Ti racconterò di quell’estate in cui ti sei affacciato, ci hai guardato e
lentamente hai preso a stare qui su questa terra. Un’esistenza lenta la tua,
antica. Esistevi da prima che io nascessi, tra le pieghe dei miei pensieri,
raccolto tra i capelli intrecciati della tua bisnonna, tra le mani provate di
tua nonna, tra le lacrime di tuo padre e i sorrisi di tuo nonno materno.
Esistevi negli occhi di tua nonna paterna, lei ti vedeva già quando anche io
non ti sentivo. Vivevi nella sapienza di tuo nonno paterno, che scriveva per te
favole per bambini.
Ti racconterò di come io sia riuscita a sedimentare il dolore di un passato
difficile nell’attesa di incontrarti, riconciliandomi con una terra che ormai
mi appartiene e che era diventata solo teatri di addii in questi ultimi anni.
Era stata un’estate fredda, e pur essendo io un’amante delle temperature
basse, in quell’estate sentivo il bisogno di riscaldare il mio fisico, che
durante tutto l’anno trascorso aveva dato segnali di impazienza, di incoerenza.
Si era acceso e poi spento molte volte in quegli anni, si era preparato alla
vita e poi alla morte, continuando a produrre ormoni e poi segnali incostanti
di inquietudine.
Mi sentivo inquieta, è vero. Avevo appena compiuto quarant’anni.
Consideravo da sempre quell’età una méta da raggiungere per guardare indietro
ciò che si era costruito fino a quel momento. Io mi guardavo indietro e
consideravo di non aver costruito poi granchè. Non c’era nulla, a mio avviso,
che valesse quanto la tua esistenza su questa terra. Ti chiamavo a gran voce,
ogni sera, guardandoti con il naso all’insù. Ti chiamavo e ti imploravo come
non amavo fare. Ti avevo implorato di raggiungerci, raccontandoti sottovoce
quanto bella era la vita da queste parti. Guardavo preoccupata l’accenno di
piccole pieghe agli angoli dei miei occhi, non accettavo la nascita di un primo
capello bianco ordinando in maniera repentina la sua immediata estirpazione
alla mia parrucchiera. Cercavo calore, ma soprattutto che il mio corpo si
calmasse. Cercavo di fare il possibile per rimanere in silenzio, serena, in
ascolto. Imparavo, ogni giorno imparavo una cosa diversa, ringraziando chi mi
era intorno e chi mi amava senza condizioni e senza giudizio. Non ero più
arrabbiata con nessuno, lo ero stata a lungo, ma non volevo più nemmeno questo.
Non volevo provare nulla che ricordasse i miei sbagli, ciò che avevo fatto per
lasciare che il mio corpo e il mio cuore soffrissero così tanto nell’attesa di
incontrarti.
Sapevo cosa era giusto per me e dicevo in giro che non ti aspettavo più.
Era un’estate fredda, senza futuro. Aspettavo l’inizio dell’autunno senza
progetti. Non avevo più armi di riserva. Procedevo a passi lenti, in punta di
piedi, più che altro respirando. E proprio respirando riuscii a fare pace con
questa terra attaccata al lago, teatro di amore, gioia e poi di tutti i vostri
addii. Il lago, mirabile rappresentazione della mia vita, raccolta, finita,
delineata fino a quel momento. Una vita programmata, lineare. Un lago che
ospitava un emissario da cui usciva la sua acqua. Da quell’emissario eri uscito
tu, tante, troppe volte. Te ne eri andato via così, scivolando via da me in
silenzio, tranne quell’ultima volta in cui quei dottori dovettero strapparti
via dal mio corpo per dividerci.
Odiavo il lago allora.
Cercavo te in ogni riflesso dell’acqua, in ogni granello di sabbia nera,
gridando il tuo nome.
Ti racconterò di questa estate fredda in cui ad occhi chiusi riuscii ad
accettare il tuo addio e di come imparai a prendere da questa terra l'energia
per riscaldare il mio corpo provato. Ti racconterò di come al tramonto, al
canto di un mantra, ascoltai nell'aria la storia della tua antica esistenza, di
quando finalmente decidesti che quella era l'ora, il momento.
E solo quello era il momento, non un altro. Nonostante tutto.
Una frazione di un milionesimo di secondo appeso a due esistenze in attesa,
unite in un canto lento, tra le foglie degli ulivi, tra i fili d'erba e le
formiche, quel momento lì.
Solo quel momento lì, prezioso e infinito.
Quello che tu avevi scelto, finalmente.