martedì 26 luglio 2011

strana estate



strana estate questa,
preludio di un evento
in attesa di una gioia.
Guardo il cielo,
il naso freddo,
stelle brillanti come fosse primavera
la prima estate senza te, nonna
e l'ultima senza di te, figlio
alla fine arriverò
e insieme conteremo i granelli di sabbia
rimanendo incantati ad osservare
questo tempo.

sono qui, ora.
sorrido
e ti aspetto.

sabato 23 luglio 2011

storia di una mamma e di un figlio


Postato 02 settembre 2006 - 16:59
...Ommo se nasce, brigante se more

Mi chiamo Paolo.Ho 51 anni. Ho vissuto tutta la mia vita nel cuore di Roma: Trastevere. Mia madre ha un negozio di frutteria da generazioni, i suoi genitori lavoravano nella frutteria, le sue sorelle lavoravano nella frutteria, io e i miei fratelli lavoriamo nella frutteria.
Mariella è la più piccola, l’unica femmina, poi c’è Giuseppe, Giovanni e Luca. Poi ci sono io. Oggi verrei definito come “transessuale” per me non ha importanza, voi chiamatemi come volete, io sono io, quello che vi sentite di voler specificare, lo fareste comunque, anche se io non volessi.
Non sono un tipo facile. La mia vita è stata difficile fino ad oggi, ma la mia famiglia è tutto per me, e non riuscirei a rinunciare a qualcuno di loro. Mamma, la sora Eva la chiamano, è una vera signora: tutti la rispettano qui nel quartiere, il nostro negozio è conosciuto da tutti, e ancora oggi che non è più il “nostro”, la gente che sta lì da sempre, lo chiama la frutteria de la sora Eva.
Quando mamma ha deciso di vendere il negozio, perché lei non ce la faceva più da sola, è stato l’unico momento della mia vita in cui avrei voluto ammazzarla di botte, abbiamo discusso tanto per telefono. Ma che ho fatto io per aiutarla poi…lontano dalla sua vita, l’ho lasciata piangere,convinto che non avrei potuto fare nulla. Quella frutteria era tutto ciò che ci teneva uniti e oggi si è trasformata in cinquanta milioni di lire ciascuno da mettere in tasca, tutti felici e contenti. A me li devono ancora dare. Che centra. Hanno detto che se no, me li bevevo. Non che avessero poi tutti i torti, ma adesso non lo farei, adesso che sto finendo la mia vita ne avrei bisogno.
Papà era un debole, non era cattivo, lasciava che il seno abbondante di mamma lo riempisse, la guardava e accettava tutto ciò che lei diceva, non era quello che si può chiamare padre-padrone, anzi. Sapeva guardare con i suoi occhietti piccoli e lucidi al di là delle apparenze, ma non parlava mai. Aveva accettato il mio essere così, ma non me lo aveva mai detto, lasciava che il tempo coprisse le ferite e poi finiva le sue serate al bar, lontano dalle nostre grida, lontano dalle paure.
Mi piaceva lavorare per mamma, mi piaceva quando mi mandava dalle signore coi soldi, a volte, se finivo prima, avevo il tempo di fermarmi da qualcuna di loro e chiedere il permesso di consigliarle nella scelta di certi vestiti, luccicosi e morbidi al tatto, di quelli che si indossano nelle serate importanti. Mi incantava quel mondo e io ne facevo parte. A volte accompagnavo Giuseppe, mio fratello più grande. Lui mi sa che un po’ di me si vergognava, non me lo diceva, però spesso mi dava le botte, così, senza un vero motivo. E poi mi diceva di non salire con lui dai clienti, mi faceva aspettare in fondo alle scale, e allora io scappavo. Una volta gli aveva preso che prima di lasciarmi in fondo alle scale, mi toglieva le scarpe, così io non potevo scappare. Però me ne sono andato lo stesso, non le volevo le sue botte, e a mamma non lo dicevo, e così sono scappato a piedi nudi, mi sono infilato sul 75 e so’ tornato a casa. Quante ne ho prese dopo…

Mamma mi sorrideva, tirava su le maniche del vestito, si sfregava le mani, e mi raccontava una storia che faceva ridere, mentre impastava le fettuccine per la domenica, non mi chiedeva niente, però lo capiva che avevo pianto. Il suo silenzio complice mi ha accompagnato nella mia vita, e lei cresceva con me. Però le sue lacrimle io le vedevo. Le vedevo dal suo angolino buio scendere sul viso, la notte, quando rientravo in silenzio per non svegliare tutti. Io, tremante sui miei tacchi a spillo, barcollante per il troppo alcool nelle vene, raggiungevo il mio letto sfinita, senza nemmeno struccarmi, con il sapore salato delle sue lacrime, e ancora l’odore di sesso sul mio viso. Però ero bella. Mamma mi cuciva spesso i vestiti, sfilavo con un fisico impeccabile, fasciata in rossi brillanti, coscientemente insensibile agli sguardi, spavaldamente presente alle occasioni mondane di una Roma che cambiava, stretta nella morsa delle manifestazioni di piazza e le poltrone calde e pronte di chi il potere non se lo guadagnava.
Una volta, mi ricordo, si inaugurava un certo locale, oggi famoso, e gli amici, quei figli di puttana, esigevano la mia presenza con tanto di entrata trionfale. Non avevo i soldi per un vestito all’altezza di tale situazione. Fu la mamma a salvarmi, quello sguardo vivo me lo ricordo ancora. Prese da un armadio polveroso l’abito da sposa di Mariella e disse: -mica vorrai che se lo mangino i tarli!- e incominciò a tagliare le maniche, e poi la scollatura, e poi a fasciarlo intorno al mio corpo magro e sinuoso, stretta e bellissima, ero una donna meravigliosa. Il mio amico Peppe, aveva un paio di favori da incassare, mi procurò una carrozzela coi cavalli, di quelle che ci porti i turisti in giro al Colosseo, assicurandomi l’entrata più trionfante che io potessi immaginare, che manco Cenerentola se la sarebbe mai potuta sognare.
-‘nvedi Paoletto che sventola-
Li immaginavo già i commenti assetati. E io trionfante all’entrata del locale. Faccio per scendere dalle scalette della carrozza, ma non ti vado ad inciampare proprio sul più bello? E indovinate voi cos’era il più bello? Merda di cavallo!!! Capito??? Pieno dalla testa ai piedi, sposa grondante di cacca, avvampata di vergogna, me ne son dovuta tornare a casa tra gli urli di mia madre e le risate degli amici. Non avevo bisogno di dimostrare niente a nessuno, se non a me stessa quanto era importante il farmi accettare in quell’ambiente, offrendo ciò che ero: fenomeno da baraccone sulla soglia della presa di coscienza della mia anima, consapevole creatura stretta nella mia individualità e coerenza. Lucida e ignara delle cattiverie che mi giravano intorno come serpenti velenosi pronti a sbranarmi. Fu lei, mia mamma, come al solito, a leggere i miei occhi, insieme a mia sorella Mariella. Presero un vecchio mio vestito attillatissimo, rosso fuoco, e me lo riadattarono per farmi riuscire trionfante e ancor più fasciata, e quasi senza respiro, immobilizzata e impossibilitata a sedermi per qualsiasi motivo.
Quei due matti dei miei amici mi ficcarono in una macchina da sdraiata, per non farmi fare uno strappo stavolta davvero fuori luogo, e mi spedirono direttamente in quel mondo, fatto di cocktails, sigarette e gente coi soldi.
Tutto bene a ripensarci, salvo che uno per invitarmi a bere con lui, mi costrinse a sedermi, il vestito non ce la fece, si strappò esattamente in verticale aprendosi in due. Un episodio discretamente fastidioso, che mi costrinse a ballare muovendomi con improbabile sinuosità. Un successo!
Ciò che avvenne in seguito nella mia vita non ve lo racconto, ma non perché io me ne vergogni, ma perché avete visto già una quantità discreta di films-verità che vi ha dotato di un bagaglio culturale notevole sulle persone come me. Niente racconti, niente giudizi. Così sembra più facile.
Oggi mamma non c’è più. Così come la mia famiglia, che ha smesso di sopportarmi quando il legame frutteria-mamma si è sciolto per sempre. Al mio fianco solo Mariella e i suoi figli. A volte litigo con suo marito, ma nell’insieme non posso lamentarmi. I suoi occhi si sono sostituiti a quelli di mamma e forse anche un po’ al mio dolore.
Ho vissuto venti anni con Patrizio, un gioielliere di piazza San Cosimato. Gli voglio bene, ma solo oggi mi rendo conto di avergli voluto bene come a uno di quei fratelli che non mi hanno mai voluto. Lui continua a venirmi a trovare qui, e ormai lo conoscono tutti, amici e infermiere, responsabili e psicologi. Quando viene Mariella a trovarmi, riconosco subito che la collana che indossa gliel’ha regalata Patrizio, come fosse uno di famiglia, come a voler lasciare un ricordo che non si cancella.

Ho l’aids.
Sono cinque anni ormai che l’ho scoperto.
A lui l’ho detto subito, per fortuna ne è rimasto fuori.
Non sto male, le nuove terapie sono efficaci, ma il mio viaggio non sarà lungo, lo so.
Quello che vorrei tanto prima di andarmene, sarebbe rivedere i miei fratelli e sapere che poi alla fine, al matrimonio dei figli di Mariella, ci sono andati, che colpa ne hanno loro di una zia malata.
A me rimane la frutteria che ho nel cuore, quando io e mamma addobbavamo i cesti con la frutta, messa in ordine a seconda della gradazione del colore.

per ricordarti quello che faccio...


amore mio, ho deciso di ripescare nella mia memoria virtuale, pezzi della mia vita, così saprai, quando leggerai, chi è la tua mamma e cosa fa...




Postato 12 dicembre 2006 - 11:31
mattina di sole.A volte il tempo sembra fermarsi su questi disegni.
Tutto intorno scorre un sorriso, un dolore, un pò di vento, ma quel particolare è lì, ansioso di crescere grazie alle mie mani.
Ci si può impazzire su una cornice e un capitello, a contare bugne, reclamandone l'utilizzo. Facciate indifferenti che crescono questa città. Ti sei mai fermato, naso in su, ad osservare il perchè di quelle righe orizzontali, non sono casuali, non nascono per capriccio di un architetto improvvisato. E aspettano vita su carta, pazienti. e intanto tutto intorno gira. mi manca il respiro per finire di fare ogni cosa, pensieri a metà, non riescono a fermarsi a riposare che già ripartono. Troppi pensieri nella mia mente, litigano, si accavallano, fanno a botte coi prospetti, dando gomitate al futuro. Ci si sente cosi risucchiati in questa vita veloce che a volte non si ha il tempo di guardarsi indietro a capire che ormai è già passato e che non tornerà più. Sempre avanti, ma proiettati solo nel presente, scongelando occasioni e situazioni che servono al momento, senza progetti da mettere in forno, aspettandone pazientemente la cottura.
Dannatamente intenti a rincorrersi, senza sapere dove andare, appesi ad una cornice e a un capitello, a volte, con la voglia di saltare.

venerdì 22 luglio 2011

... e così...


ho cucinato i gamberi in padella. Spaghetti allo scoglio e trancio di salmone sulla brace. 
Vi piace? A noi si.
Stasera ci coccoliamo anche con un gewurztraminer.
Perchè? 
Perchè sto bene!!! sto bene oh!!!sto bene!!!!
Nuovo controllo dal gine, che con una risata coinvolgente mi ha annunciato che le formazioni polipoidi si sono riassorbite con la terapia! In pratica ci ha spiegato che se fossero stati veri polipi, quindi di origine tumorale la terapia non avrebbe fatto effetto, mentre evidentemente si è trattato di formazioni dovute a disfunzioni ormonali, che ora sono scomparse!!! Utero perfetto, l'ho visto in 3d! una meravigliosa cavità uterina perfetta, vuota ma perfetta! Endometrio stupendo, manco stessimo parlando delle perle del pacifico! Ero così preparata all'intervento che quasi non credevo a quello che mi stava dicendo, pare che io stia bene finalmente, dopo mesi e mesi di ricerca di rivoltamenti e di giri di valzer e di dolore e di lacrime, sto bene!!
Oddio! Lo sto scrivendo così tante volte che mi sta quasi venendo la paura! 
Ma noooo! chissenefrega! ecchecavolo! se sto bene sto bene, mica che la sfiga mi avrà sentito urlare no? E così, il mio omone oggi pomeriggio si è fatto un balletto in mezzo al nostro salotto al ritmo di DADADA dei Trio ( fatevi un giro qui e ridete pure immaginando la scena!) ed io ho preparato la nostra cenetta a base di pesce. 
Dunque, si ricomincia! Dal mese prossimo si riaprono le danze, dopo esattamente 5 mesi di stop, riprendiamo a ballare e ad invocare il nostro bimbetto, che spero stavolta abbia voglia di sentire il nostro canto....
E poi, è ora di rispolverare i miei amuleti per la fertilità:
 la bola chiama-angeli

la Grande Madre, che devo sotterrare sotto il mio ulivo

la dea Tanit da tenere al collo


sono tanto felice....



sabato 9 luglio 2011

...un tuffo nel passato del mio Perchè io no?

20 gennaio 2010-20 gennaio 2011 

Quando ho iniziato questo cammino, non avevo idea che il percorso sarebbe stato tortuoso e con gli ostacoli. Non pensavo sarebbe potuto accadere. Non pensavo proprio a nulla. Vedevo i figli nel mio futuro ma non ho mai saputo di quale futuro si sarebbe potuto trattare, vicino, lontano, non era affar mio. C’erano. Ho scelto l’università, oltre che per dare un taglio ai miei studi precedenti, perché mi rendeva orgogliosa l’idea che i miei figli potevano usufruire di cotanta sapienza: a vent’anni per me lo studio era tutto ciò che io potevo offrire, e per me era il meglio di me stessa. Mi immaginavo una mamma in carriera ma con i jeans e la coda di cavallo. Non so perché ma nei miei sogni sono sempre stata una mamma con la coda di cavallo e le maniche di camicia rimboccate. E in realtà mi immagino ancora così, anche se oggi, sono un’altra. 

Sono passati tanti mesi da quando abbiamo capito che quel futuro era arrivato e che quei figli mi stavano aspettando. Non li conto, non ha senso, ma posso dire con certezza che è passato un anno dall’assunzione consapevole della “pillola della ricerca di gravidanza”, i mesi precedenti sono quasi inesistenti, a volte mi dimentico di dirlo pure al dottore, eppure ci sono stati, ma li ho dimenticati. Che vuol dire questo? Vuol dire che da 12 mesi ho concentrato tutta me stessa sul mio utero e sulle mie ovaie. E’ una cosa buona, bella, dannosa, ossessiva? Non vorrei giudicarmi in realtà ma lo fanno gli altri per me. Con amore, per carità, ma pur sempre un giudizio rimane. Ho appena attaccato il telefono con il mio migliore amico, il quale afferma che a 36 anni non posso condurre una “vita del genere così sedentaria, sempre al pc”. Devo uscire, conoscere persone, dire, fare, baciare. “Perché non hai idea di quali processi mentali si innescano nel nostro cervello e quanto influenzi il pensiero negativo!!!”. (dice il saggio) 

Ecco, io vorrei dire una cosa a queste persone che pensano di aver trovato un giorno, la chiave della felicità in fondo ad un baule dimenticato in soffitta: “avete mai pensato che io mi piaccio un sacco così come sono? Pigra, sedentaria e molliccia?” Non dico, non faccio, non bacio. Vivo. Ma mi amo. E amo mio marito. Amo il mio lavoro. Amo le serie televisive e i romanzi rosa. Amo prendere i fiori di bach la sera prima di dormire e amo addormentarmi affondando in un piumino caldo. Amo cucinare per gli amici e amo bere vino buono. Amo la comunicazione, in tutte le forme, che siano tramite questo mezzo tecnologico o che siano attraverso una tela bianca appena graffiata. Amo osservare gli altri e non entrare a far parte del mondo, ma osservarlo in disparte. Amo gioire per chi non conosco e prendermi cura di chi non riesce a capire quale è la sua personale verità. Amo la tolleranza, che sia sentimentale o razziale. Mi piace occuparmi del mio nido, perché rendere uno spazio vivibile è ciò che faccio di lavoro e perché credo nell’influenza sul mio cuore di ciò che mi circonda abitando. 

Non so perché i miei figli non arrivano. Magari c’è un problema fisico che ancora non ho scoperto, forse si, ma ora non voglio saperlo. Credo che arriveranno ma so anche che quest’attesa potrebbe portarmi in una strada buia da dove non saprò uscire. Si chiama consapevolezza. E’ il motore della mia esistenza. E ti frega, ti frega perché sai già di mettere un piede dove c’è una falla e nonostante questo, il piede ce lo metti lo stesso. Ma mi va bene comunque. 

Rifletto sul fatto che sono fortunata ad avere accanto un uomo e che insieme formiamo una coppia forte, che di falle ne ha ben poche e che tutto questo non avrebbe potuto reggerlo, se solo ci fosse stato qualche punto labile nella cucitura del vestito che portiamo insieme. Lo so. Ma so anche che ci siamo scelti consapevolmente e che non siamo caduti dal cielo per incontrarci una serata d’estate e quindi, non siamo solo più fortunati di altre persone. 

Non so se i nostri i figli vorranno venire a trovarci un giorno o se vorranno rimanere ovunque loro sono adesso, ma non posso rinnegare me stessa, sforzandomi di essere un’altra per non far entrare il pensiero ossessivo della ricerca. Quale ricerca poi? Di me stessa? E posso negarla allora? Perché la ricerca di una gravidanza non può essere la ricerca di una io, raccolta in posizione fetale, nella mia pancia? E davvero non ne è valsa la pena questa lunga attesa fino ad oggi? 

Ho condiviso. Questo ho fatto. Ho condiviso con delle persone sconosciute. E ho vissuto. A modo mio, ma l’ho fatto. Un anno intero. E’ tanto, considerando l’esistenza veloce di questo mondo. Finirà. Oppure no. Ma quello che è stato e quello che è, esiste. E non torno indietro, perché sono io anche grazie a questa condivisione e alla comunicazione. Il mio amico mi dice: “essere soli è uno stato mentale, non uno stato fisico”. Perfetto. Dunque, non devo “distrarmi” per imparare a stare da sola. Se mi distraggo dal mio desiderio, rinnego me stessa. 

Sono qui, ed imparo. 

venerdì 8 luglio 2011

questo mondo di donne...

Succede che sei seduta alla tua scrivania, cercando di arginare l'isterismo della tua collega, a cui l'unica cosa che sembra importare davvero è come finire la ristrutturazione dell'appartamento dell'ultima signora con i soldi che si è svegliata in una mattina di luglio e ha deciso che, nonostante la chiusura estiva, i lavori devono iniziare il primo di agosto.
E tu sei lì che guardi l'orologio e conti i minuti. Senti una gocciolina di sudore scendere lungo la schiena e una leggera insofferenza a tutte le cose del mondo farsi strada in maniera prepotente, per renderti nervosa e sempre più agitata.
Squilla il telefonino ed io lo so già il perchè.
"pronto anna?sono tania"
"tania, ehm, non sono sola, dimmi.."
"hai saputo già di nadia?"
e lì sento che la goccia di sudore suddetta si congela all'istante.
Ho paura, e credo si sia capito dal tono del mio "no, perchè?", è stato un attimo infinito in cui avrei voluto nascondere la testa sotto la sabbia e non sapere, non sapere il risultato delle sue beta dopo la seconda fivet.
"164!"
Tre numeri e due grosse lacrime che scendono giù all'istante.
Balbetto qualcosa e attacco, cercando di asciugare gli occhi ed evitare lo sguardo della mia collega.
Immediatamente dopo è Ele che mi chiama.
Rispondo con un lapidario "lo so!" non sapendo più come arginare le mie emozioni.
Succede che in un momento, delle donne, dislocate nei luoghi opposti dello stivale, intente nelle loro faccende, in pausa pranzo, in cucina, con il proprio bambino, mentre litigano con la suocera, mentre sono intente a studiare, si fermano, tutte insieme, e con le lacrime agli occhi leggono quel numero, nemmeno fosse il numero della vittoria al superenalotto.
La nostra storia è questa.
Legate da un filo sottile di solidarietà, incomprese dalla maggior parte degli amici e dei parenti, additate come delle fissate maniache, si stringono intorno alla gioia di una di noi, come fosse la nostra personale vittoria.
Nadia ha vinto. Contro tutto e tutti.
Ha vinto ed è passata dal VIA. Ha concluso il suo primo percorso ed è pronta ad iniziarne un altro. E' stata dura e in un attimo tutto è stato dimenticato. Tre numeri le hanno cambiato la vita, e un pò l'hanno cambiata anche a noi. Perchè non c'è felicità più grande del condividere questa vittoria per noi drogate del web, assetate di comprensione e di suddivisione di ruoli. Digitiamo velocemente su una tastiera consunta, alla ricerca spasmodica di come trasmettere l'urlo di felicità, tra un TVB e un cuore e un urlo digitalizzato come fossimo dei fumetti. Ma questa è la nostra realtà, una realtà sconosciuta alla maggior parte delle persone di nostra conoscenza, una realtà non compresa e facilmente sottovalutata.
Eppure io, non dimenticherò mai i pianti di Nadia al telefono quando rimasi per la prima volta incinta, la sua prima telefonata, e la mia sorpresa per come stava urlando alla mia felicità. Non lo dimenticherò mai, perchè nemmeno le mie sorelle seppero mai fare tanto.
Nadia che poi ho potuto abbracciare, stretta a me tra una risata e una lacrima, quando in un pub le regalai un test di gravidanza portafortuna da fare prima della sua visita nel centro di PMA dove è avvenuto il miracolo, e ancora poche settimane fa quando abbiamo corso come delle pazze per riuscire a prendere il treno che l'avrebbe portata a cullare il suo sogno, e le punture di progesterone nel bagno dell'areoporto prima di tornare a casa...le dissi "non ti vedrò più prima di un anno, perchè tu sei incinta amica, non potrai più prendere l'aereo per venire qui".
Ecco. Ho pianto tanto e riso come fosse accaduto a me, e nonostante lei mi dica continuamente "Anna, questo è il nostro anno, il cerchio si chiude, rideremo insieme" io lo so che il mio destino è diverso dal suo, non siamo davvero collegate ed io non devo illudermi nella speranza che le nostre vite si sono incrociate per un motivo, quel motivo. Non posso farlo perchè ora che ho accompagnato la mia tenera amica per mano sin qui, la devo salutare, e sperare e pregare ancora per lei affinchè tutto vada bene. Ci saranno altre donne presto, che l'accoglieranno e l'accompagneranno in questo nuovo cammino. Io sono arrivata sin qui e ora devo riprendere il mio percorso, che spero non sarà ancora così lungo.
Non è così facile per me dire ti voglio bene attraverso un monitor, non mi perdo in un emoticon animata e un post rosa. Credo nella scrittura come mezzo di comunicazione, che essa sia bella o brutta, e credo nel potere enorme della condivisione e del confronto. E' per questo motivo che la prendo sul personale ogni volta che qualcuno decide di abbandonare la comunità, come fosse un mio personale fallimento. E' per questo che ho imparato ad apprezzare i piccoli gesti che in due anni mi hanno accompagnato in questo calvario fatto di ansie, dolori, incertezze, lacrime. E per questo che ringrazio una donna come Nadia che con la sua storia mi ha insegnato più di quello che molte persone, vivendomi accanto, hanno saputo fare.

Lascio queste parole qui, come Ele mi ha appena postato, e rimango in silenzio ad osservare.

 ‎"Voglio lasciarmi andare, voglio di più per me, voglio buttarmi per cadere verso l'alto."