no, non stavano andando per niente bene. Tutto teso alla vita, mica alla morte. Tutto un lavoro proteso verso la luce, mica verso il buio.
Poi ti abitui anche a questo.
Però,  quando tuo figlio smette di vivere, il tuo corpo mica lo sa e pensa che deve continuare a lavorare, e il raschiamento, orrendo termine per descrivere ciò che avviene realmente, porta te stessa e il tuo corpo alla pazzia. Improvvisamente "toglie" ciò per cui vivevi. Improvvisamente, il buio, pur volendo la luce.
Calo ormonale, lo definisce la medicina. 
Nel giro di poche ore arriva lo tsunami e tu, per non morire, non puoi fare altro che prendere fiato e reggere l'apnea, stringendoti ad una roccia (il tuo uomo) e aspettare che finisca. Perchè non sai che altro fare per non morire, pur volendolo in quel momento, pur avendo l'impulso di lasciare la presa e lasciarti andare.

Ecco, io credo che per chiunque viva questo (o un altro tipo di dolore così sconvolgente) si debba il rispetto, quel rispetto che concede la giustificazione di un comportamento, agli occhi degli altri, irrazionale, senza spiegazioni.
Il rispetto si impara, anche se non si è in grado, e non si pretende da chi prova quel dolore. 
Ricordo i periodi intorno ai miei lutti come i più difficili da gestire con gli altri, ricordo la mia inadeguatezza e il mio senso di colpa per il mio rendere nuda la mia sofferenza, parlandone, scrivendone, allontanandomi da chi non comprendeva come fosse innaturale per me in quel momento accettare le gravidanze nate parallele alla mia. Non ero arrabbiata con nessuno, non ero gelosa di nessun altra pancia, mi chiedevo solo "perchè mio figlio no". Perchè mio figlio se ne era andato. E ogni passaggio, ogni conquista altrui, ogni ecografia, battito di cuore, movimento fetale era per me la tomba della speranza che avevo cercato di tenere accesa per tanto tempo. Mi sono giudicata. Mi sono sentita come una brutta persona. Ho cercato di spiegare in lacrime. Mi sono costretta nel cercare di comprendere chi mi era intorno. L'ho fatto male. Ho chiesto maldestramente scusa. Non è servito.
Ci si trincea dietro le proprie convinzioni per non attraversare quel dolore, per non volerlo gestire.

Con il tempo ho smesso di chiedere di essere compresa. 
Ho imparato a volermi più bene, nonostante il vuoto intorno, sapendo che non era affatto dentro di me.
Ma non riuscirò mai a dimenticare quella non gestione del dolore che mi ha spogliato della mia identità di madre, che non ha riconosciuto l'esistenza di mio figlio, che non ha rispettato quella mia sorda sofferenza di genitore mancato. 
Con il tempo ho avvertito come un sottile odio verso di me e quello che rappresentavo, come fossi diventata lo specchio di ciò che non si è riuscito a risolvere.
Pesa su di me tutto questo. 
Ogni giorno.
A volte compaiono parole e gesti e sguardi, che mi spezzano in due e mi costringono a notti in bianco affogate nelle lacrime.
E anche se non sono arrabbiata ora, perchè la rabbia non costruisce, pur essendo a volte necessaria ma solo se circoscritta, io non giustifico più.

"... Ma almeno abbiate compassione. E rispetto. "




Tutti gli uomini sanno che non esistono consigli di conforto al dolore, eppure, di fronte al dolore di altri si cerca di dire qualcosa, consolare, se non altro per sussurrare che…. esiste qualcuno lì, oltre al dolore. Sussurrare qualcosa di banale, per dire di più: “Io sono con te”.

Stephen Littleword, Nulla è per caso




(*)queste parole sono per te.


lunedì 17 marzo 2014

“Tre meno uno uguale zero.”





“Tre meno uno uguale zero.”

"Ricostruire le proprie vite a partire da zero.
Uno zero tondo, ma vuoto, come le pance, prima tonde e piene di promesse, e poi vuote, svuotate, per sempre.
Zero rispetto alla vita di prima.
Zero rispetto al futuro, che pare improvvisamente lontanissimo.
Zero rispetto al presente, troppo spaventoso perché troppo vuoto.

Come si fa a tornare due?
Come si fa a ripartire da quel “tre meno uno” divenuto zero, e tornare prima due poi quattro?
Come si fa a far quadrare i conti, quando per molte persone non c’è stata nessuna sottrazione e siamo sempre stati solo due, perché un figlio atteso sembra avere un valore affettivo minimo o trascurabile?
Come si fa a affrontare tutto questo, e tutte le sue complicazioni senza disgregarsi in mille frammenti, passando da zero a -3?"
(Claudia  Ravaldi, ciao Lapo onlus ) 


Ci sono momenti di questa mia vita in cui tutto mi appare chiaro, semplice, lineare.
Mi è chiara la ragione di tutto quello che è accaduto.
Rivedo come dei fotogrammi, istanti, passare davanti ai miei occhi, luci che si accendono e si spengono, sensazioni, movimenti, odori.
Gesti.
Respiri.

Return to zero di Sean e Kiley Hanish è un film che racconta di questi fotogrammi, quelli che ho vissuto io con mio marito, quegli istanti vissuti da tante altre coppie come noi.
Return to zero è un film proiettato in prima europea ieri sera al RIFF (Rome Independent Film Festival), progetto nato con l’intento di rompere il silenzio che si crea a causa di un lutto perinatale.

C’è un momento che accomuna tutti noi che cominciamo a vivere proiettati al futuro e poi con la morte dentro ri-impariamo a respirare, è il cuore di questo film, scritto e voluto da due genitori come noi, il cui figlio muore e nasce a fine gravidanza. E’ il momento in cui il nostro cuore si risveglia prendendo coscienza che i nostri figli continueranno a rimanere in contatto con noi, sempre, anche dopo.
C’è un legame con loro che ci rende gente speciale, un filo invisibile che non si rompe, che si dipana durante il tempo della nostra vita e ci tiene stretti a loro. E’ ciò che ci fa sentire diversi.
Noi, loro.
E’ tutto qui.
Imparare a tenere in vita ciò che è stato.
Non nasconderlo.

“I discovered tonight that in Italy there is no word for "stillbirth". None. There is simply no name for it. How much more difficult is it then for people here to break the silence on a topic when the word can't even be found in the dictionary.( cit. Sean Hanish)

Fotogrammi, istanti.
Quando senti arrivare quel dolore da lontano, quel dolore che porta via il tuo bambino.
E poi buio.
E poi luce di nuovo, per avere la forza di combattere ancora, per dare un senso a quello che è accaduto.

Tante volte l’ho scritto e l’ho gridato.
Se non avessi sentito i miei figli passare per la mia pancia, non avrei avuto la forza di combattere ancora. Mi sarei consegnata al destino.
La sofferenza,  la necessità di tenere  accesa una luce di speranza, quel dialogo continuo, sotteso,  fermo, che ti accompagna tutti i giorni, nella quotidianità. Quello che gli altri criticano, quando ti dicono che sei “fissata”, che “non è così che arriverà”.  Quelle parole sussurrate mentre ti accarezzavi la pancia, quei sogni ad occhi aperti, quel bisogno di futuro mentre raccontavi il tuo passato, chi eri, da dove venivi, perché eri lì in quegli istanti, per quale ragione avevi chiamato qui su questa terra tuo figlio.
Quei fotogrammi lì, quelle luci accese lì.
Return to zero è tutto questo.
Come passare dall’essere in tre a zero. Del come ricostruisci  il tuo utero, il tuo essere donna senza sentirti in colpa, di come ricerchi la tua identità di uomo-padre, senza essere passato per quel travaglio che non ha partorito vita.
Return to zero è la descrizione perfetta di come non sia possibile raccontare fino in fondo il dolore di un evento così innaturale.
E’ l’incontro con se stessi, nudi di fronte a una realtà inspiegabile.

“non so se avete pensato o meno alla cremazione..”
Chiede l’operatore dell’ospedale ai genitori che hanno appena ricevuto la notizia che “il battito non c’è più”.
“no. Avremmo dovuto farlo?”
Rispondono loro.
E’ tutto qui, chiuso in questa frase.

Avremmo mai potuto pensare che il futuro si sarebbe  richiuso su se stesso?
Come si può arginare questo dolore?
Non si argina, si lascia fluire, non si nasconde, si trasforma.
La morte del proprio figlio in gravidanza,  ti costringe a guardarti dentro: è l’occasione che ti presenta la vita da cogliere al volo. La ragione che ricerchi. Il perché sei qui, nonostante il dolore insopportabile, il vuoto,  il coraggio di cercare ancora, la forza che ti fa alzare la mattina, il bisogno di gridare il tuo diritto ad essere in lutto, la necessità di rendere onore alla vita che hai dato nonostante la morte, il volersi sentire uguale agli altri.
Una madre e un padre come gli altri genitori che stringono per mano i loro figli.
Senza giustificazioni,  senza spiegazioni.

Alla fine, in fondo a questo buio, in fondo a tutto questo dolore, ricominciare da zero.
Alla fine, una mamma.



Ringrazio gli autori e registi del film, che ieri sera, tra le lacrime e i sorrisi e un mio tremendo inglese, ho potuto abbracciare. Li ringrazio perché il loro film ci restituisce la dignità che cerchiamo nel mondo, nel tentativo di ricostruirci.
Ringrazio Ciao Lapo Onlus che ha reso possibile questo incontro, perché il loro lavoro, il loro amore, rende coraggiosi anche le anime più ferite.
Ringrazio Claudia (presidente Ciao Lapo Onlus), perché la dolcezza dei suoi occhi mi ha regalato la speranza.
Ringrazio i genitori in lutto di ciao lapo e i loro sguardi e le loro espressioni sui visi e la loro consapevolezza, di chi sa.

E ringrazio mio marito, perché non ha lasciato mai la mia mano durante il film e coraggiosamente cammina con me per questa strada in salita.



ci sono.


fonte img from Facebook profile of Return to zero:
 https://www.facebook.com/returntozerofilm?fref=ts






martedì 21 gennaio 2014

Di giornate normali e altre chicche.

38° giorno di meditazione: ma che brava che sono!! ce l'ho quasi fatta! orgogliosissima di me!
- 2 a Londra
- 1 per prendere di petto la Scienza, nella persona del CaroDott, e mettere nero su bianco che io credo in me stessa, nelle mie ovaie e in tutto il mio ambaradam procreativo e nel mio cuore, che è la cosa più bella che ho,  che se la Scienza non ci crede, pazienza, per ora ce ne faremo una ragione.


Ci sono poi le giornate che vanno bene, che poi sono quelle normali. Ti svegli, lavori un sacco, non dentro casa, fuori, e pigli pure una boccata d'aria che è molto meno alienante. Poi esci, ti fai una lezione di yoga serale (che non mi capita mai, di solito pratico all'ora di pranzo), e l'energia è tanta e una figata (soprattutto quando azzecchi il mantra che sai a memoria, e canti a squarciagola e tutti ridono!), e poi torni a casa alle venti.
Che non ti aspettano bambini urlanti e pappe da preparare, e letti da rifare.
Purtroppo no.
Però tuo marito e il tuo peloso ti vengono ad aprire la portiera della macchina e ci stringiamo stretti noi tre baciandoci tanto.
Poi ti fai una doccia calda e ti coccoli con la crema appena comprata.
Poi mangi una pasta con i pachino surgelati dell'estate scorsa, cucinata da lui.
E un mix di verdure ripassate in padella, cucinate da lui.
E il pane appena cotto rifatto con la pasta madre.
E un bicchiere molto abbondante di vino.
E un quadratino di cioccolata.
E poi ti addormenti sul divano davanti alla stufa.

Ecco, ci sono giornate così, senza invenzioni, normali, senza pretese.
Sono una persona che si accontenta?

Può darsi.

Allora vorrei accontentarmi di queste piccole cose per tutta la vita, se mi rendono così felice.


Per quante fasi dovrò passare prima di sentirmi ”normale”?
Sono passata per molte fasi: il periodo di ricerca di un figlio; poi l’arrivo di questi figli e poi la loroperdita. La fase più difficile rimane senza dubbio quella attuale, quella di ricerca della consapevolezza di me stessa.


Perché una donna abortiva passa per tante fasi: dapprima la disperazione, poi l’incredulità (perché a me?!), poi la speranza, quel bisogno di ricominciare subito a cercare, perché “se ce l’ho fatta una volta, posso farcela ancora”, poi la rassegnazione. Poi c’è quella fase in cui si osservano i bambini degli altri e non si può non pensare che il tuo, avrebbe avuto proprio quell’età e sarebbe stato proprio così, con quelle manine, quei progressi di crescita, quegli occhi, se fosse nato. Questa è la parte più dolorosa, quella che ti rende sola, scostante.

Non vuoi più vedere nessuno, non vuoi più ascoltare quelle frasi, non vuoi più leggere commenti. Non vuoi consigli da nessuno. Tu solo sai. Cerchi disperatamente storie come la tua, persone come te, che sono passate per quelle maglie strette. Ti senti unica, sola, lacerata dal dolore. Parli con quei figli mai nati. Immagini futuri che non si realizzeranno più. Ti chiudi. Il sorriso sul tuo viso si spenge.

Eri una persona solare, la tua casa era sempre aperta a tutti. Non credevi di dover passare per questo dolore. Chi si immagina di dover affrontare un dolore? E come poi?

La perdita di un figlio, che sia nel primo trimestre, o nel secondo o a termine, è paragonato dagli esperti, come uno dei dolori più intensi che si possano provare. Che l’avvenimento avvenga all’inizio, durante, o a fine gravidanza, è lo stesso, o perlomeno questa la risposta istintiva del nostro cervello.

Il nostro cervello, il nostro corpo, il nostro cuore, rispondono come avessero subìto la perdita di una persona cara. Un vero e proprio lutto.

Altra cosa è la nostra risposta all’esterno, nella società, perché agli altri poi, si devono (per forza) altre risposte. Ci si sente dire che è normale subire una perdita nel primo trimestre. E’ la normalità. Non ci credi, ma cerchi di convincerti che è vero, tanto più che è proprio il tuo dottore che te lo dice.

Poi ti senti dire che un aborto così all’inizio della gravidanza non è una vera perdita, perché il feto non è formato, e un non-feto non è una vita. Istintivamente sai che non è così. Tu sai che ti sei sentita da subito diversa da quando lo hai concepito. Tu ti sei sentita mamma da subito, ma le carte dicono il contrario.

Nella mia lunga esperienza di abortiva, ho imbarazzo davanti ad un medico che mi chiede per la prima volta: “Figli?” perché le carte dicono di no. Cosa vuole sapere? Se ho partorito o se non ho mai voluto figli?

Perché io non sto in nessuna delle due categorie.

Come lo spiego che i miei figli hanno le sembianze di un albero piantato il giorno della sua morte, o di un angelo di vetro accanto ad una candela che accendo tutte le sere, o di una pietra incisa con su scritto un nome.

Noi abortive non siamo madri per gli altri. Lo siamo dentro di noi, nel nostro cuore.

Viviamo sdoppiate per sempre. Una parte attaccate al passato, a quello che non è stato, una parte con uno sguardo al futuro, tenendo per mano il presente, cercando di farselo andare bene, nel miglior modo possibile. Una parte per gli altri, che non sanno.

E’ la fase che viene dopo tutte queste appena descritte, che è davvero la più difficile da vivere.

Quella della consapevolezza del sé.

S’impara con il tempo a far passare per se stesse la vita e la morte contemporaneamente. Si accetta il proprio corpo come culla e poi tomba. Si capisce che non è davvero colpa tua.

Si benedicono quei figli che non sono stati, perché il loro arrivo e poi la loro dipartita, sono stati il mezzo per arrivare a una profonda conoscenza di se stesse e del mondo che ci circonda. E allora s’impara anche a far pace con gli altri, prima che con se stessi.

Per quante altre fasi si deve passare ancora, per sentirsi una donna normale?


mercoledì 30 ottobre 2013

Credo che

Credo che un anno sia un tempo sufficiente per lasciar andare.
Credo che questo sia un tempo per riprendere ad accogliere.
Credo che un anno, sia tanto, quel tanto per non continuare a vivere guardando indietro.
Credo però che ci sono giorni in cui questo non è facile, vivere senza voltarsi.

Un anno fa non sapevo, nonostante i tanti aborti, che avrei vissuto una gravidanza così tanto intensa, quella del mio piccolo Cavaliere.
Tremo al suo ricordo.
Un anno è tanto tempo se si guarda avanti,  ed è poco se, voltandomi, rivivo come fosse ora, quegli istanti così profondi e pieni d'amore. Quello che è accaduto dopo mi ha costretto a non voltarmi più.
Il tentativo di maggio, nonostante tutta la positività, non ha avuto spazio. Non ho potuto piangere i miei pinguini, li avevo già pianti quando il piccolo Cavaliere mi ha lasciato per sempre quel maledetto 7 dicembre.
Loro non hanno potuto fare nulla contro il destino, quello già scritto.
Io non lo sapevo, loro sì.
E poi tutto il resto.
Ora ho la sensazione di aver corso tanto, di aver continuato a ingoiare aria senza davvero fermarmi a respirare.
E poi il mio fuoco, lo stomaco che si stringe, e tutto il mio corpo che grida "basta. ora basta."




silenzio.




non ne voglio sapere.
ho paura.
non voglio più provare.
sto male.


Basta.
Ora basta.
Basta!



E il dolore, quello vero, quello subdolo, che ti sbatte contro un muro, che ti rende acida, sola, stronza.




silenzio.



Ascolta.
Ascoltati.
Riparti da qui.
Da te stessa.
Tu lo sapevi che saresti dovuta passare per questo, lo sapevi da quando eri piccola.
Sapevi che il passaggio verso una nuova te sarebbe stato così.
Ora respira.






Le camerette che accolgono le neo partorienti sono bellissime. Colorate di giallo, blu e verde. Hanno gli armadietti di legno chiaro, le porti scorrevoli e il mosaico in bagno.
I loro bambini dormono al fianco dei letti delle loro mamme e il personale ride.
In corridoio, mille foto testimoniano il passaggio dell'inizio della vita qui.
Le persone parlano piano, sottovoce, sorridono.
Allo stesso piano, in un altro corridoio, ci sono donne che muoiono dentro.
Io oggi ho riattraversato quei corridoi, da quel freddo giorno di dicembre, per andare a salutare una nuova vita e i loro genitori.
Dieci mesi fa, allo stesso piano, in un altro corridoio, una parte di me moriva insieme al mio bambino.
Nell'altro corridoio, non ci sono controsoffitti, le stanze sono buie, le sale d'aspetto non hanno le sedie. Il personale urla e si incazza, la gente ha il viso spento. Le camerette sono identiche, ma non sono colorate, e nessun paravento divide una vita dall'altra e ci si raccontano a vicenda le disgrazie.
Nell'altro corridoio, si va in sala operatoria a piedi, si tiene l'agocannula da sole, si fa la lista delle analisi all'infermiera, senza saltarne nemmeno una, non puoi permetterti di dimenticare.
Poi si trema come una foglia, sedute su una sedia di metallo, senza mutande e con il camice che non arriva.
Poi ci si siede, lì, in quella poltrona strana, identica a quella sulla quale è iniziato tutto: non nel tuo letto dopo una notte di sesso sfrenato. No. Su una poltrona che diventa letto, che guardi in su e così non ti accorgi di quello che ti fanno, ma poi c'è la plafoniera delle luci che è a specchio, e tu vedi. Vedi come inizia la vita da quel momento dentro di te. Vedi come fossi un Dio. La procreazione.
E allora chiudi gli occhi, che certe cose solo Dio le deve vedere, e chiudi gli occhi come quando quel giorno tremavi come una foglia. Chiudi gli occhi e quando li riapri, tu sei morta per sempre, insieme al tuo bambino.
E torni lì, in quelle camerette senza colori, con solo un quadro della Madonna appeso e tremi ancora, e non smetti più di tremare.



Tempo.
Ci vuole tempo.


Credo che un anno sia sufficiente per lasciar andare.
Credo che tornare dove tutto è finito, sia il modo giusto per rinascere un pò.
Credo che andare all'origine del proprio malessere sia l'unico modo per tornare a stare bene dopo.
Credo che questo sia il momento.
Ora.

lunedì 20 maggio 2013

Dietro la lavagna

Due notti fa ho sognato tutta la notte, di dover scalare una montagna altissima.
Una roba organizzata, tipo la scalata del K2.
C'avevo pure gli sponsors.
Io che, la mia prima ed ultima scalata l'ho fatta per una montagna di 2000 mt di altezza, e che una volta arrivata in cima mi è preso un attacco di panico e sono dovuta riscendere di corsa, praticamente a occhi chiusi.
E invece in questo sogno ero organizzata per una grande scalata, un'impresa titanica.
La cosa bella era che, durante il giorno dovevo continuare a svolgere la mia vita di sempre e dunque tornavo al punto di partenza per andare a lavorare, e poi, finita la giornata o gran parte di essa, prendevo una scala mobile che mi portava al punto in cui avevo smesso di salire e ricominciavo a scalare, un altro pezzettino.
Durante questa ascesa, mentre la sera prendevo la scala mobile, ricevevo posta. Tantissime lettere di fans che mi incoraggiavano a salire.
Una fatica.
La cosa bella è che comunque, faticosamente, ogni notte, io salivo un pò. Un pò. Ma continuavo a salire.

Stanotte invece ho sognato urla e sangue e omicidi splatter.
Le urla della persona che scopriva una nostra amica ammazzata, le ho ancora in testa.
E anche la paura, il terrore provato.

Non c'è bisogno che io spieghi nulla di questi sogni, mi sembra.

Il ciclo liberatorio è arrivato.
Finalmente.
Silenzioso, a tratti un pò invadente, a tratti inesistente.
Non direi un ciclo troppo liberatorio, ma comunque, tant'è.

Ah. Anche il crollo è arrivato. Il famoso crollo degli ormoni che ormai aspetto con l'orologio, condito dal mio solito senso di abbandono, quella sensazione che mi chiude la gola e che mi fa lacrimare, più di tutti gli aborti messi insieme. Quel senso di ingiustizia provato, che poi si trasforma in rabbia, che non accetti. Quel bisogno di urlare.
Urlare senza voce ormai.
Un urlo straziante, senza rumore.

Questo sono diventata.
Leggo la mail con il risultato delle bhcg che calano, mentre faccio la spesa al supermercato.
Mi guardo da fuori e quasi mi metto paura.
Cosa sono diventata.
Una quarantenne a tratti arresa.
Mai avrei pensato a questo.
Ma solo gli stolti riescono a prevedere davvero come andrà la propria vita.
Solo i geni la programmano nei minimi dettagli, e uccidono, pur di non uscire dalle personali loro previsioni.
E io non so uccidere.

Sabato pomeriggio, tra le lacrime (ero in post crollo time) ho beccato una trasmissione demenziale in tv, e va bene, mi serviva per spengere il cervello in quel momento, mentre mi contorcevo a letto dai dolori, e le mie antennine hanno captato le parole aborti-solitudine-figli-alla fine il successo.

Al 17° minuto:
http://www.video.mediaset.it/video/verissimo/full/389904/puntata-del-18-maggio.html

le lacrime senza sosta quando sono arrivate?
Quando il famoso dottore ha pronunciato queste parole:
"non esistono donne con una predisposizione abortiva, parliamo del primo trimestre, che continua a ripetersi indefinitivamente"

Certo, lo so, non è il mio caso.
O comunque, potrebbe non esserlo.

La questione è che io non riesco a mandar giù il concetto che, come la natura mi ha predisposto a concepire la vita  così facilmente, come è possibile che mi predisponga così facilmente alla morte.

Ecco.
Sono un'illusa, un'ingenua, una cocciuta, una cretina.
Ho trentanove anni e mi sono distrutta.
Mi sono distrutta tanto da fare la spesa e leggere il calo delle mie beta senza batter ciglio, anzi, acquistando un pò di carne in più, prevedendo il calo del ferro.
Chiamo per nome i miei angeli.
Mi giro dall'altra parte quando incontro le persone che mi hanno abbandonato con questo dolore, poi piango da sola, nel letto, al buio, per non farmi vedere.
Non rimando più niente.
Non fermo la mia vita.
Non lo faccio più da un anno, da quando ho rischiato di morire.

Oggi ho buttato nel secchio dell'immondizia, tutti i test di gravidanza positivi avuti finora, che ancora conservavo in fondo alla scatola dei ricordi:

Non sono più quei test che mi ricordano l'amore che è stato. E' altro.



Però poi vorrei sentirmi una persona normale.
E non lo sono.
A me è capitata questa storia.
Poteva andarmi peggio, per carità.
Però vorrei non essere pesante,
non avere questa etichetta addosso,
non sentirmi isolata,
ghettizzata,
messa in quell'angolo in cui a volte, vado da sola.

Dietro la lavagna.


venerdì 10 maggio 2013

come sempre.

e niente.
ci si autoprotegge per ragione,
non a caso.

Beta dimezzate.

E' già finito tutto.



Come sempre.





" Il tuo angelo è nel paradiso dei giusti... Il Signore chiama con logiche a noi umani sconosciute... Ci lascia, per noi che restiamo qua, nell'angoscia, nel buio, nella paura. Apparentemente. Voglio credere che sia nato e rinato a Vita nuova.... A una vita eterna scritta nell'infinità dell'universo. Voglio credere. Voglio credere che oggi saranno i vostri angeli a vegliarvi nel quotidiano. Voglio credere che solo loro sapranno leggere nelle ferite del vostro cuore. E lenire e colmare quel senso di vuoto che oggi proviamo tutti. Voglio credere. Voglio credere. Credo nel tuo amore, nel vostro amore. Credo nella capacità di amare che avete saputo dare ai vostri angeli. Tutto ha un inizio e una fine. Quello che non muore è l'amore. Ricordi la lettera ai corinzi?

"Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi la carità,
sarei un bronzo risonante o un cembalo squillante.

Se avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza
e avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne,
ma non avessi la carità,
non sarei nulla.

Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri,
se dessi il mio corpo per essere arso,
e non avessi la carità,
non mi gioverebbe a nulla.

La carità è paziente,
è benigna la carità;

la carità non invidia, non si vanta,
non si gonfia, non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse, non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
ma si compiace della verità;

tutto tollera, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta.

La carità non verrà mai meno.

Le profezie scompariranno;
il dono delle lingue cesserà, la scienza svanirà;
conosciamo infatti imperfettamente,
e imperfettamente profetizziamo;
ma quando verrà la perfezione, sparirà ciò che è imperfetto.

Quando ero bambino, parlavo da bambino,
pensavo da bambino, ragionavo da bambino.
Da quando sono diventato uomo,
ho smesso le cose da bambino.

Adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro;
ma allora vedremo faccia a faccia.
Ora conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente,
come perfettamente sono conosciuto.

Ora esistono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità;
ma la più grande di esse è la carità. "

Grazie per la tua testimonianza di infinito Amore/Carità. 


( mio fratello)