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mercoledì 15 ottobre 2014

Ciao bimbi!!!


Eugenio*  Febbraio 2010
Beatrice  Maggio 2010
Alberto* Marzo 2011
Diego-nevischietto Ottobre 2011
Carla (geu)  Maggio 2012
Lorenzo-cavaliere  Dicembre 2012

Eugenio e Alberto sono le due stelline, appena apparse, giusto il tempo di un test positivo, i loro nomi sono i nomi di due persone care alla nostra famiglia, Alberto Manzi e il suo migliore amico Eugenio.
Non avremmo mai scelto questi nomi nella realtà, ma le due stelle accese rappresentano l'importanza che queste due persone hanno avuto per noi.
Beatrice è la mia primogenita, era una femmina e a lei ho sempre pensato come Bea. Pensavo a questo nome quando non sapevo di essere una mamma speciale, e a me piaceva tanto questo nome.
Così come sarebbe tanto piaciuto Diego, che é il nostro albero forzuto, il nostro nevischietto che vive nel salice in giardino.
E poi c'è Carla.
Lei era la piccola che si è annidata nella mia tuba sinistra.
Era una femmina perchè era forte e testarda. La mia vera gravidanza. Quella che cresceva bene ma in un altro posto, quella che mi ha fatto sentire Madre per davvero.
Carla, la mamma di mio marito, che ora tiene per mano tutti i suoi nipoti.

E infine lui.
Il mio cavaliere.
Il prode cavaliere che ha combattuto con il coltello tra i denti e poi ha messo le ali.
Lorenzo era il suo nome.
Una certezza.
Tutta la speranza.
Ancora penso a lui come il mio primo bambino in carne e ossa.
Colui che mi ha portato lontano, che mi ha preso la mano, che mi ha fatto crescere la pancia.


Stasera, siete qui.
Oggi riusciamo a riconoscervi, dandovi un nome.
Oggi siete identità.
E quindi potete andare via.
Stasera, insieme ad altri genitori, in un momento intenso e pieno d'amore, vi abbiamo salutato.
Siamo in attesa ogni giorno, che l'arcobaleno inizi anche per noi, e non smetteremo mai di cercare, in fondo all'orizzonte l'inizio di quei colori, non smetteremo mai. Ma ringraziamo ogni giorno il vostro arrivo, e non smetteremo mai di parlare di voi, anche se siete durati un istante, perchè ci avete regalato vita che non potrà mai essere migliore di quella che abbiamo vissuto scoprendovi.
Tornare indietro nel tempo è impossibile, ma non possiamo arrenderci ad un'esistenza triste perchè voi non ci siete.
Non ho mai vissuto il dolore dei genitori che ho incontrato stasera, non vi ho mai partorito, vi ho visti andare via dal mio corpo, ma non vi ho mai conosciuto davvero. Non conosco quel dolore eppure mi inchino a tutta la forza e il coraggio e imparo da chi ha vissuto quel vuoto fisico.
Io che ho conosciuto un vuoto del cuore, che è ancora incolmabile.
Da qui abbiamo imparato a raccontare ancora, a voce alta, la nostra condizione, A darvi identità.
A riconoscervi.

E a lasciarvi andare via.
Attaccati ad un palloncino che è volato via con su scritto i vostri nomi.


Ciao Bimbi!
Abbiamo gridato.

e poi siete volati via.

Per sempre.
Finalmente liberi di essere ciò che siete.
Luce.

Buon viaggio Eugenio, Beatrice, Alberto, Diego, Carla, Lorenzo.
Siate liberi.
Per sempre.


lunedì 23 giugno 2014

Pausa


Per questo è importante lasciare
che certe cose se ne vadano, 
si distacchino.
Non aspettarti che riconoscano i tuoi sforzi, 
che capiscano il tuo amore.
Bisogna chiudere i cieli.
Non per orgoglio, per incapacità o superbia.
Semplicemente perchè quella determinata cosa
esula ormai dalla tua vita.
Chiudi la porta,
cambia musica, 
rimuovi la polvere.
Smetti di essere chi eri e trasformati in chi sei.
- P. Coelho


mercoledì 16 gennaio 2013

ciao amore mio

Che ci sembrava di stare a Grey's Anatomy lo sai?

Lunghi corridoi vetrati, uomini e donne in camice, gente di corsa, file lunghissime, attesa.
Chissà che storie dietro quei volti, quei sorrisi, quelle lacrime.
Che per una che di ospedali ne ha visti tanti negli ultimi anni, perchè mai questo era così diverso?



















Forse perchè non posso essere insensibile ad un pensiero architettonico contemporaneo, ad uno sforzo progettuale che mette insieme funzione ed estetica, comunque io ero rapita, dal sole che entrava attraverso il vetro e da niente più.

Non pensavo più a tutto il dolore che mi aveva portato a questa mattina.
Pensavo solo che questo è l'ultimo posto in cui sei stato, un mese fa.
Che anche tu hai percorso questi corridoi insieme al tuo papà, vicino vicino al suo cuore galoppante, così impaurito da quella mattina di dolore, mentre io, lontano da te, ti cercavo ancora tra le fredde pareti di un vecchio ospedale annerito, avvolta in coperte marroni.
Non dimenticherò mai quel freddo umido e quella lontananza da te.


E poi sei arrivato qui.
Questa foto l'ho conservata gelosamente.
Tu sei in quel minuscolo barattolino bianco e rosso sul bancone.
Lì ti ha lasciato papà, per sempre, affidandoti a chi avrebbe potuto capire.

Ed eravamo lì, ieri, di nuovo, mamma e papà, per leggere nero su bianco, risposte che forse non cerchiamo più.

Quelle risposte che non abbiamo avuto.

"a causa di una forte contaminazione di dna di origine materna, non è stato possibile effettuare l'analisi"
e, come ieri sera il mio carodott mi ha scritto via sms: "era un rischio e ovviamente si è appalesato, che palle" (cito testualmente), le risposte la Scienza, non ce le ha date.
Evito di riportare il lunghissimo colloquio con un signor genetista, accompagnato da due signore genetiste che sorridevano ad ogni sua frase. Questi signori avevano la mia età, dunque proprio signori non erano, comunque, a me veniva da ridere per come si atteggiavano, soprattutto lui, il genio, con l'aria di chi sa. Sbagliato.
Io so.
Noi due sappiamo.

La difficoltà di incontrare tanti specialisti che pensano di avere la soluzione in mano, è mediare le informazioni che mi arrivano, fare di sì con la testa, sorridere e poi agire secondo il proprio istinto e raziocinio.
E che cosa ci ha detto il nostro istinto, dopo aver parlato per un'ora e mezzo di diagnosi preimpianto, aneuploidie, metodi per discernere una triploidia dal cariotipo materno, trisomie, ovuli vecchi, sfiga, pma, percentuali di successo, percentuali di insuccesso, fuffa.
Fuffa.
Nei nostri cervelli, nei cervelli di mamma e papà si è appalesata (quanto mi piace questo termine, grazie carodott per averla usata) la parola FUFFA.
Aria.
Chiusa la porta alle nostre spalle, un profondo sospiro.
E' finita qui.
Questa gravidanza è finita con questa non risposta.

E noi ne siamo felici.

Potremmo sembrare dei pazzi, forse lo siamo.
Non sapremo più perchè piccolo cavaliere te ne sei andato.
La Scienza ci vuole raccontare di anomalie cromosomiche.
A noi ora non interessa più.
Nulla cambia sapere ora.

Ho capito che non potrò cambiare gli eventi di quello che già è scritto per noi.
Il mio bisogno di conoscere è stata una reazione immediata per non soccombere completamente al dolore. Allora ho studiato, cercato, chiesto.
E lo farò ancora.
Ma io ora so che qualsiasi cosa capirò, vedrò, vivrò, la mia strada e la tua piccolo mio, è una strada che per sempre ci vedrà insieme, mano nella mano.

Ora non sono più incinta di te.

ciao amore mio.





lunedì 10 dicembre 2012

di cosa si tratta

Ora vi racconto cosa succede ad una donna che subisce un raschiamento.

Questo post va contro tutta l'atmosfera natalizia della blogsfera, ai frizzi e ai lazzi, alle lucine colorate e agli alberi di natale.
Quindi cambiate pagina se non siete predisposte, se non vi va di guardare in faccia il dolore, se siete in gravidanza e vi sentite male al pensiero che potrebbe capitare qualcosa.
Tranquille.
Capita solo alle persone come me.
Quelle che non si sono godute la gravidanza, come qualcuno mi ha scritto, quelle che "almeno se succede qualcosa mi sono goduta il tempo che è stato con me".
Quindi io sono una cattiva mamma, perchè non ho avuto fiducia nel mio cavaliere, perchè non ho creduto in lui, perchè "lui ti sente, non fare così".
Quindi alla fine è colpa pure mia se è finito tutto, perchè non ho predisposto la mia anima verso una visione positiva della questione.
C'avevo un'aurea spenta e zozza.
Quindi il sogno non è partito per questo.

.
Non lo penso.
Faccio solo un breve riassunto delle cazzate che devi sentirti dire, nonostante tutto.

Dicevo, il raschiamento.
Che così abbiamo provato pure questa, e ora ho materiale per scrivere il mio libro di donna abortiva e posso far venire le lacrime ad un pò di gente e posso far aumentare le pacche sulle spalle e i "mi dispiace", i "non ho parole".
Lo so che sono caustica.
E mi faccio paura.
Ma un raschiamento è così.
E' un interruttore.
Hanno spento il tasto OFF venerdi mattina dentro di me. E l' ON non esiste più.
Un raschiamento è quanto di più innaturale possa esistere per una donna in gravidanza, anche se il bambino è morto dentro la propria pancia. Ma tu lo sai che c'è, lo senti. E senti la sua immobilità, senti il suo silenzio e il vuoto e il suo decrescere e il suo raggomitolarsi in se stesso.
Dopo non senti più niente.
A chi dice che un raschiamento è peggio di un'espulsione spontanea dico che è una cazzata.
Fisicamente ed emotivamente.
Almeno nei momenti gestazionali in cui io ho subìto i miei aborti.
Non sto dicendo che non si soffre: la sofferenza che si prova è una sofferenza a cui il corpo si deve abituare con il tempo in maniera graduale.
Al momento, il dolore non c'è. Io non ne ho avuto. E' stato tutto surreale.

Ci siamo alzati alle 5.30 per poter attraversare uno strato di ghiaccio sulla strada e nei nostri cuori. Siamo arrivati in ospedale alle 7.15. Nei corridoi le degenti dormivano, i corridoi erano spenti. Noi siamo in una stanza piccola, con il soffitto di 4 mt, una forte luce a neon, la finestra chiusa, un divano di pelle con i braccioli tagliati da un taglierino da cui fuoriesce la gommapiuma, sembrano ferite sanguinanti. Accanto un bagno, caldo, pulito. Davanti a noi una ragazza, sola, insonnolita. Alle 8.30 siamo ancora lì, il reparto si è svegliato, la stanzetta si è riempita di coppie, io ho compilato un foglio per la privacy e uno per autorizzare l'intervento.
Alle 8.45 la caposala inizia ad assegnare i letti e ci chiama per i prelievi. Noi ci avviciniamo e tremanti facciamo presente che abbiamo già tutti i prelievi compreso l'ecg, che già siamo daccordo con il dottore, che dobbiamo sbrigarci perchè alle 10.30 dobbiamo stare dall'altra parte della città per consegnare nostro figlio ad un laboratorio di genetica.
Mi scuserete se lo chiamo ancora nostro figlio ma materiale abortivo proprio non mi viene.
Si scatena il putiferio.
Inavvertitamente facciamo scattare uno di quei meccanismi per cui la caposala si sente scavalcata dal dottore e le regole ospedaliere vengono cestinate e messe in un angolino. In un attimo ci sentiamo come due criminali che stanno per commettere un reato senza precedenti.
Io sto per crollare.
Sento che potrei farmi arrestare.
Sento che potrei fare qualcosa che non riuscirei a controllare.
Rientro tremante nella stanzetta affollata di coppie.
Mio marito rimane lì in corridoio e subisce le spalle della caposala che comincia a raccontare a chiunque arriva, l'accaduto.
Lo vedo umiliato e disorientato, ma io non posso intervenire. Continuo a tremare.
Arriva il nostro dottore, stringe la mano di Fabio e poi comincia a discutere con l'infermiera. Per me è tutto confuso. So solo che tremo, tremo, e mi ronzano le orecchie. Entra il dottore nella stanzetta, ci mette una mano sulla spalla e ci dice che non dobbiamo parlare con nessuno, che non c'è la convenzione con l'ospedale per fare il citogenetico e per questo dobbiamo agire così, di non preoccuparsi perchè è una prassi e che per la scienza e per casi come il nostro, si fa.
E che la caposala è una stronza.
Un'infermiera bionda e piccolina, più giovane di me, mi accompagna in medicheria. Compilo la scheda dell'anamnesi, firmo tanti moduli, faccio l'elenco delle analisi che ho, ho tutta la cartella della pma con me e ho tutte le analisi possibili, in doppia copia. Sono tutti meravigliati dalla mia efficienza e la mia lucidità. Parlo con un ginecologo che mi spiega cosa succederà da lì a poco e poi dopo, e poi tra un mese.
Ho l'impressione che dopo aver raccontato la mia storia i visi si siano forzatamente distesi, le pacche virtuali sulla spalla aumentino ad ogni mio passaggio, e ora, anche la caposala mi sorride. Quei sorrisi che ti stringono il cuore e dicono "poverina".
Mi accompagnano in sala operatoria con la sedia a rotelle perchè sono scalza e ho dimenticato le pantofole. Lì mi fanno sedere su una sedia di ferro gelata. Il vestito è lo stesso identico della clinica in cui ho fatto il pick up, mi ha seguito. Ho i capelli raccolti in una cuffietta verde e i piedi dentro scarpe di carta.
Accanto a me si siede una ragazzina che deve fare una laparoscopia per non so cosa ma che già una volta non c'è riuscita per via di una brutta reazione all'anestesia.
Io continuo a tremare.
L'anestetista è dolcissimo.
Mi compila un'altra scheda e poi mi mette l'ago per la flebo.
Il dottore si avvicina e dice :"questa piccolina qua ha una storia lunga da raccontare. Ha cinque aborti sulle sue spalle, due spalle grandi..."  "...e una geu"  aggiungo io. Ma le parole mi muoiono in gola. "hai paura?"  "Tanta"  "Non devi. Questa è una stupidaggine rispetto a quello che hai passato"
Ed io annuisco poco convinta.
Mi fanno entrare in sala operatoria, su quel lettino con le staffe.
Le modalità sono identiche a quelle del pick up. Mi ritrovo a specchiarmi sulla luce forte sopra al lettino, nella posizione in cui mi sento svilita in tutta la mia femminilità. Solo che ora mi sento morta insieme a mio figlio. Durante il pick up ero felice, dolorante ma piena di felicità.
Ricordo quando mi fecero la prima anestesia tredici anni fa, a quanto mi sembrò innaturale, a quanto vomitai dopo. Il dottore mi dice che la sera starò bene e che uscirò a cena fuori. E continua ad accarezzarmi il braccio. L'anestetista è alla mia destra, vedo la flebo attaccata a qualcosa che non so cosa sia. Mi dice che è tutto ok. Che sta arrivando il sonno. E' dolce. Mi avverte. Non come la stronza del pick up che non vedeva l'ora di finire il suo lavoro. La sento, sento forte arrivare quel veleno, veloce, dalle vene del braccio in mezzo secondo arriva alla gola.
"fai un respiro profondo"
Faccio una smorfia di dolore.
Sono gli ultimi istanti coscienti con il mio bambino.
Aumenta la musica, il ritmo cardiaco, il tumtum nelle orecchie, il tremolìo delle braccia legate al lettino operatorio.
Addio bambino mio.
Addio.


Il dopo è il vuoto.
Ecco cosa è un raschiamento.
Un istante prima c'è.
Dopo non più.
Mentre il tuo corpo crede ancora che c'è.
Ecco cosa è un raschiamento.
Costringere la tua mente a rendersi conto che non c'è più fisicamente, anche se il tuo cervello sta andando in tilt e si scontra con una realtà che non riconosce.
Ecco cosa è un raschiamento.
E' un prima e un dopo che ti costringe a fare i conti con un'esistenza beffarda, una pancia di nuovo vuota e un corpo che non capisce.
Non ho dolori fisici.
Nonostante il methergin.
Nonostante le perdite.
E' come se il mio corpo si fosse gradatamente abituato al dolore, come se la mia soglia di sopportazione si fosse innalzata di un grado.
Ora il seno fa male e la pancia è ancora gonfia e la mattina mi sveglio con il mal di testa.
Arriveranno i dolori e il flusso catastrofico.
Ora no.
Ora l'interruttore è su OFF.

Questo è un raschiamento.
Non vedi, non senti, non hai il tempo per renderti conto.
Sei catapultata nel buio, dove non vedi più speranza e luce.
Non hai più attenuanti per fare cazzate irrazionali, come i test di gravidanza per dirti che ancora è lì,  dentro di te.
Ora lo sai che non c'è più.
E' in un barattolino in un laboratorio di genetica.
Ora non è più.
E' tutto innaturale. Te lo hanno strappato via e ora sei tu a ritrovarti rannicchiata in un'altra stanza vuota, con il soffitto di quattro metri, la forte luce a neon e il freddo.
E tu tremi ancora.