Ciao Lapo Onlus
Sono giorni che mi frullano in testa tante parole, sarà che non sono più immune al dolore anche se non mi riguarda più direttamente, sarà che non mi è più possibile passare oltre, sarà che il dolore mi gira intorno, poi mi scova, ne annuso la presenza da lontano, e non sbaglio mai. Non sbaglio più.
Il dolore va attraversato, ci si convive insieme, prende forma e poi spazio nel cuore, con il tempo, piano piano, e poi si impara a gestirlo. Ci vuole tempo ed esperienza, ma una volta provato non si è più immune, ormai fa parte di te, e non si guarisce. Ma non è una cosa negativa questa. Se sei ammalato di dolore sviluppi una sensibilità verso gli altri e riguardo i fatti che ti girano intorno, che, seppur non ti lasciano indifferente e fanno sempre lavorare cuore e testa, io considero comunque un dono.
Non è facile ok. Ma non si può non considerare il fatto che l'apertura al mondo ti eleva ad un gradino dal quale osservi la vita con un punto di vista che mai avevi raggiunto prima.
Gestire il dolore è altro affare e su quello ci si sta lavorando.
Ho chiesto silenzio durante il massimo dolore perchè mi sono sentita smarrita, non sapevo cosa fare, non sapevo gestirmi, tanto meno riuscivo a capire come mitigare quell'ondata che mi investiva con violenza e mi lasciava senza fiato. Poi, dopo lo tsunami, quando tutto intorno a me era deserto e desolazione, ho teso le mani per rialzarmi e spesso, non ho trovato nessuno a tirarmi su.
Le parole che mi sono state rivolte in alcuni casi sono state proprio quelle riguardanti l'incapacità a saper gestire il mio dolore, quella situazione. E in effetti ho capito, ho giustificato.
A volte ho suggerito io, a volte ho dichiarato che lo capivo il perchè di certi allontanamenti che secondo me derivavano dal non saper gestire una situazione come la mia, eppure mi è stato risposto che non era affatto così.
Diffidare da tale sicurezza, quelle sono le persone che pretendono un comportamento sempre e comunque costante da te. Nonostante lo tsunami.
Non affronto in questa sede il dolore a seguito della perdita di una persona cara, parliamo di quello di cui normalmente scrivo qui. Parliamo dell'aborto finito in un raschiamento, l'ultimo in ordine di tempo.
Di tutte le interruzioni di gravidanza vissute, nonostante l'aver rischiato la vita con l'extrauterina (forse perchè quella volta viveva in me un certo stato di incoscienza), ecco nonostante ciò, dicevo, la più dolorosa in assoluto è stata la perdita fisica dopo il raschiamento. Sarà che un raschiamento dopo una gravidanza ottenuta con pma è davvero difficile da affrontare fisicamente, dopo mesi di punture, letto, medicine, esami, vane ecografie. Sarà che la pma è tanta roba, tanto accumulo di speranza, tante situazioni, belle, brutte, tanto tempo prima e tanto tempo dopo, tempo sottile, che si diluisce nel tuo sangue, diventa dialogo continuo tra te e tuo figlio.
La mia gravidanza non è andata bene dall'inizio: di quel periodo ricordo il letto, il computer, la tv, i libri e le punture. Poi ricordo perfettamente la sua presenza dentro di me e il mio corpo che cambiava, e un sottile, costante, flebile dolore, che mi ricordava che le cose no, non stavano andando per niente bene. Tutto teso alla vita, mica alla morte. Tutto un lavoro proteso verso la luce, mica verso il buio.
Poi ti abitui anche a questo.
Però, quando tuo figlio smette di vivere, il tuo corpo mica lo sa e pensa che deve continuare a lavorare, e il raschiamento, orrendo termine per descrivere ciò che avviene realmente, porta te stessa e il tuo corpo alla pazzia. Improvvisamente "toglie" ciò per cui vivevi. Improvvisamente, il buio, pur volendo la luce.
Calo ormonale, lo definisce la medicina.
Nel giro di poche ore arriva lo tsunami e tu, per non morire, non puoi fare altro che prendere fiato e reggere l'apnea, stringendoti ad una roccia (il tuo uomo) e aspettare che finisca. Perchè non sai che altro fare per non morire, pur volendolo in quel momento, pur avendo l'impulso di lasciare la presa e lasciarti andare.
Ecco, io credo che per chiunque viva questo (o un altro tipo di dolore così sconvolgente) si debba il rispetto, quel rispetto che concede la giustificazione di un comportamento, agli occhi degli altri, irrazionale, senza spiegazioni.
Il rispetto si impara, anche se non si è in grado, e non si pretende da chi prova quel dolore.
Ricordo i periodi intorno ai miei lutti come i più difficili da gestire con gli altri, ricordo la mia inadeguatezza e il mio senso di colpa per il mio rendere nuda la mia sofferenza, parlandone, scrivendone, allontanandomi da chi non comprendeva come fosse innaturale per me in quel momento accettare le gravidanze nate parallele alla mia. Non ero arrabbiata con nessuno, non ero gelosa di nessun altra pancia, mi chiedevo solo "perchè mio figlio no". Perchè mio figlio se ne era andato. E ogni passaggio, ogni conquista altrui, ogni ecografia, battito di cuore, movimento fetale era per me la tomba della speranza che avevo cercato di tenere accesa per tanto tempo. Mi sono giudicata. Mi sono sentita come una brutta persona. Ho cercato di spiegare in lacrime. Mi sono costretta nel cercare di comprendere chi mi era intorno. L'ho fatto male. Ho chiesto maldestramente scusa. Non è servito.
Ci si trincea dietro le proprie convinzioni per non attraversare quel dolore, per non volerlo gestire.
Con il tempo ho smesso di chiedere di essere compresa.
Ho imparato a volermi più bene, nonostante il vuoto intorno, sapendo che non era affatto dentro di me.
Ma non riuscirò mai a dimenticare quella non gestione del dolore che mi ha spogliato della mia identità di madre, che non ha riconosciuto l'esistenza di mio figlio, che non ha rispettato quella mia sorda sofferenza di genitore mancato.
Con il tempo ho avvertito come un sottile odio verso di me e quello che rappresentavo, come fossi diventata lo specchio di ciò che non si è riuscito a risolvere.
Pesa su di me tutto questo.
Ogni giorno.
A volte compaiono parole e gesti e sguardi, che mi spezzano in due e mi costringono a notti in bianco affogate nelle lacrime.
E anche se non sono arrabbiata ora, perchè la rabbia non costruisce, pur essendo a volte necessaria ma solo se circoscritta, io non giustifico più.
"... Ma almeno abbiate compassione. E rispetto. "
Tutti gli uomini sanno che non esistono consigli di conforto al dolore, eppure, di fronte al dolore di altri si cerca di dire qualcosa, consolare, se non altro per sussurrare che…. esiste qualcuno lì, oltre al dolore. Sussurrare qualcosa di banale, per dire di più: “Io sono con te”.
Stephen Littleword, Nulla è per caso
(*)queste parole sono per te.
in un altro post tu hai scritto "un mi dispiace non si nega a nessuno" ma poi scopri strada facendo quanti te lo negano in un momento di grande dolore. E' così, non so cosa sia, magari anch'io posso aver commesso errori simili, ma non credo di esser mai stata tanto leggera e sconsiderata. I dolori quelli enormi, quelli che sono vera perdita, quelli che esigono silenzio o parole pure. Rispetto come dici tu. Un abbraccione enorme. Sandra e Emanuele Milano
RispondiEliminaSoprattutto empatia. La capacità di mettersi nei panni dell'altro pensando semplicemente che il dolore è la massima forma di comunismo. Trasversale, uguale, si espande e può attaccare chiunque. Ma chi è empatico e anche sensibile e la sensibilità fa soffrire. Cara amica essere capaci di costruire sopra le macerie è una gran dote. E sei quello che sei anche grazie ai tuoi figli.
RispondiEliminaRaffaella
Hai detto tutto
RispondiEliminae con un fiore e una manciata di parole mi hai insegnato a pregare
Grazie mamma Anna..
quanta vita Anna
(ora più che mai vorrei tanto conoscere i vostri figli ma aspetto sorridendo.)
...ho pregato per te intensamente.
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RispondiEliminagrazie...
RispondiEliminaNon è facile per te, lo so...grazie per avermi permesso di abbracciare te e stringere lei contemporaneamente.
Eliminaparole piene di verità, scrivono libri su come affrontare il dolore del lutto di una mamma che perde il suo bimbo in grembo, ma dovrebbero scriverne uno per tutti quelli che circondano questa mamma....siamo ancora delle "emarginate" ma forse piano piano anche i nostri figli avranno un pò di giustizia da questa società....ti auguro cmq una serena Pasqua. un bacio
RispondiEliminaBabi, un dolce pensiero...ora sei tu la mia speranza.
EliminaA te,a voi, a lei, a loro. A tutte la mamme che non hanno abbracciato i loro figli va il mio rispetto, la mia immensa stima, la mia speranza, il mio fortissimo abbraccio.
RispondiEliminapresi tutti i tuoi regali...grazie tantissimo.
EliminaE' che a volte è difficile trovare le parole. Si cerca empatia, ma la verità è che solo chi ci passa può davvero capire e questo vale per tutti i tipi di esperienze. Per quelle forti, soprattutto.
RispondiEliminaBisogna aver cura delle parole, mi ripeto. Sono affilate le parole.
Allora penso che non ci sia niente di perfetto quanto il silenzio e allo stesso tempo, penso invece che anche la più semplice delle parole, se detta con sincerità, abbia valore e possa trasmettere compassione e rispetto.
Voglio credere che tutto questo dolore abbia un fine preciso, anche se illeggibile adesso. Ti abbraccio, con tutto l'affetto che mi lega a te.
il tuo dolore, ora è il mio.
EliminaAnna, com'è vero tutto quello che scrivi. Il dolore di una perdita così grande, che ti lacera l'anima e il corpo e non sai come uscirne..eppure tanti non capiscono. Ricordo il secondo ricovero dopo il raschiamento, ero in una stanza con altre madri che erano a rischio d'aborto. Ero incapace di parlare, mi nascondevo sotto le coperte per evitare di dover dire anche una sola parola, per poter piangere in pace. Alcune di quelle donne non capirono il mio dolore o forse, più semplicemente, rifiutarono di capirlo. E' proprio vero che le mamme intrise di dolore fanno paura ed è proprio quella paura che, evidentemente spinge le persone a rifiutare quello che tu rappresenti o ad evitarti. Non è facile gestire il proprio dolore e non lo è neanche gestire quello degli altri. Il rispetto, però, dovrebbe essere naturale. E' questo che non capisco.
RispondiEliminasi claire, il rispetto...
Eliminama è troppo difficile, perchè implica impegno e coinvolgimento. E' faticoso...
Anna.... il tuo nome è come il mio, e il tuo dolore è uguale al mio....
RispondiEliminaQuando ho perso la mia adorata bambina alla 21 settimana di gravidanza, ho fatto terra bruciata attorno a me.....
Io gridavo il mio dolore e non accettavo parole di conforto, non volevo sentire i commenti altrui, e non mi interessava sapere che "ero giovane e ne avrei fatto un altro", niente mi consolava, ne' le parole di mia madre ne' quelle di mio marito.
L'unico pensiero che mi ha permesso di non lasciarmi morire era che un giorno, anche io avrei stretto mio figlio tra le braccia.
Quando finalmente è nato mio figlio, ho respirato, letteralmente, dopo 9 mesi vissuti in apnea, e sono rinata, letteralmente.
Questo, cara Anna, deve darti la forza di riprovare, perchè lo so che è dura, e ora non vedi la luce in fondo al tunnel, ma, ti assicuro, che quando stringerai (perchè lo farai) il tuo cucciolo tra le braccia, tutto il dolore che hai provato avrà avuto uno scopo, che gorgheggerà guardandoti felice....
Todo pasa, nada se olvida....
ciao °Ysis,
Eliminagrazie per essere qui con me.
grazie per la tua storia e per aver scritto quel "(perchè lo farai)" tra parentesi, come fosse una cosa sicura e certa. Grazie perchè di questo ho bisogno e niente sembra venirmi incontro.
un abbraccio
Grazie.... Ti abbraccio forte.
EliminaNon arrenderti mai mai mai, anche se ogni volta devi raccogliere i cocci di te stessa, perché ne vale davvero la pena.
Coraggio!!!! Un bacio....
A sei mesi dalla perdita dei miei gemelli, il dolore è ancora li...
RispondiEliminaUn abbraccio a te e a Silvia <3