giovedì 31 gennaio 2013

...e cammino.

Sono uscita da studio alle 20 stasera.
Sono tornata a casa che erano quasi le 21.
Ho cucinato un petto di pollo e una minestrina con il dado. Potrebbe sembrare una cena triste ma è la mia preferita. A casa Fab non c'era, e non ci sarà per tutta la settimana.
A casa c'era Hope, solo, da stamattina presto.
E poi c'erano i miei bambini.

Certe volte mi immagino che giocano tutti insieme con Hope, Fab dice che lui li vede.

Insomma, la casa non è mai vuota. Questa è la mia sensazione.
Io non mi sento sola.
Forse perchè vengo da una famiglia numerosa.
Sia chiaro, pur abitando attaccata ai miei, passano settimane ed io non vedo i miei fratelli, nè i miei genitori. Eppure, so che sono lì, ci sono, anche se ognuno fa la sua vita.
Questa sensazione mi accompagna da sempre.
Ecco perchè la solitudine non è una mia paura, non mi appartiene.
Ecco perchè i miei bambini li sento, sono qui con me.
Mi accompagnano, in ogni momento della giornata. Anche in giornate come questa, che devono ancora finire. Mentre cerco una soluzione di progetto, mentre si inceppa la stampante, mentre ricevo telefonate, mentre mi arrabbio, mentre guido, mentre mi racconto.
Sono un sottofondo. Morbido.
Non più doloroso.

Mi sento bene.
Fisicamente intendo.
Questa volta ho temuto il peggio. Ora lo posso dire.
Ho avuto paura che tutto quello che quest'anno è successo, potesse diventare un serio problema per il mio corpo.
Ho fatto finta di niente.
Il dolore della perdita e la paura del futuro, sono stati così intensi e così forti, che il fisico è passato in secondo piano. Ma c'è stato un momento in cui, anche il mio dottore era preoccupato: quando abbiamo deciso per il raschiamento, la cameretta gestazionale aveva assunto una forma strana, che ha fatto pensare alla perforazione del mio utero. Non me lo ha detto subito.
Me lo ha detto la settimana scorsa, dopo l'ultimo controllo.
Ma va bene, è passata.
Ora mi sento bene.

Il cuore va e viene.
Mi distraggo a fatica. Non ho voglia di distrarmi.
Mi sto preparando mentalmente ad accogliere di nuovo, ma ho paura.
Ma non è tutta paura.
C'è tanta speranza.
Che poi, io, noi, tutte le volte la speranza ce la mettiamo. Il nostro cucciolo si chiama Hope non a caso, e tra pochi giorni compirà un anno. Però stavolta ce ne serve un pò di più.
Non abbiamo più nessuna certezza. Zero.
Dopo tanto tempo a cercare di capire, a farsi domande, ad esaminare, ad approfondire, siamo di nuovo al punto zero. Non abbiamo nessuna certezza, anzi, la bilancia pende tutta da una parte.
Però speriamo.
Non so cosa sarà di me se andrà male anche stavolta.
Non so quali riserve dovrò intaccare.
Ma non posso pensarci ora.
Questa sono adesso.
Non c'è progetto, film, cena, amico, lavoro, libro, che possa sostituire il senso di pienezza e soddisfazione che i miei bambini mi hanno dato.

Molte persone mi dicono che io vengo prima di tutto e che devo stare bene e che non devo annullarmi come persona.

Pur comprendendo le parole di affetto e di preoccupazione,  faccio fatica a pensarle rivolte a me.
Io non mi sento non realizzata perchè non sono riuscita a diventare madre fino ad oggi.
Ho fatto un bel cammino prima di arrivare a chiamare qui i miei bambini.
Ho fatto un percorso, quel percorso è stato circolare. Un cerchio che mi ha riportato indietro ad una me stessa spogliata di tutte le sovrastrutture che mi sono portata dietro per anni.
Una me stessa identica ad una me bambina.
Senza quel senso di angoscia che mi prendeva la gola, tesa a rincorrere non sapevo nemmeno io cosa.
Ecco perchè mi sento bene quando il cerchio si chiude, quando la vita mi riabita, quando ricomincia la mia esistenza.
Quella sono io.
Questa sono io.
Non mi preoccupa di svilire una me stessa che è già.
Non sono io la protagonista di questa storia.

Io sono già su questo percorso, e cammino.

sabato 26 gennaio 2013

nero su bianco

...e così, nero su bianco, è arrivato un risultato.
Quello che un colloquio non ci ha dato.
Quello che non avevamo compreso.
Stamattina, via posta, non via mail, nero su bianco, la relazione del genetista che ci certifica che secondo la sua opinione:



Ciò che avevamo deciso da soli.
Quello che avevamo deciso di fare.
Camminare, comunque, avanti, comunque, nonostante.
E' il più bel regalo.
Il più grande dono.
E' così.
Tutto come prima.
Non importa trovare una ragione davvero a tutto questo.
Abbiamo capito tante cose.
Abbiamo raggiunto molte vette alla fine.
Abbiamo superato molte salite, poche discese, ma è la pianura che conta.
Di nuovo.
In pianura.
E credere che i nostri piccoli non sono malati.
Crederci davvero.
Sperare.
Pregare.
Urlare.
Crederci.
Ancora.
Oltre tutto.
Sopra le opinioni.
Al di là dei risultati.





E' stata proprio una bella settimana.


venerdì 25 gennaio 2013

buonanotte di speranza


Spesso mi succede che mi addormento sul divano davanti alla tv, mentre tutti insieme guardiamo un film.
Allora la mamma o il papà mi prendono in braccio per portarmi nel mio lettino.
Io mi arrabbio e mostro i denti.
Non sono contento quando mi svegliano e vorrei far capire che non mi devono toccare, ma non mi prendono mai sul serio.
Poi una volta in prossimità del mio lettino io mi metto di schiena e in piedi e aspetto.
Aspetto la mia mamma.
Che con papà faccio un sacco di cose, passeggio, gioco, salto, mangio, ma quel momento, il momento della buonanotte, non me lo toccate, è mio e della mamma.
E aspetto lei, adesso che può alzarsi dal letto e può fare un sacco di cose, io aspetto lei.
Allora arriva, mi accoccola sul cuscino, poi prende la coperta calda e mi ci avvolge e mi stringe tutto e mi copre anche la testa, gli occhi, il naso.
Poi si avvicina al mio orecchio e mi sussurra:

"Buonanotte amore mio.
Buonanotte cucciolo del mio cuore.
Fai tanti sogni belli.
Sogna i nostri angioletti.
Gioca con loro.
Dì loro che la mamma sta arrivando.
Che presto verrà a prenderli.
Che non devono aver paura, che lei sta arrivando.
Diglielo Hope,
che la mamma sta arrivando."

e poi io mi addormento.
Ma la sento che è ancora lì, seduta per terra, che mi accarezza.
E così, ogni sera.
Tutte le sere da quel giorno di dicembre.




mercoledì 23 gennaio 2013

Questa è la nostra storia

Dunque.

Sono giorni, anzi forse settimane che cerco di iniziare questo post per fare il punto.
La verità è che non ne ho molta voglia.
Perchè, mentre inizialmente ho lasciato spazio alla razionalità, per non soccombere al dolore, oggi, non ho voglia di razionalità. Accolgo quello che mi arriva e lo prendo per quello che è.
E così, oggi sono a letto perchè il capoparto vero è arrivato.
Ed è stato un fiume in piena, un fiume che ieri sera mi ha fatto talmente preoccupare che siam dovuti ricorrere ad un antiemorragico preso in una farmacia notturna di turno.
E va bene, ci sta.
Me lo aveva detto il carodott da tempo che sarebbe arrivato così. Poi dopo il raschiamento non ho avuto niente. Poi il ciclo è tornato dopo 23 giorni, il primo dell'anno, ma è durato pocooo, pocoo, poco.
Poi è tornato di nuovo, ventidue giorni dopo, ed è stato inarrestabile.
Che a conti fatti, da dicembre agli eventuali cassaintegrati della Lines ci sto pensando io.

Ma non ci lamentiamo mica.
Sono così contenta che il mio corpo abbia finalmente reagito non come una mammoletta, che quel primo ciclo durato così poco, mi pareva una roba così triste e inconsistente.
Forza! Reazione!
Noi qui avevamo un piccolo cavaliere, piccolo ok, ma con un cuore grande così, come è possibile che tu, corpo corpo delle mie brame, te ne stavi tranquillo come se nulla fosse stato?
E mi pareva infatti.
E allora mi fermo.
Mi ascolto.
Come sto?
Sto bene.
Non mi sento male.
Diciamolo. Che mica me ne devo vergognare, giusto?
Giusto.
Molte persone mi chiedono come faccio.
E come faccio?
Lascio fluire il dolore.
Gli dò un nome e un cognome.
Lascio che quello sia il momento del dolore. Non faccio altro. E' quello. Lo accetto e lascio che mi attraversi.
Ed è terribile quel momento, perchè non mi faccio sconti. Metto in discussione tutto. Non lascio indietro niente.
Parto dagli esordi. Metto sulla bilancia, cani, gatti, criceti, uccelli, fratelli, genitori, amici.
Non ci metto mai mio marito, che poverocristo, ci manco solo io.
Esamino, tiro le somme, e rinasco.
Parlo, parlo tanto con il piccolo che se ne è andato, e gli dò un posto nuovo nel mio cuore.
Dove sono anche gli altri.

E così, sono passati per questa pancia:

- Stellina I e Stellina II, a distanza esatta di un anno l'una dall'altra, fanno solo numero poverine loro, non le considera nessuno. Solo un test con due lineette rosa e delle beta positive, ma basse basse. Sono l'evidenza che si somma al resto. Sono durate il tempo di emozionarsi un pò. 
- poi è arrivato lui. Il primo, due mesi dopo Stellina I,  il mio piccolo primo tesoro, la mia prima volta da mamma, la prima volta che l'ho sentito in pancia. Il mio cucciolino amato. Lo chiamavo Angelo. E così sarà per sempre.
- Dopo 5 mesi da Stellina II arriva Nevischietto. Chi mi legge da anni sa perchè si chiamava così. Lui era un maschio, lo so, ed è stato il dolore più grande. Quello inaspettato, forse perchè avevo finalmente fatto luce sulle analisi e iniziata la terapia. Il suo arrivo fu inaspettato, senza conteggi, senza speranze, senza fare progetti. E' arrivato con un numero alto: 1200 di bhcg con 15 giorni di anticipo sul ciclo, in una città che non era Roma, lontana da casa, in una Torino magnifica e piena d'amore. Uno gagliardo, mica no. Il mio vero sogno. Il piccolo che mi ha reso definitivamente madre. Il piccolo con cui più di tutti ho parlato e sperato, che mi ha distrutto quando è partito, che ha un albero piantato in giardino. Che è con noi tutti i giorni. E' una cosa bella regalare loro una cosa che li rappresenta: così spesso ci capita di dire "hai dato l'acqua a Nevischietto?" "hai visto le foglie di Nevischietto?" "hai notato quanto è cresciuto Nevischietto?"  Ed è bello, perchè la crescita di quell'albero ci dà la misura esatta di quanto è cresciuto davvero il nostro bambino.
- E siamo alla quinta. Una femmina. 
(il sesso dei miei piccoli, io non l'ho mai visto. Lo so e basta)
La GEU.
Che mi ha portato via un pezzo di me insieme a quella parte di Anna che non tornerà più.
Che poi alla fine "geu" per me è un nomignolo da esorcizzare, è un nomignolo che a me piace tuttosommato. E così lei nella mia mente, è Geu! che è da deficienti, lo so. Ma mica possiamo tenere i mostri chiusi in un armadio, no? Bisogna che escano. E Geu era una forte, che se non si metteva a curiosare come era la storia in una parte fuori dall'utero, magari oggi ne stavamo parlando a quattro occhi. Invece no, è andata cosi, fortunella. La mia piccolina.
- e poi c'è PiccoloCavaliere, colui che ha lottato tanto , il figlio della consapevolezza.
Il figlio che ho potuto vedere e tenere con me.
Il figlio che ancora oggi tiene la candela accesa e con cui parlo ogni sera.
Il figlio della pma, quello che mi ha spalancato le porte della genetica, dell'eterologa, dei compromessi, delle scelte, dei tagli, dell'insicurezza che è diventata sicurezza.
Colui che mi ha dato la verità di questa storia e che un giorno racconterò.
Il fratello più grande di tutti i piccoli cuccioli precedenti passati per questa pancia.
Quello più sapiente.
Colui che mi aiuterà a prendere per mano il settimo.
Che avrà un nome, di tre lettere.
E che sarà qui, con noi, presto su questi schermi.
Come al cinema.

Sorrido.
Perchè questa non è una brutta storia.
Io sono una donna più ricca di prima.
E ho avuto tanti doni finora.
Non me lo dico per consolarmi. Lo dico perchè ci credo. Altrimenti non mi sentirei così bene a così breve distanza.

sabato 19 gennaio 2013

punti di vista

vediamo se riesco a spiegarmi.
contatto una ragazza, una mia amica che non vedo da tempo e che seguo però via facebook.
La contatto perchè vedo delle foto bellissime in un paese in Africa e mi sembra un bel viaggio e perchè ho voglia di contatti, e perchè vorrei sapere come sta oltre le foto che vedo.
Mi dice che è ok ma che vivere oggi, in questa società, da sola, a 38 anni non è facile, con il bisogno di diventare madre e l'impossibilità a diventarlo perchè non ha un compagno.
Le dico che capisco.
Lei mi dice che non posso capire.
credimi
credimi
aggiunge.
Le dico che si sbaglia, perchè le modalità sono diverse, ma il tempo che passa e l'impossibilità a diventare madre è la medesima.
Mi dice che è diverso.
Comincio a scaldarmi,
le faccio il riassunto dei miei aborti, mi dico che forse non ha saputo i dettagli della mia storia.
Mi dice che sa tutto da amici comuni.
Penso.
bè, sono solo io che ho sentito l'esigenza di sapere come sta?
evidentemente.
tipo un midispiace sarebbe troppo?
meglio non essere compatite da chi non sente l'esigenza di dirti che le dispiace, certo.
aggiunge che non fa le gare di dolore.
faccia a punto interrogativo.
Le spiego che era per dire che forse posso capire il suo "dolore" all'impossibilità tecnica di diventare madre.
ma sono masochista, si sa.
e infatti aggiunge, dall'alto della sua sapienza,  che forse non so (!!!) che esistono tante altre strade e che pur non conoscendo i miei problemi, dovrei cmq tentare.
Mi dico:
mica mi parlerà di eterologa ora, giusto? Ha detto lei stessa che non conosce i miei problemi.
Sbagliato.
Mi parla di Spagna e di eterologa.
Faccio un respiro e spiego, e che nessuno si offenda, per favore.
Non sono contro l'eterologa.
Nè da un punto di vista etico, nè fisico, nè morale, semmai economico.
Ma sono un'abortiva.
Quello che voglio io conta come il due di picche.
L'eterologa è una scelta che va fatta in maniera ponderata, valutata, ascoltata, amata.
Io non sono un'infertile.
Sono un'abortiva. Ho un nome e un cognome.
A me i figli muoiono in pancia, senza apparente motivo. No, lo ribadisco, perchè la differenza sta sempre qui, e non è che io me ne vanto, vorrei solo spiegare perchè.
Perchè ora io, da madre, ho bisogno istintivamente di dare una possibilità ai miei figli.
Io ho bisogno di credere che l'atto d'amore che ci unisce non genera sbagli.

E lei prosegue dicendo che capisce ma non condivide e che probabilmente lei l'eterologa la farà da sola, senza un uomo accanto.

Perchè le persone devono rivolgere a me le loro domande, come se mi appartenessero?
Questa è la mia attuale situazione.
Non è uguale a quella di nessun altro.
Io rispetto le posizioni di ognuna e le appoggio perchè so che vengono in ogni caso da una situazione di disagio e di dolore.
Qui non si tratta di condividere o meno.
Io non ho un'opinione avversa all'eterologa.
So solo che questo non è il suo tempo.
Per me.
Ma sono masochista, ripeto.
E incalza:
la natura a volte sceglie per noi
e in voi c'è amore ovvio
ma noi abbiamo dei limiti
ed accanirsi a volte è deleterio per noi.

Uè!Questa la sa lunga. mi dico.
E mi incazzo.
Mi incazzo perchè dire ad un'altra donna che si sta accanendo rispetto alle proprie scelte, senza conoscerne veramente i risvolti, i ragionamenti, i coinvolgimenti, è superficiale e dannoso se l'altra donna non è ben ferrata in materia.
Ed io lo sono per fortuna.
E la materia non è quella legislativa o di contenuto.
No. E' una materia emotiva.
In cui, permettete, sarei piuttosto brava.
E non mi fregate gente.
Che l'accanimento non è il mio .
Che se è questione di Natura, di Dio, di destino, chiamatela come volete, allora la nostra strada è già scelta, perchè cercare di raddrizzare una curva?
E ripeto.
Non è una questione di bivi, di scelte.
E' possibile che alla fine anche la nostra strada ci porterà a questa scelta. Ma perchè no?
Ma perchè la mia di scelta deve essere additata come quella sbagliata ?
E perchè le persone pensano di avere sempre una soluzione in tasca?
Va bene il consiglio, va bene il confronto, va bene tutto.
Ma avvicinarsi con discrezione alla questione, no, eh?
Che poi si pensa di essere tanto informati e ci si indigna per una Littizzetto che dice "ma adottate invece di accanirsi!"
E che differenza c'è rispetto a ciò che mi viene detto?
Nessuna.
Ognuno ha la sua storia.
C'è chi la condivide e si apre, c'è chi si ama imparando dalle esperienze altrui, c'è chi si arrocca sulle proprie posizioni che sono posizioni di paura, di terrore, di dubbi, io lo capisco, perchè cercare di avere un figlio da sole, non è per niente una scelta facile. Per niente.
Ma sono masochista, e tre.
Le dico che se ha bisogno posso aiutarla, che conosco bene anche la legge, e bene tutta la materia.
Mi risponde che va in Spagna.
Le dico che esistono molti altri centri oltre la Spagna, che è economicamente un salasso.
Mi dice che un figlio vale di più.
Stringo gli occhi.
I denti stretti.
Mi si vede la mascella muoversi.
Le spiego pacatamente che lo so che un figlio vale di più, che con lo stesso ragionamento ho fatto la  pma in privato, ma che pagare molto non è una questione di garanzia, che anche noi saremmo eventualmente collegati a Malaga, ma che ci sono molti altri centri più vicini e meno costosi e che sono un case report per i medici, e che di farabutti che vorrebbero buttarmi dentro la propria rete dorata ne sto incontrando tanti.

Mi risponde che il fenotipo spagnolo è più vicino a quello italiano piuttosto che quello slovacco.

ah.




scrivo che il fenotipo per chi vuole diventare madre a tutti i costi non dovrebbe essere un problema.
scrivo e poi cancello e non invio.





ma non era una questione di Natura?

ma vaffanculo va.


mercoledì 16 gennaio 2013

ciao amore mio

Che ci sembrava di stare a Grey's Anatomy lo sai?

Lunghi corridoi vetrati, uomini e donne in camice, gente di corsa, file lunghissime, attesa.
Chissà che storie dietro quei volti, quei sorrisi, quelle lacrime.
Che per una che di ospedali ne ha visti tanti negli ultimi anni, perchè mai questo era così diverso?



















Forse perchè non posso essere insensibile ad un pensiero architettonico contemporaneo, ad uno sforzo progettuale che mette insieme funzione ed estetica, comunque io ero rapita, dal sole che entrava attraverso il vetro e da niente più.

Non pensavo più a tutto il dolore che mi aveva portato a questa mattina.
Pensavo solo che questo è l'ultimo posto in cui sei stato, un mese fa.
Che anche tu hai percorso questi corridoi insieme al tuo papà, vicino vicino al suo cuore galoppante, così impaurito da quella mattina di dolore, mentre io, lontano da te, ti cercavo ancora tra le fredde pareti di un vecchio ospedale annerito, avvolta in coperte marroni.
Non dimenticherò mai quel freddo umido e quella lontananza da te.


E poi sei arrivato qui.
Questa foto l'ho conservata gelosamente.
Tu sei in quel minuscolo barattolino bianco e rosso sul bancone.
Lì ti ha lasciato papà, per sempre, affidandoti a chi avrebbe potuto capire.

Ed eravamo lì, ieri, di nuovo, mamma e papà, per leggere nero su bianco, risposte che forse non cerchiamo più.

Quelle risposte che non abbiamo avuto.

"a causa di una forte contaminazione di dna di origine materna, non è stato possibile effettuare l'analisi"
e, come ieri sera il mio carodott mi ha scritto via sms: "era un rischio e ovviamente si è appalesato, che palle" (cito testualmente), le risposte la Scienza, non ce le ha date.
Evito di riportare il lunghissimo colloquio con un signor genetista, accompagnato da due signore genetiste che sorridevano ad ogni sua frase. Questi signori avevano la mia età, dunque proprio signori non erano, comunque, a me veniva da ridere per come si atteggiavano, soprattutto lui, il genio, con l'aria di chi sa. Sbagliato.
Io so.
Noi due sappiamo.

La difficoltà di incontrare tanti specialisti che pensano di avere la soluzione in mano, è mediare le informazioni che mi arrivano, fare di sì con la testa, sorridere e poi agire secondo il proprio istinto e raziocinio.
E che cosa ci ha detto il nostro istinto, dopo aver parlato per un'ora e mezzo di diagnosi preimpianto, aneuploidie, metodi per discernere una triploidia dal cariotipo materno, trisomie, ovuli vecchi, sfiga, pma, percentuali di successo, percentuali di insuccesso, fuffa.
Fuffa.
Nei nostri cervelli, nei cervelli di mamma e papà si è appalesata (quanto mi piace questo termine, grazie carodott per averla usata) la parola FUFFA.
Aria.
Chiusa la porta alle nostre spalle, un profondo sospiro.
E' finita qui.
Questa gravidanza è finita con questa non risposta.

E noi ne siamo felici.

Potremmo sembrare dei pazzi, forse lo siamo.
Non sapremo più perchè piccolo cavaliere te ne sei andato.
La Scienza ci vuole raccontare di anomalie cromosomiche.
A noi ora non interessa più.
Nulla cambia sapere ora.

Ho capito che non potrò cambiare gli eventi di quello che già è scritto per noi.
Il mio bisogno di conoscere è stata una reazione immediata per non soccombere completamente al dolore. Allora ho studiato, cercato, chiesto.
E lo farò ancora.
Ma io ora so che qualsiasi cosa capirò, vedrò, vivrò, la mia strada e la tua piccolo mio, è una strada che per sempre ci vedrà insieme, mano nella mano.

Ora non sono più incinta di te.

ciao amore mio.





lunedì 14 gennaio 2013

Ti ringrazio di essere mia amica

una finestra nella finestra del domani


Cara dolce anna,
hai un grande spazio nel mio cuore,
ci puoi progettare il castello che più ti piace!
antico, moderno o un mix!
Non tutti i mali vengono per nuocere, 
ti ho trovato di una bellezza risplendente,
stai toccando il tuo archetipo femminile e questa dolcezza e saggezza sacralità, 
ti aprirà il cuore
e i cuori di tutti.
Sei una donna completa e meravigliosa.
Ti ringrazio di essere mia amica.
C.


E così, dentro un nuovo mondo, in uno studio con una finestra che chiama un'altra finestra, che vuole un'altra finestra, che si affaccia sul domani, il mondo mi è venuto incontro.
Con la sua quotidianeità, la sua semplicità, la normalità di uno scorrere creativo, e quella parte di cervello che non ho più voluto utilizzare, era lì, che mi aspettava, vigile.
E così, mi chiedete come fare ad essermi vicino.
Come fare ad essermi amica.
Come chiedere ad un bambino come si fa a volergli bene, quale è la ricetta.

Bastava poco.
E non avete voluto.
Bastava poco per capire.
E avete voluto credere che il dolore mi avesse cambiata.
I miei figli mi hanno cambiata.
Il dolore è un dono.
Fa parte del pacchetto.
Io l'ho accettato.
Voi no.

Non volevo essere capita.
Avevo bisogno solo di una carezza.
Senza soluzioni.
Che la soluzione non c'è ora e non sta a voi trovarla.
E bastavano queste poche parole.
Che mi rivelano come sono e quello che sono diventata.
Poche parole d'amore.
E di amicizia.

che 
L'amicizia e l'amore non si chiedono come l'acqua,
ma si offrono come il the. 
- tks to Stefania per il detto zen -



domenica 13 gennaio 2013

Una giornata normale.

una giornata normale
è passare ore con tre bambini, i miei nipoti.
D. 11, M. 10, A. 7 anni.
Facevamo un paio di conti,
D. poteva essere mio figlio.
Quando è nato, il mio desiderio di figli era lontanissimo, in un angolo nascosto del mio cuore.
Quando è nata M., siamo stati i suoi padrini di battesimo e l'abbiamo vista nascere e abbiamo scelto noi quel nome, e l'abbiamo amata, tanto, subito. Ma i nostri desideri erano ancora chiusi nel cuore.
Quando è nato A., potevamo essere pronti, ma non volevamo.
Oggi che vorremmo più della nostra vita, penso che loro sono quello che mi immagino.
Dei figli con cui parlare, con cui rapportarmi, un mondo di cui fare parte, un mondo che oggi mi viene precluso, di cui non mi si danno le chiavi di accesso.
Non mi immagino un neonato che odora di borotalco, e fiocchi e tenerezze varie quando immagino mio figlio.
Penso ad un figlio così, già grande.

Oggi, passeggiando per il centro commerciale, le persone dicevano che erano figli nostri (in particolare io e M ci assomigliamo tanto, pur essendo lei di origine eritrea e con tratti somatici tipici) e noi non negavamo.
Mi piaceva lasciarlo credere.
Mi piaceva crederci.

Una giornata normale è fatta di risate, mani nelle mani, panini al mc donald's, film della walt disney,    racconti di problemi di scuola, racconti di compiti a casa. Di stanchezza, di sonno mentre si torna a casa, di chiacchere adrenalitiche, di eccitazione, e ancora di mani, di mani, carezze, mani e ancora consapevolezza di responsabilità.
E consapevolezza che con un bambino accanto cammini nel mondo, e le persone ti fanno passare, non sei solo tu.
Sei tu, siamo noi, comunque.
Con dei figli che ci camminano accanto, di cui sei responsabile, per cui potresti uccidere, per cui potresti scalare montagne.

E poi tornare a casa noi due, con le lacrime agli occhi.
Con la conoscenza che a casa ci aspetta un figliolo peloso saltellante e tutti i nostri figli da non poter portare al cinema.
Una giornata normale.






venerdì 11 gennaio 2013

benvenuta


benvenuta piccola mia.
Lei è il nostro prossimo angelo.
E ha un nome, che ora non rivelerò.
Non so perchè ma una sera, ci siamo guardati e ci siamo detti contemporaneamente quel nome.
Io non so chi è.
Non so da dove arriverà.
Sarà.
Questo sì.
Da dove mi esce questa convinzione non lo so, sembro una pazza, questo sì.


Oggi è uno di quei giorni in cui le lacrime sono sempre lì per scendere. Non riesco a formulare una frase di senso compiuto e sento che non riesco a farmi capire.
Mi sento in colpa per molte cose che accadono.
Sento che non è quello che vorrei dire quello che esce dalla mia bocca. Ma sono parole che si mettono insieme e insieme fanno male.
Ho coinvolto troppe persone in questa storia.
Mia mamma è la vittima principale.
Ora tutto questo dolore non riesce a gestirlo e tra noi si è alzato un muro.
E' tutto troppo pesante per me.
Non so come fare, non so che dire.
Vorrei comportarmi diversamente da quella che sono.
Vorrei non essere pesante per gli altri, fare finta che nulla è accaduto, così da non dar fastidio, da non pesare sui cuori altrui.
Ma sono così, sbaglio, mi rialzo, cado, mi rialzo.
Non riesco a fare diversamente.

Vorrei tante cose.
Come tutti.
Cerco risposte perchè la paura non è di non diventare mai madre.
Io lo sono già e se questo è l'unica condizione per me, prima o poi una ragione me la farò.
Ma non posso non dare un volto alle morti dei miei figli.

Una volta mi fidavo incondizionatamente di chi mi curava. Oggi elaboro cosa mi si dice e cerco di capire. Sono il medico di me stessa e dei miei figli. Questo sì. E non è supponenza. 
E' senso critico.
Io non ho risposte.
Dunque, ho diritto di interpretare, di mettere alla prova.
Se così non avessi fatto, non avrei un citogenetico da discutere.
Non saprei che in Italia la diagnosi preimpianto è consentita (al di là dell'informazione che passa, ma per questo farò un post a parte), che tutte, e dico tutte, le mie analisi sono da approfondire.
Non porterà da nessuna parte il mio atteggiamento?
E' possibile.
Chi può dire però che io ho torto?
Nessun medico lo può fare.
Perchè una risposta non c'è e la medicina non è una scienza esatta.

Vorrei urlare oggi.
Vorrei disperarmi.
Ma non si può.
no.
non si può.


mercoledì 9 gennaio 2013

se così sarà.


Piccolo mio, mancano pochi giorni e poi sapremo.
Sapremo se eri un maschio o una femmina, anche se io già lo so, e sapremo perchè.
Forse.
Mancano pochi giorni, pochissimi.
E poi cominceremo a capire.
Capiremo perchè, nonostante la tua estenuante lotta (io lo sentivo), la natura ha vinto su di te.
Capiremo se i tuoi fratellini in attesa, saranno malati come te.
Capiremo.
Forse.
Forse no.
Quello che è vero, è che abbiamo imparato la lezione.
Nessuna speranza vana ci attende.
Se uno di voi si fermerà qui con noi, è molto probabile che lo farà perchè questo è il destino scritto per lui. Non un'altra realtà. Solo quella. Quella di vita.
E a poco, forse, servirà ciò che potremo fare per far sì che questo processo avvenga.
Non siamo noi a scegliere.
Possiamo confondere l'esigenza di capire, dietro la necessità di trovare la ragione per portarvi qui.
La verità è che, la mia ricerca, è per me stessa.
Io, per non soccombere al dolore, cerco una ragione a tutto questo.
Questa è la sola verità.
Se tu vorrai,
se tu potrai,
ti fermerai qui.
E vivrai.

Vivrai amore mio.
Solo allora, se così sarà, io arriverò.
Alla fine.

martedì 8 gennaio 2013

trenta giorni

Trenta giorni esatti di dolore, di assenza, di vuoto, di riconciliazione, di lacrime infinite, di ragionamenti, di studio, di perdita, di incomprensioni, e poi di voglia di futuro.
Trenta giorni da quel maledetto 7 dicembre alle porte di un natale mai arrivato, sulla soglia di un futuro incerto e pieno di paura.
Trenta giorni in cui ci siamo amati e uniti ancora di più, noi due, amici e complici.

Vorrei dire molte cose.
Ne ho pensate tante.
Poi le parole si incastrano e i concetti sono difficili da elaborare.
In questo mese sono cresciuta, ancora di più, anche attraverso storie che molte donne mi hanno raccontato.
Quello che è vero è che la vita riprenderà a scorrere, tra due giorni tornerò nel mio studio, guiderò fino lì, mi scenderanno lacrime di nostalgia ferma nel traffico romano tornando a casa. Spolvererò la scrivania e i libri abbandonati lì da settembre, tornerò a parlare di lavoro.
"ti farà bene"
mi dicono.
Io dico che il riprendere la vita che era "prima", non farà altro che sottolinearmi che lui non c'è e che questo gennaio è davvero diverso da come lo avevo immaginato.
E la vita scorrerà così.
Senza.
E poi tornerò a farmene una ragione e poi di nuovo spererò nel futuro e coltiverò la speranza, solo che non so se riuscirò a crederci ancora.

Mi è stato chiesto come fare a starmi vicino.
Non mi è stato chiesto come fare a starmi vicino.

Io invece mi sono chiesta perchè in un modo o nell'altro debba essere io a trovare la soluzione.
Io non so niente.
Per la prima volta nella mia vita non conosco, non so cosa mi aspetta, non ho il controllo della situazione, che per un'irrazionale pentita è molto, tanta roba.
Ho parlato a lungo del dolore, principalmente con chi sa cosa significa provarlo.
Sabato con Giulia ne abbiamo discusso a lungo. Giulia che ha perso Luca solo sei mesi fa.
Si osserva che la gente usa i filtri per comunicare.
Ci si preoccupa del suo bambino, ma non di lei che ha perso suo marito. Ovvero, si riesce a comunicare di più attraverso la preoccupazione per un bimbo che non sa rispondere di cosa è successo, perchè è più "semplice" rapportarsi così.
Noi ieri abbiamo trascorso un paio d'ore a casa di una zia per una riunione conviviale tra cugini, e si è preferito dedicarsi al nostro piccolo Hope, abbracciarselo tutto, scherzare con lui, farlo giocare, dargli i bocconcini (e Hope ha ringraziato felice ma poi stremato ieri sera è crollato e ha dormito fino a stamattina alle undici!), piuttosto che chiedere "come va?", "è passato il dolore?".
Perchè per la tristezza non c'è posto, il lutto è un tabu, al dolore non si sa rispondere.
Di questo ne siamo consapevoli.
E camminiamo per questo mondo, con un'etichetta che ci distingue, un segnale di "attenzione" sulla schiena, che si accende e si spenge.
E ti chiedi se anche tu prima eri così, e io non so, ma credo di no, forse è una questione di carattere, forse no. Comunque, io non credo di dover dare sempre delle spiegazioni.
Il fatto che io svisceri tutto, che esterni, che condivida, non dà diritto a pretendere spiegazioni sui miei comportamenti.
Chissà, forse sono io alla fine che voglio darne.
Chissà perchè ogni volta io debba ricercare l'approvazione esterna e chissà perchè poi in un modo o nell'altro io riesca sempre a mettermi in una posizione di vulnerabilità e di fragilità.
chissà.

La vita continua.
Il mio corpo ha bisogno di cose belle.
Anche il mio cuore.
Oggi mi sono ritrovata a pensare alla mattina in cui abbiamo fatto l'ultima triste ecografia.
E ho ricordato che mentre stavamo per entrare nello studio io dissi "non sono pronta a ricevere brutte notizie. Non ho voglia di brutte cose. Non ho voglia di affrontare di nuovo quello che conosco, ho voglia di cose belle."
non ero pronta, non volevo piangere.
volevo stare bene.
e ho "dovuto" piangere.
Però ora voglio stare bene, anche se mi si strozzano le parole in gola.
allora,
tra le tante cose che stanno per ricominciare, noi, abbiamo messo a posto la cuccia dei nostri piccoli.
Quando l'abbiamo costruita avevamo appena passato il primo aborto, la camera non esisteva, noi abbiamo pensato di costruirla per far tornare il nostro angelo presto. Poi però l'abbiamo lasciata così, con i mobili buttati dentro, senza pitturare, senza zoccolino, uno pseudo studiolo...tanto poi quando arriverà il cucciolo la metteremo a posto. Dicevamo.
E sono passati tre anni.
Ricominciamo da qui.
Tre giorni per rinascere, con la schiena che fa male, i muscoli che tirano, la fatica fisica quella che ti fa crollare a letto senza pensieri.
E la stanza è rinata, anzi no, è nata.
Ed è nuova.
Un segnale di rinnovamento.
E non è più un non-luogo senza destinazione.
Ora è uno studio.
Con le pareti appena pittate, lo zoccolino nuovo, la tenda rossa, i libri non più polverosi, una scrivania di vetro.
E non è una resa.
E' qualcosa di definito.
E noi se ci svegliamo nella notte, da una settimana facciamo capolino nella stanza, per ammirarla, per immaginarcela piena di vita quando il nostro bambino tornerà.
Perchè la forza per immaginarci che tornerà, ancora ce l'abbiamo.
E allora bussiamo prima di entrare e chiediamo permesso.
E questo ci fa sorridere,
finalmente.






giovedì 3 gennaio 2013

Onnipotenza

Cosa vuol dire avere la vita dentro l'ho scritto tante volte.
Cosa vuol dire avere la morte dentro pure.
Cosa vuol dire averle insieme forse no.
Scrivendo a Silvia stamattina mi sono accorta di non averlo mai fatto.
E non è poco.
La prima volta che sono rimasta incinta mi piaceva tanto quella espressione in cui affermi di "avere due cuori insieme". 
Mi piaceva tanto.
Oggi posso dire di avere avuto la morte e la vita insieme.
Certo, non è proprio la stessa cosa, ma è tanta roba.
Non è da tutti accettare questo.
Ma io sono un'abortiva con recidiva e forse è il caso di cominciare a farci i conti con questo concetto, e stavolta, che mi hanno ucciso il futuro, la questione si è ben saldata in me.
Cosa c'è di diverso stavolta.
C'ho pensato ieri, che il ciclo è tornato, dopo soli ventisette giorni dal raschiamento, a soli sette giorni dalla fine delle perdite da raschiamento.
Tutte le altre volte il ciclo che tornava era il ciclo di rinnovamento, la svolta per ricominciare.
Invece stavolta no.
Stavolta non è mai finito nulla.
Non ci sarà una svolta. Non ci sarà un nuovo inizio.
Ci saranno altre cose, più belle, meno belle, ma non sarà un nuovo inizio, un nuovo anno.
Ho assunto la consapevolezza che la morte mi ha abitato e molto probabilmente tornerà a farlo.
E non posso fare finta di niente.
La vita, la morte, fanno parte di noi, ci sono perchè esistiamo. E se mi hanno abitato per un certo tempo, è perchè i miei figli sono esistiti, e di questo bisogna che io ne ne prenda atto per rispetto a quello che sono stati e che sono ora.
Non so come spiegarvi.
La condizione di gravidanza fa sentire la donna onnipotente.
Ammettiamolo.
Hai dentro una vita che non è la tua ma è la tua allo stesso tempo.
Forse così si sente il Signore quando si rivolge a suo Figlio.
E' onnipotenza pura.
Probabilmente è per questo motivo che chi non sente il bisogno di approfondire il concetto perchè lo dà per scontato o pensa che la nuova condizione fisica gli sia dovuta di partenza, una sorta di full optional dato alla nascita, sbandiera quella pancia, spingendola in avanti nella società, come fosse l'unica pancia dell'universo.
Che per carità, ci sta, se ti senti così onnipotente. Basta che non me la sbatti in faccia per passarmi davanti mentre siamo in coda alla posta, che t'ho visto bella! tu stai bene, te sei fumata ora 'na sigaretta, hai sfanculato il tuo ragazzo, hai litigato con una commessa, sei stata quattro ore fuori al freddo e al gelo con il tuo i-phone in video chiamata, lascia perde.
Tu che ignori, il diritto non ce l'hai.
Io si.
Io non solo ho avuto la vita dentro come te.
Ho avuto pure la morte.
E cara mia, fino a prova contraria, vinco io.
Esistono gli elimina file per le abortive?
Dovrebbero farli.

E questo post non ha senso.
come non ha senso che i miei figli mi muoiano in pancia.
come non ha senso che io non riesca a trovarne la causa.
vorrei arrivare a prendere il nobel per la medicina per aver finalmente trovato il problema, e poi la soluzione.
ma non sarà così.
non ci sarà nessun nobel per nessuno.

Ci sono certe donne che pensano di essere miracolate perchè passano da una situazione normale ad una situazione di gravidanza, in condizioni normali a loro volta, ma io il miracolo non ce lo vedo.
Ci sono donne che assumono automaticamente l'atteggiamento di io so come va la vita tu no, per il discorso di cui prima, ma considerano scontata la loro situazione. Anzi, non scontata, dovuta.
E poi ci sono donne che si sentono diverse, e come me, alla fine ne sono pure felici, perchè in fondo, il più bel dono che mi hanno fatto i miei figli fino ad oggi, è che io davvero conosco.
Conosco la differenza.
Ed è difficile da condividere questa differenza, ma io la sento, e a volte, davvero, mi sento grata per il dono che mi è stato dato.
Perchè è difficile ammetterlo con se stessi, ed è difficile farsi capire, ma anche la mia condizione, ora che l'ho assunta, è un dono.

Ed io ne farò tesoro.