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lunedì 20 maggio 2013

Dietro la lavagna

Due notti fa ho sognato tutta la notte, di dover scalare una montagna altissima.
Una roba organizzata, tipo la scalata del K2.
C'avevo pure gli sponsors.
Io che, la mia prima ed ultima scalata l'ho fatta per una montagna di 2000 mt di altezza, e che una volta arrivata in cima mi è preso un attacco di panico e sono dovuta riscendere di corsa, praticamente a occhi chiusi.
E invece in questo sogno ero organizzata per una grande scalata, un'impresa titanica.
La cosa bella era che, durante il giorno dovevo continuare a svolgere la mia vita di sempre e dunque tornavo al punto di partenza per andare a lavorare, e poi, finita la giornata o gran parte di essa, prendevo una scala mobile che mi portava al punto in cui avevo smesso di salire e ricominciavo a scalare, un altro pezzettino.
Durante questa ascesa, mentre la sera prendevo la scala mobile, ricevevo posta. Tantissime lettere di fans che mi incoraggiavano a salire.
Una fatica.
La cosa bella è che comunque, faticosamente, ogni notte, io salivo un pò. Un pò. Ma continuavo a salire.

Stanotte invece ho sognato urla e sangue e omicidi splatter.
Le urla della persona che scopriva una nostra amica ammazzata, le ho ancora in testa.
E anche la paura, il terrore provato.

Non c'è bisogno che io spieghi nulla di questi sogni, mi sembra.

Il ciclo liberatorio è arrivato.
Finalmente.
Silenzioso, a tratti un pò invadente, a tratti inesistente.
Non direi un ciclo troppo liberatorio, ma comunque, tant'è.

Ah. Anche il crollo è arrivato. Il famoso crollo degli ormoni che ormai aspetto con l'orologio, condito dal mio solito senso di abbandono, quella sensazione che mi chiude la gola e che mi fa lacrimare, più di tutti gli aborti messi insieme. Quel senso di ingiustizia provato, che poi si trasforma in rabbia, che non accetti. Quel bisogno di urlare.
Urlare senza voce ormai.
Un urlo straziante, senza rumore.

Questo sono diventata.
Leggo la mail con il risultato delle bhcg che calano, mentre faccio la spesa al supermercato.
Mi guardo da fuori e quasi mi metto paura.
Cosa sono diventata.
Una quarantenne a tratti arresa.
Mai avrei pensato a questo.
Ma solo gli stolti riescono a prevedere davvero come andrà la propria vita.
Solo i geni la programmano nei minimi dettagli, e uccidono, pur di non uscire dalle personali loro previsioni.
E io non so uccidere.

Sabato pomeriggio, tra le lacrime (ero in post crollo time) ho beccato una trasmissione demenziale in tv, e va bene, mi serviva per spengere il cervello in quel momento, mentre mi contorcevo a letto dai dolori, e le mie antennine hanno captato le parole aborti-solitudine-figli-alla fine il successo.

Al 17° minuto:
http://www.video.mediaset.it/video/verissimo/full/389904/puntata-del-18-maggio.html

le lacrime senza sosta quando sono arrivate?
Quando il famoso dottore ha pronunciato queste parole:
"non esistono donne con una predisposizione abortiva, parliamo del primo trimestre, che continua a ripetersi indefinitivamente"

Certo, lo so, non è il mio caso.
O comunque, potrebbe non esserlo.

La questione è che io non riesco a mandar giù il concetto che, come la natura mi ha predisposto a concepire la vita  così facilmente, come è possibile che mi predisponga così facilmente alla morte.

Ecco.
Sono un'illusa, un'ingenua, una cocciuta, una cretina.
Ho trentanove anni e mi sono distrutta.
Mi sono distrutta tanto da fare la spesa e leggere il calo delle mie beta senza batter ciglio, anzi, acquistando un pò di carne in più, prevedendo il calo del ferro.
Chiamo per nome i miei angeli.
Mi giro dall'altra parte quando incontro le persone che mi hanno abbandonato con questo dolore, poi piango da sola, nel letto, al buio, per non farmi vedere.
Non rimando più niente.
Non fermo la mia vita.
Non lo faccio più da un anno, da quando ho rischiato di morire.

Oggi ho buttato nel secchio dell'immondizia, tutti i test di gravidanza positivi avuti finora, che ancora conservavo in fondo alla scatola dei ricordi:

Non sono più quei test che mi ricordano l'amore che è stato. E' altro.



Però poi vorrei sentirmi una persona normale.
E non lo sono.
A me è capitata questa storia.
Poteva andarmi peggio, per carità.
Però vorrei non essere pesante,
non avere questa etichetta addosso,
non sentirmi isolata,
ghettizzata,
messa in quell'angolo in cui a volte, vado da sola.

Dietro la lavagna.


giovedì 4 aprile 2013

Poter scegliere.

"La questione di fondo è che si può stare di fronte alla vita e alla morte solo ricono­scendo che hanno un senso e ultima­mente non dipen­dono dall’uomo"


Ho trovato questo articolo, dal blog di Costanza Miriano.

Battere l'aborto con la comfort care

Sono contro l'aborto.
Per le esperienze che ho avuto, ma non faccio proclami, non seguo le associazioni pro-life, non pubblico video choc contro gli abortisti.
Non vado mai all'estremo delle posizioni.
Non mi appartiene questo modo di pormi. 
Valuto.
Cerco di mediare.
Cerco di comprenderne i perchè.
Questo articolo mi commuove.
Ora non scrivetemi che ognuno fa le sue scelte e che dobbiamo avere la libertà di scegliere.
LO SO.
va bene.
siamo tutti daccordo.
Non è quello che mi interessa, ora, però in questa sede.

Cerco pezzetti di speranza.
Quando li trovo li metto da parte come in una collezione.
Questo punto di vista medico è un pezzetto di speranza per me.

"Dovevo dare tutto di me come medico, ma la sua vita era nelle mani di un Altro che si faceva conoscere attraverso il pa­ziente stesso"

Spesso mi capita di pensare che se un giorno uno dei miei bambini si fermerà qui, potrebbe avere qualche patologia grave genetica, perchè nessuno mi ha escluso categoricamente che il problema non possa essere genetico.
Mi vedo di fronte a situazioni del genere, mi immedesimo in quei genitori che hanno vissuto questa esperienza. Mi chiedo cosa farei, dopo tutti questi aborti, mi chiedo davvero cosa farei.
Non è scontata la risposta.
Sapere che, nella pratica, nella quotidianeità, qualcuno può offrirmi un'alternativa mi tranquillizza.
Perchè, se è vero che ognuno di noi debba sentirsi libero di scegliere per l'aborto, è vero anche che spesso, per molti motivi, non certo morali, nelle strutture ospedaliere, la scelta non viene proposta. E' vero il contrario.
E' solo questo.
Non ho problemi a subìre attacchi ideologici sulla questione.
So che questo è possibile che avvenga.
Ma quando si tratta di vita, non ci sono ideologie che tengano.
Conta il cuore.

Ed io ce l'ho grande, perchè deve contenere tutti i miei figli.


lunedì 11 marzo 2013

figlia del suo Figlio



Stasera, ho bisogno di fermare i pensieri, e queste parole mi riscaldano l'anima e mi danno la forza e il perchè di questo cammino.

A volte dimentico la ragione per cui lotto ogni giorno.

A volte la paura e la sofferenza vincono sul cuore.

Non scrivo nulla, lascio alla lettura di questo post meraviglioso e ringrazio l'autore.

Dal blog http://lacapannadellozioblog.wordpress.com/

In ebraico e in altre lingue semitiche, come l’arabo e l’aramaico, la misericordia di Dio si esprime con la radice r-h-m, da cui il termine ebraico rahamim, plurale o accrescitivo di rehem, utero, seno materno. Sempre in questa lingua, quindi, misericordia ha il significato di “uteri”, al plurale, o meglio ancora di “grande utero”, un’unione infinita di tanti seni materni. Alla luce di questo, riesce più facile comprendere il passo in cui è scritto:
Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai (Isaia 49,15)
Di madri che si dimenticano dei loro figli, li abbandonano, li abortiscono, li sacrificano alla propria carriera, agli amori, al successo oggi abbiamo tanti, troppi esempi. Di altrettante madri che, involontariamente, feriscono, sbagliano e, in qualche modo, deludono sentiamo ugualmente parlare. In ultimo, tutti sperimentiamo o sperimenteremo un primo, un secondo, tanti distacchi dalla madre, dalla sicurezza e dall’affettuoso calore che ci proteggevano e ci circondavano prima di venire al mondo e nella prima infanzia. C’è il parto, il freddo, traumatico contatto con il mondo esterno, ci sono le luci al neon dell’ospedale e le tante persone che circondano il neonato, lo affliggono con mille controlli, lo schiaffeggiano leggermente per farlo iniziare a piangere e a respirare da solo, gli tagliano il cordone ombelicale; ci sono gli altri legami da tagliare, il primo giorno di scuola, l’adolescenza, la ribellione, l’uscita di casa per andare a studiare fuori e poi il matrimonio, la malattia, i capelli che divengono bianchi e i volti che si riempiono di rughe e di segni che tradiscono il passare del tempo che condurrà, inevitabilmente, all’ultima, definitiva separazione.
La vita non è priva di madri che dimenticano i figli, molto più spesso è piena di figli che dimenticano le madri e, ancor più frequentemente, di persone costrette – perché è naturale che sia così – ad imparare a camminare ogni giorno con le proprie gambe e a non poter contare più su qualcuno che ti aspettava al ritorno a casa, che ti riempiva di attenzioni e il cui mondo ruotava intorno a te.
In questo tempo di particolari e drammatiche incertezze, poi, siamo un po’ tutti attoniti di fronte a tanti avvenimenti, tanti abbandoni, mancanze e nostalgie. E’ come se l’umanità intera avesse paura, si sentisse smarrita di fronte agli eventi che stanno inevitabilmente marcando il momento storico nel quale ci troviamo. Da un lato, emerge la necessità, per ognuno di noi, di una maggiore virilità e di una più grande consapevolezza delle nostre responsabilità di adulti; dall’altro, la nostra povera umanità ci spinge sempre a guardare in su, anche se siamo cresciuti, verso qualcuno che è più grande di noi, verso occhi che ci rassicurino, occhi che siano più in alto rispetto ai nostri, proprio come quelli della madre quando eravamo bambini.
Penso che la misericordia di Dio sia proprio questo: uno sguardo dall’alto, delle braccia che avvolgono; una voce soave ma, allo stesso tempo, autorevole che spinge, conduce, indica, traccia il cammino da seguire e che incoraggia a non fermarsi; un grande utero che, nonostante, i mille difetti, i mille tradimenti della creatura che custodisce, nonostante le accuse di chi afferma che la nostra umanità sia indegna di vivere, di esistere perché difettosa, imperfetta, piena di handicap e di deformità, si rifiuta di abortire il frutto delle sue viscere, ma gli dona la vita gratuitamente una, dieci, cento, mille volte, lo chiama ad amare, a divenire grande come l’universo di cui, apparentemente, questo piccolo essere costituisce solo una parte infinitesimale e trascurabile. E, perché questo puntino ricordi di essere amato dall’Infinito, il grande utero che lo porta in grembo ne assume la forma e gli dona persino una Madre in carne ed ossa, quella stessa Madre che lo magnifica per averla tenuta nel suo grembo, ovvero per aver avuto misericordia di lei, sua serva, figlia del suo Figlio, cosicché anche quelli di noi che non hanno mai conosciuto la dolcezza di una mamma terrena possano essere certi di essere figli amati di qualcuno.

stamattina, Roma.
E noi, in attesa.

venerdì 8 marzo 2013

condizione di donna-mamma non riconosciuta

Post ad alto livello di ormoni emotivi

..che tanto ormai quelli comandano.
Non la mia testa, il mio cuore, il mio corpo.
Gli ormoni comandano.
A me è successo che dopo tutti questi aborti, la conseguenza più evidente è che i livelli ormonali si sono innalzati talmente tanto da fare picchi così elevati che potrei scalarli senza fatica.
E così non dormo.
Dormo male.
Mi pesa tutto questo fare finta che le cose sono normali, mentre intorno a me è tutto un  lievitare di pancia e nascite felici.
Ieri sera ero ad una cena dove erano presenti 4 bimbi fascia 7-11 anni: per fortuna, vedo e prevedo, ho saltato la mia lezione di yoga perchè sapevo che sarei stata risucchiata energeticamente da loro, ovvero, dai loro genitori inesistenti e assenti, e che avrei mandato sprecata la lezione, oro per me.
E così è andata.
Mi sono scoperta a provare una nemmeno troppo sottile rabbia di fronte a comportamenti di maleducazione inaudita, frutto di assenze comportamentali, di evidente fastidio quando i bambini interrompevano conversazioni inutili tra adulti, quando nessuno ha detto loro che se si buttavano in corsa su tavolini non occupati da noi, facendo cadere bicchieri di vetro, forse avrebbero dovuto chiedere scusa alla cameriera che tutta la sera ci ha servito, piuttosto che avere reazioni di rabbia e non tolleranza alla sgridata, come se, a dieci anni, la ragione e il mondo appartenesse solo a loro.
Ma va bene.
Se non voglio cacciarmi in situazioni in cui mi si può dire "tu non puoi capire perchè..." sto zitta.
Nemmeno quanto dovrei.
Vedevo mio marito fremere. Battere i piedi sotto il tavolo e ripetersi il mantra "nonsonoilloropapà-nonsonoilloropapà-nonsonoilloropapà-nonsonoilloropapà...."

E così via.
Così sarà per sempre.
Fino a quando questi figli cresceranno.
Poi si parlerà della loro università, delle loro scelte, delle loro amicizie, delle loro vacanze.
Perchè chi ha figli, ti ripete, con misto di compassione, che non è vero che nei nostri incontri si parla solo di figli. Si parla con cognizione di politica, cucina, teatro, lavoro.
Balle.
Genitori per sempre.
Non si rendono conto che la loro esistenza si appoggia a quella dei loro figli.
In tutto.
Ci si racconta che non è così, ma non è vero.
Si è genitori per sempre, ed è una condizione di default, si diventa modello-base, poi si può decidere di acquistare gli accessori, ma la base c'è, ed è scontata.

E noi non potremo mai capire davvero fino in fondo cosa significa, anche quando i bambini non chiedono scusa se rompono un bicchiere al ristorante.

Questa sin qui, la condizione di donna-infertile.
Perchè possiamo cantarcela, possiamo raccontare un sacco di altre cose, ma è la quotidianeità che ci viene sbattuta in faccia che scava, scava, e ti rende diversa.
Sono le cose piccole, quelle semplici, come quando scegli una pizza, e non la prendi piccante perchè una fetta la potrebbe anche mangiare il tuo bambino.
Capito? Pensiero di default.
Perchè sei madre.
E per quanto si possa dir di no, conti meno di tuo figlio, vieni dopo, anche se sei la peggior stronza del mondo.

Ecco.
Se poi aggiungiamo a questa condizione di donna-infertile, la condizione di donna-infertile-poliabortiva, il mix è scoppiettante.
Perchè vai a spiegarlo in giro che tu ti senti mamma come tutte le altre.
Spiegalo che però non hai mai allattato, anche se il latte, dopo un aborto, ti esce lo stesso.
Spiegalo che la tua pancia è cresciuta e che ha contenuto.
Spiegalo che ti sei sentita responsabile allo stesso modo della mamma che non prende la fetta di pizza piccante.
Spiegalo che tutti i giorni racconti quello che fai ai tuoi figli, ma che non puoi stringere contemporaneamente le loro manine.
Spiegalo che anche tu sognavi carriere universitarie e viaggi nel mondo.
E dialoghi per spiegare, che il rispetto dell'altro, del lavoro che fa, deve venire prima di ogni capriccio e gioco adrenalitico.

Non ho voglia di riaffrontare tutto.
Non trovo il coraggio.
E' tutto innaturale.
Nessuno mi dà certezza che stavolta sarà diverso.
Per quel che mi riguarda alla fine la mamma è già arrivata, ma il mondo non lo sa, la società nemmeno.
La prossima estate e autunno mi restituiranno nuovi pargoli ed io non potrò fare finta che non esistono, non potrò mettere in stand by il pc, cancellarmi da forum, attaccare il telefono.
Non potrò farlo perchè non è giusto.
Dovrò guardare negli occhi quei bambini e chiedere loro come erano i miei quando stavano lassù.
Dovrò parlarci per forza ed io non lo so se sarò pronta.
E se anche stavolta andrà male, mi annoierò anche a raccontarmi.
Ho scavato fino al midollo la mia esistenza, tirando fuori mostri e paure e gioie e positività.
Sono nuda.
Pulita.
Vergine.
Ma il ricordo non si cancella.
E' indelebile. Fortifica dicono. Preferirei essere una debole ora e non avere il ricordo di quel dolore.

La condizione di abortività ti mette di fronte al fatto che non si riesce ad accettare il fatto che i tuoi figli vengono concepiti ma non vivono.
E' un paradosso talmente grande che apre varchi impossibili da superare, baratri in cui sei risucchiata, che ti soffocano.
Sono una donna.
Sarò per sempre una madre di bambini mai nati.
Una madre non riconosciuta, senza il patentino.
Anche la mia è una condizione di default.
E forse bisognerebbe parlarne un pò di più.
Invece non è così, perchè guardare in faccia il dolore non è facile.
Ammettere un fallimento che non dipende da noi non è normale.
Sentire la vita e la morte contemporaneamente è da alieni, non è da donne.
Ecco.
Sono gli ormoni che parlano?
Già.
Raccontiamocela così.

giovedì 28 febbraio 2013

Niente di che.

Sono un pò confusa in questi giorni, ma non centra nulla la mia condizione di abortiva latente.
La condizione di confusione è dettata da quello che mi capita di ascoltare intorno a me.
Mi mette paura il qualunquismo, la non coerenza, la superficialità, la dissacrazione a tutti i costi.
Ieri sera erano nostri ospiti due ragazzi, figli di ex vicini dei miei suoceri, classe '84 o giù  di lì, che normalmente adorano mio marito, che considerano come un fratello maggiore. Sono rimasta basita e infastidita dal loro porsi di fronte la questione italiana. Ma non ne faccio un problema politico. Mi dispiace sentire il cinismo e la supponenza e l'arroganza con cui molti si stanno ponendo, pensando di avere ragione, come si stesse giocando un derby di calcio.

A me non interessa avere ragione.
Credo profondamente nelle istituzioni, per le quali prima di noi, altri italiani sono morti.
Credo profondamente nel coraggio, nella forza dell'onestà, nell'amore per il mio paese.
Mi sono addormentata con la pena nel cuore: mi dispiace per tutto quello che tanti giovani si sono persi, si stanno perdendo e per la rabbia e la paura mascherata da menefreghismo.
Come scrivo continuamente per la situazione che più mi caratterizza, la paura va affrontata, il dolore anche.
Nasconderli non ci aiuta.
Lo ammetto.
Mi sono sentita vecchia.
Alla fine anche io mi arrocco su una posizione, quella dell'esperienza.
E questo vuol dire invecchiare.
Bene però.


Oggi la mia insegnante di yoga mi ha "confezionato" una nuova lezione, fatta apposta per me.
Mi ero sfogata anche con lei per il mio modo di assorbire la tristezza e la rabbia altrui, e di quanta energia mi viene sottratta. Abbiamo lavorato sul quarto chakra, quello del cuore.
Sto imparando a liberarmi di tutte le zavorre che fino ad ora hanno appesantito la mia esistenza, e per me, con il mio carattere è un'altra conquista. Un altro pezzettino sul mio cammino.
Avverto un profondo cambiamento, una radicale modificazione del mio essere.
Mi sorprendo per questo, ma forse le cose non potevano andare diversamente. Forse era necessario davvero tutto questo e comunque sarebbe accaduto.
Sto imparando ad accettare.
In fondo quello che ho sempre fatto fino ad oggi è stato non voler guardare quello che accadeva, per non crollare. 
Oggi quello che faccio è guardare il presente e al futuro con accettazione, che non vuol dire arrendermi, vuol dire essere presente a me stessa, vuol dire andare avanti con cognizione, lucidità e amore.
Amore per guarire.
Per portare a casa i miei figli.
Essere un'abortiva vuol dire questo.
Per me.
Fare i conti con una me stessa che non sapevo esistesse.
Niente di che.



giovedì 20 dicembre 2012

lunedì 17 dicembre 2012

Essere un'abortiva oggi




I bimbi di Newton sono in maggioranza del 2006. nel pensare a questo, mi torna in mente il disagio che avevo quando vedevo un bambino (maschio soprattutto) del 2006 vivo. mi viene in mente il furibondo senso di ingiustizia che accompagna chi perde qualcuno e non riesce a farci pace. mi viene in mente che questo sentimento vale per tutti, e che persino noi genitori in lutto potremmo per mille motivi rappresentare il sogno infranto di qualcun altro. Soprattutto, riconosco a pieno l'irresistibile errore del sentirsi al centro dell'universo col proprio personale dolore, quando, ad esempio, sei anni e mezzo più tardi, i coetanei di mio figlio se ne sono andati, come lui, dopo un frammento di vita comunque breve che lascia comunque insoddisfatti. Perchè i bambini che mancano all'appello, sono protagonisti di storie già scritte nei cuori delle loro madri e dei loro padri. Perchè guardi quelle faccine e ti chiedi se anche Lapo avrebbe sorriso in quel modo, con gli occhi ingordi di futuro. E provi smarrimento e orrore, come essere umano, di fronte alla lezione che il dolore non si impara mai fino in fondo. E ogni volta torna con spigoli diversi.
da Ciao Lapo Onlus