martedì 29 maggio 2012

La bolla di Fiorenza


Avevo bisogno di un pò di tempo per raccogliere le storie, ma ora ho bisogno di tenerle qui, così come mi arrivano e così come le sento.
La storia di Fiorenza è simile alla mia.
Ti scopri una poliabortiva quando ormai è troppo tardi.
E allora cerchi risposte, ti metti a disposizione della medicina, della ricerca.
Intanto il tempo passa e tu accogli questo passaggio come inevitabile. Abbracci questa strada e la accogli per rendere consapevole la tua maternità.
Questo fa Fiorenza.
Combatte e accoglie la realtà.
Analizzando la sua vita, il suo desiderio, il suo bisogno di diventare madre.
La sua storia mi è arrivata un giorno in cui io ero piena di speranza, alla terza seduta di agopuntura, mentre a pancia in giù mi facevo riempire di aghi e speranza, leggevo la sua storia e piangevo, non sapendo di essere già incinta. Florenza mi chiede scusa per la lunghezza del racconto, io rimango invece senza parole, per tanta condivisione, per tanta similititudine con la mia storia, per il tanto amore.
Grazie per aver raccolto il mio appello e per aver condiviso con tanto coraggio.

----------------------------------------------------------------------------------------------------------



La bolla di Fiorenza

Mi chiamo Fiorenza, sono un’insegnante precaria, tra poco compirò 35 anni. E cerco un bimbo da quando ne ho 32.
Io e mio marito stiamo insieme da 11 anni, onestamente io non sentivo il bisogno di sposarmi per suggellare il nostro amore, per me si celebra nei gesti di ogni giorno ma, seguendo quello che fu il pensiero di mia madre, ho pensato che il matrimonio fosse la giusta tutela per i miei figli. Oggi penso che forse avrei fatto meglio a non sposarmi, visto che tutte le amiche che vedo figliare non sono affatto sposate…
Il mio istinto materno è sempre stato parte di me, più o meno nascosto, o riversato in altri ambiti: la cura degli amici, lo spirito da crocerossina con i miei primi amori, a volte anche il rapporto con gli studenti.
Lo spirito di paternità di mio marito deve ancora venire fuori, ma nel tempo abbiamo entrambi capito che per lui sarà diverso: sarà padre solo quando terrà la sua creatura tra le braccia.
La nostra ricerca di un figlio inizia poco dopo il nostro matrimonio; mi ricordo ancora la prima volta in cui non abbiamo preso precauzioni: mi batteva il cuore come se fossi una verginella al primo incontro, mi sono sentita mancare al pensiero che di lì a nove mesi avrei potuto vedermi accudire un cuccioletto… beata ingenuità che mi faceva vedere tutto facile e a portata di mano! Per anni il mio ginecologo mi aveva detto che sarei rimasta incinta con lo sguardo, per anni mi sono imbottita di pillola, magari abbinandola pure al preservativo, tanta era la paura che arrivasse un figlio troppo presto…col senno di poi mi sarei risparmiata tanti ormoni.
Come spesso accade, il primo mese non succede nulla: nessun problema, è normale, solo mia madre è rimasta incinta al primo tentativo!
Il secondo mese si ripete il copione del primo: all’epoca conoscevo solo superficialmente l’andamento del mio ciclo, regolare, per carità, per cui calcolavo il periodo fertile a spanne, senza tb, senza osservazione scientifica del muco, senza nulla.
Dal terzo mese però, decido di affidarmi all’infernale “test persona”, usato al contrario ovviamente. Nel frattempo mio marito, che, da paladino della sincerità, non aveva mai nascosto di assecondarmi per farmi un favore e non per desiderio impellente di paternità, nonostante questo comincia a preoccuparsi: lui pensava anche più di me che fare un figlio fosse la cosa più facile del mondo! Il suo orgoglio maschile inizia a vacillare: e se sparassi a salve? e se avessi qualche malattia? si chiede il mio uomo, noto anche per la sua impazienza nell’ottenere le cose.
Per quanto riluttante, su mio consiglio va buono buono a fare uno spermiogramma, che impietosamente riporta la diagnosi “oligoastenozoospermia”.
I valori sono tutti bassini, non tragicamente bassi, ma un po’ sotto la media; perciò il suo medico lo rassicura, informandolo che si trova in buona compagnia con altri milioni di persone, e gli prescrive un generico ricostituente e alcuni esami più specifici.
Io inizio a mettermi il cuore in pace e indosso subito la mia divisa virtuale da infermiera: gli compro i farmaci, gli prenoto le visite, avviso le persone a noi vicine, che sapevano della nostra ricerca, che avremmo subito una battuta d’arresto e mi sento salda e forte. Perché io non ho niente, io sono quella che resta incinta con lo sguardo, quello un po’ acciaccato è lui e io sarò la superdonna che gli saprà stare vicino con pazienza e discrezione.

All’inizio del nuovo anno la mia consueta visita ginecologica: tutto a posto, il mio nuovo ginecologo mi fa notare che ho un follicolone sull’orlo dell’esplosione, se mi interessa, che agisca il prima possibile!
Torno a casa trionfante e inchiodo il povero marito al muro. Qui devo aprire una doverosa parentesi sulla nostra vita sessuale.
Mio marito è un uomo dalle mie qualità, ma sessualmente è un bradipo: ti guarda con l’occhio liquido e ti dice candidamente che ti adora, che alla tua vista si eccita, ma che fare l’amore è troppo faticoso! L’inizio degli incontri a fini procreativi (lui li chiama con questa espressione asettica), ha portato ulteriori disagi: voglia o non voglia il tal giorno si deve trombare (scusa la grettezza, ma è così), e la mia intraprendenza si era dovuta trasformare in vero e proprio assalto al fortino, che non sempre riuscivo ad espugnare.
Insomma, quel giorno il mio assedio è tragico e disperato: il marito all’epoca era stanco, stressato, sfiduciato per via dei recenti esami, l’ultima cosa che voleva  era stare con me. Ma io sono un mulo ostinato e lui alla fine capitola; risultato: la peggiore trombata della storia.
E’ un sabato, quella sera esco con le amiche di sempre, mi prendo una discreta sbronza e passo il tempo a lamentarmi delle scarse prestazioni del mio uomo e del fatto che di questo passo non riuscirò mai a procreare.
Due settimane dopo scopro di essere incinta.

Sono incinta del peggior rapporto della mia vita, non è un grande inizio, ma sono incredula e felice: nonostante ogni previsione, nonostante quello spermiogramma poco incoraggiante, nonostante quell’unico desolante rapporto di quel mese, io sono incinta a soli quattro mesi dal primo tentativo. Sono incinta, sono felice, e sono tragicamente spensierata e fiduciosa.
Tutto inizia il mio primo giorno di ritardo; io non ci stavo neanche pensando ma lui, che ha un sesto senso inquietante, mi chiede di fare un test. Io mi sono sempre immaginata chiusa da sola nel mio piccolo bagnetto della mia minuscola casa, ad appannare lo specchio sopra il lavandino con l’ansia di quei due minuti di attesa; e invece il prode marito mi ronzava intorno come un moscone, ha voluto vedere per primo lui il risultato, per poi passarmi quell’oracolo indecifrabile che aveva una linea sbiadita da morire, ma era pur sempre positivo.
Fino a quel giorno non avevo avuto mezzo sintomo: solo una sera, mentre lavavo i piatti, un capogiro da dire “Oddio” e poi basta, non un dolore, non un mal di testa, non un seno gonfio.
Appena la settimana prima c’erano state le vacanze di Carnevale e noi ne avevamo approfittato per andare due giorni a Firenze: lì ho mangiato la migliore fiorentina al sangue della mia vita…FIORENTINA? AL SANGUE? La mia prima gravidanza, nell’arco di quel ricordo affiorato subito dopo il test, mi ha presentato la sua prima angoscia: la toxoplasmosi! Ho iniziato a piangere disperata, mio marito non capiva, io già mi vedevo un figlio malato e io additata come madre degenere, una strage.
Sono uscita di casa col mio test nella borsa, ancora una volta era sabato sera e ancora una volta stavo per uscire con le amiche di sempre: volevo far valutare anche a loro quella linea sbiadita, sfogare tutte le mie ansie…
All’improvviso, un’apparizione prodigiosa sul mio cammino: il mio ginecologo passeggia noncurante per strada! Gli corro incontro brandendo il test: -Ma secondo lei è positivo? Ma secondo lei verrò punita dal demone della toxo? E ora che faccio?-. Lui scoppia a ridere, mi dice che sì, sembra positivo, mi dice che no, è molto improbabile che abbia contratto la toxo per una bistecca, mi dice di stare calma, di iniziare a prendere l’acido folico e di chiamarlo il lunedì per prenotare la prima ecografia: e tanti complimenti e auguri!
Io inizio ad adorare il mio ginecologo: LUI lo predisse, LUI trovò il follicolo pronto, LUI aveva cancellato le mie ansie con due parole.

Il lunedì faccio le beta di conferma: sono davvero incinta, di 4-5 settimane come previsto. Ora può iniziare il giro degli annunci.
Mia mamma è la prima, da donna serafica prende la notizia come l’annuncio di un nuovo taglio di capelli (ma lo so che dentro freme e si commuove, la sua unica figlia sta per renderla nonna!); mio padre lo sa qualche giorno dopo; i miei suoceri lo vengono a sapere ancora dopo, perché abbiamo dei rapporti a dir poco superficiali, cordiali ma ridotti al minimo. In compenso le mie amiche vengono informate dalla prima all’ultima, ci manca solo che metta i cartelli fuori casa, sono felice e voglio condividerlo col mondo; non mi trattengo nemmeno al lavoro e finisco per dirlo a colleghi e studenti, questi ultimi col preciso scopo di indurli a non farmi arrabbiare come al solito, per il bene della creatura.
Qualcuna delle amiche più navigate cerca con tatto di farmi notare che un po’ di discrezione in più mi farebbe bene, ma io sono spensierata e incrollabilmente fiduciosa: andrà come andrà, dico a tutti, intanto io mi sento un fiore, non ho le nausee, non ho dolori, sono carica e vitale come non mai.
I giorni passano, si avvicina l’ecografia dell’ottava settimana.
Io sto attenta, mi muovo con circospezione, quando cammino mi tengo una pancia che vedo solo io, controllo quello che mangio, smetto subito di bere e fumare (vizi che in passato avevo coltivato in modo blando e che comunque avevo già ridotto quasi a zero), mi compro questo fantastico libro sulla gravidanza e un quadernino tempestato di quadrifogli e coccinelle, che voglio usare come diario per ogni settimana. Inizio a compilarlo in ogni dettaglio: il mio peso, le mie misure, i miei stati d’animo, i primi sintomi che avverto.
Ecco, i primi fottuti sintomi: sento dei dolorini, sarà l’utero che inizia ad allargarsi, mi dico; vedo a volte qualche piccola perdita, sarà l’impianto e l’assestamento, mi ridico in tutta la mia cieca ignoranza…ma all’epoca ero la prima del gruppo che faceva un figlio, aprivo una pista non battuta dalle altre e non c’erano consiglieri sulla mia strada, né io per la verità li cercavo.
A inizio marzo vado a teatro con mia madre: il pomeriggio ero andata a fare la spesa e incautamente avevo trasportato due sacchetti più pesanti del previsto. La sera, appena scesa dall’auto, di fronte al teatro, sento una fitta fortissima alla pancia: mi toglie il respiro e io per la prima volta mi preoccupo davvero. Corro in bagno a controllare ma c’è solo una gocciolina di sangue, mi tranquillizzo e penso che è tutto normale. Mi siedo, lo spettacolo inizia… e io mi addormento. La stanchezza delle gestanti, penso io…è stato l’ultimo pensiero ingenuo che ho avuto sulla gravidanza.

Arriva il giorno della mia prima ecografia. Mio marito non mi accompagna, non se la sente, o forse non gli interessa; fino a quel momento è stato una presenza silenziosa e un po’ disorientata al mio fianco, spettatore delle mie gioie senza riuscire a capirle e a provarle a sua volta. Io non insisto perché lui venga: è un primo controllo di routine, si vede poco o nulla e poi con me c’è mia mamma.
Iniziamo con due chiacchiere col medico: sintomi? Eh, qualche doloretto, qualche perdita (primo sopracciglio inarcato del gine)… acido folico? Oddio, ho dimenticato di prendere l’acido folico! (prima lavata di capo del gine)… bene, taglia corto, andiamo a vedere come va.
Sdraiata sul lettino, ricordo ancora il mio sorriso ebete mentre cercavo sul monitor il mio fagiolo; ho iniziato a preoccuparmi quando il suo silenzio è diventato troppo lungo e la sua ricerca con la sonda troppo assidua.
Poi ha iniziato con le domande vaghe: -Quando pensi che sia stato il concepimento?-
-Il 6 febbraio, impossibile sbagliare, ma dottore…c’è qualche problema?-
-Ecco, vedi qui? C’è un inizio di camera gestazionale, ma poi non si è più sviluppata; poi qui vicino c’è l’altra…-
-Ma come? Due, dottore? O mio dio, che peccato però che ora sia solo uno, ma forse è meglio, come avrei fatto a gestirne due? Ma mi dica, come sta l’altro?-
-Sembra un po’indietro, sembra a sei settimane, secondo me il concepimento è avvenuto dopo…-
-Ma le dico di no! L’ho fatto una sola volta quel mese, e non si ricorda poi che l’ovulazione me l’ha verificata lei?! -
Il mio cuore inizia a battere così forte che pulsa anche l’immagine sul monitor.
-Proviamo a sentire il battito…- e già nella sua voce non c’è nulla di vitale.
E’ stato il silenzio più profondo che abbia mai sentito. Ho sentito solo le lacrime scorrermi sulle guance.
-Mi dispiace, non c’è battito… se dici che sei sicura di essere all’ottava settimana…-
Ho iniziato a singhiozzare, pensavo che avrebbe tolto la sonda perché mi stavo facendo male a furia di sussultare, ma lui ha solo saputo dire, in coro con mia madre:
-       Ma non devi prenderla così, è solo la prima volta. Succede a moltissime donne…-
Vaffanculo alle altre donne, ho pensato, qui ora ci sono io!
E vaffanculo, senza un seguito, è quello che poi gli ho detto.
- C’è qualcos’altro che non va…fammi controllare…-
Perché? Può esserci qualcos’altro?! Non è già finito così il mondo?! Non si è già interrotta qui la mia vita, oltre che quella del mio bambino?!
Ma io qui non l’ho più sentito, ho solo pianto e gli ho buttato addosso tutti i miei dubbi: è colpa mia? sono stati i sacchetti della spesa? è stato l’acido folico che ho dimenticato di prendere? sono state l’auto e le infami strade rodigine piene di buche? è stata quella maledetta bistecca al sangue? o è stata quella stupida sbronza che ho preso proprio il giorno in cui ho concepito il mio fagiolo? (ma quest’ultima cosa non gliel’ho mai chiesta).
Poco dopo, seduti nel suo studio, io tremante, mia madre spaventosamente muta e affranta, lui hai iniziato a salmodiare:
-Non è colpa tua, non hai fatto nulla di sbagliato, non potevi fare nulla di più…a volte la natura decide al posto nostro, il fisico comprende che quello che sta nascendo non può sopravvivere e lo interrompe…-
Ora so che questa scena è stata vissuta mille volte, da mille donne, in mille identici studi di mille ginecologi con la stessa faccia appesa del mio.
-Nel tuo caso, poi, forse è successa una cosa davvero rara, si chiama mola vescicolare, è una degenerazione dei tessuti dell’embrione: non sono sicuro, dall’ecografia si vede pochissimo, aspettiamo qualche giorno, ti rivedo, magari succede qualcosa e vediamo il battito… altrimenti purtroppo bisognerà operare, facciamo un raschiamento, analizziamo il materiale e se serve facciamo un po’ di terapia, una piccola chemio preventiva…-
Ecco, questa scena credo sia stata vissuta da un numero inferiore di donne. Dunque, nell’ordine: negli ultimi venti minuti io ho perso un figlio, anzi due, e ho preso un potenziale tumore…ma qualcuno mi dice che cacchio vuol dire “chemio preventiva”?
Non sono un medico ma non sono deficiente: una chemioterapia non è mai preventiva, è sempre e solo curativa! Lui qui si incarta, si impappina, e alla fine taglia corto e mi fissa l’appuntamento di lì a pochi giorni. Al mio fianco è seduto il fantoccio di mia madre: lei è scomparsa dopo le parole “mola”, “raschiamento”, “chemio” ed è già andata a preparare il mio funerale.
Io, uscendo dallo studio, MI SENTO ABITATA DAL VUOTO e torno a casa senza dire una parola.

Dietro la porta di casa c’è un marito gongolante che mi aspetta, un metro e ottanta di uomo sorridente che pensa di sentirsi raccontare di un fagiolo che forse ha appena iniziato a percepire nella sua vita…ma il suo sorriso si spezza in un secondo.
Io sono caduta a terra appena messo piede in casa, ho iniziato a singhiozzare, NON C’E’ PIU’, NON C’E’ PIU’, dicevo, e tra un singhiozzo e l’altro ho iniziato a spiegare e lui a non capire, a chiedermi di più, per come, per cosa e perché, e a stringermi e a  non sapere cosa fare e a chiedere sempre: -Ma tu?! Ma tu stai bene? Ma tu muori? Ma io come faccio senza di te?-
Ma a me che me ne frega se muoio, sono già morta, sono qui che ti spiego che per me il peggio è questo, la fine è questa, punto.

I giorni successivi sono un respiro trattenuto all’infinito: non ho mai creduto alla seconda occasione che mi ha dato il ginecologo, ho solo atteso l’inevitabile corso degli eventi. Non ho voluto stare a casa dal lavoro, pensavo che a scuola non avrei pensato, ma nelle ore buche mi sono chiusa in bagno a piangere.
Poi è arrivata la seconda ecografia: - Con  questo foglio ti presenti domattina alle sette in reparto, a sera dovresti essere a casa, chiamerò il primario per essere aggiornato – mi dice il “gine-dalla-faccia-appesa”.

Io non sono mai stata ricoverata in vita mia, né tanto meno operata, e mai al mondo avrei pensato di andare a subire un raschiamento, pardon, “revisione uterina”, perché così sembra meno crudo…a me fa sentire un’automobile dal meccanico…
L’ospedale è grigio e freddo come da previsione, mia madre tenacemente ottimista e consolatoria come da copione e io calma, imprevedibilmente calma. Non sono rassegnata, non sono disperata, non sono incazzata, sono solo calma, assisto a questa rappresentazione, mi vedo subire molto e agire poco, resto in attesa.
Neanche stavolta ho voluto che lui mi accompagnasse, ho voluto proteggerlo, e poi sapevo che non mi avrebbe aiutato la sua presenza in ospedale. Lui è venuto a prendermi la sera, mi ha cucinato una montagna di spaghetti, mi ha messo a letto e mi ha abbracciato fino al sonno…e questo è l’amore per cui lo ringrazio.
Dal giorno dopo inizio a pensare che devo ricucire i pezzi di me e ripartire, un po’ d’ingenuità mi è rimasta e non considero che la sfiga è sempre dietro l’angolo: la nuova ecografia del mio gine dice che è rimasto del materiale, bisogna fare un’altra “revisione”.
E qui mi incazzo: che l’ospedale della zona in cui abito non fosse famoso per capacità si sapeva, ma non fino a questo punto!
A una settimana esatta dal primo intervento torno sotto i ferri, e devo pure insistere per tornarci!
Stavolta sono preparata, non più spettatrice ma protagonista, stavolta controllo tutto e tutti, non mi perdo una parola o un movimento…percorro a pancia in su il corridoio verso la sala operatoria, vedo arrivare il medico che mi ha operato la prima volta, poi ne vedo un altro:
-Scusi infermiera, chi mi opera? Vi informo che io QUELLO non lo voglio, grazie a lui sono qui per la seconda volta, che non si azzardi a toccarmi!-
-Stai calma – l’infermiera mi dà del tu perché avevamo già fatto amicizia – non ti opera lui (sento dalla sua voce che lei lo disprezza quanto me) ma l’altro, adesso però stai buona e aspettiamo.-
Eccoli, i puffi in camice arrivano, io sono già un po’intontita dalla pre-anestesia ma non mi perdo un passaggio, tiro su la testa e seguo le loro elucubrazioni davanti alla  mia vagina, come se stessero ispezionando un furgone carico di merce:
-Beh, poca roba ma interveniamo e liberiamo tutto. – fa il medico nuovo,
-Mah, dai, non c’è mica tanto, non vale la pena operare! – fa il cretino della volta precedente.
Io mi alzo sui gomiti e apostrofo il puffo che mi pare meno stupido: - Senta, lei adesso prende quel cucchiaio e toglie tutto quello che c’è da togliere, ho già mezza anestesia in corpo, non può mica lasciarmi così, anche perché io da qui non mi muovo finché lei non mi scucchiaia!-
Gelo in sala. Il puffo intelligente si azzarda solo a dire: -Procedete con l’anestesia.- Sipario.

La scena successiva è un loop che dura settimane. Gita in reparto ogni venerdì, prelievo del sangue, le beta che scendono, poco ma scendono, no, l’esito della biopsia non è ancora pronto, glielo diciamo noi signora.
Io intanto rivedo partire il mio ciclo, i miei chili volano via dalla bilancia (e avrei dovuto sapere che questo era l’inizio dell’esaurimento) ma io sono determinata e combattiva: devo stare bene il prima possibile. Devo stare bene per riprovarci, devo stare bene per fare un figlio. Di me non me ne frega nulla.
Ma il figlio non si può fare subito, bisogna aspettare: si devono azzerare le beta, poi ci sono i controlli da fare e c’è il “periodo finestra”. Cacchio, quante espressioni strane, questa di solito si usa per la sieropositività; ma anch’io ho il mio periodo finestra di sei mesi, da quando si azzerano le beta devo aspettare sei mesi prima di riprovare a concepire, perché l’infame mola può tornare a bussare alla tua porta. Per me è solo tempo perso, un intralcio nel mio percorso, ancora più seccante perché mi toglie la possibilità di amoreggiare in estate, che per noi insegnanti precari significa disoccupazione ma anche vacanza, tempo libero e relax per fare ogni cosa a modo.
Ma le sorprese non sono finite: un venerdì mattina vado in  ospedale per il solito prelievo, il solito ritiro delle beta precedenti…e qui si interrompe la catena.
-Fiorenza, le tue beta purtroppo stavolta non sono scese (ormai sono amica di tutte le infermiere che, carine come non mai, tifano per me) devi andare a colloquio col primario.-
Urca, entrano in campo i pezzi grossi, il gioco si fa duro! Il primario è un ottimo medico, ma ha l’aspetto di un satiro incazzoso e in effetti è famoso per la sua sbrigatività e ruvidezza. Che si appresta a sfoggiarmi di lì a poco:
-Bene, cara signora, le beta non scendono, vediamo gli esiti del prossimo prelievo, poi la prossima settimana iniziamo con il protocollo di methotrexate, si tratta di una sorta di chemio preventiva…-
Alt! Vi siete messi d’accordo per pigliarmi per il culo?
Obietto la natura ossimorica dell’affermazione e il rude ma onesto medico, quasi divertito per essere stato scoperto, afferma che sì, non c’è nulla di preventivo, una chemio è una chemio, per quanto questa non sia così pesante da farmi perdere i capelli e compagnia bella.
Nessuna disperazione si fa strada in me, il rude medico ne pare soddisfatto e mi dice bello schietto che gli sono simpatica…che culo!
-Ricapitolando, se venerdì prossimo le sue beta sono, diciamo, a 8, evitiamo la terapia, altrimenti iniziamo subito-.
Bene bastardo, mi dico io, ora te le faccio scendere queste beta! Come se dipendesse da me.
Con mia madre, costantemente aggiornata sull’andamento della cosa, minimizzo, cuore di figlia che vuole evitare tragedie; col prode marito, non so perché, esagero, forse nel tentativo di fargli capire che mi accingo a una grande impresa. Col tatto di un elefante gli telefono mentre sta andando al lavoro e gli dico: - Amore, forse ho un tumore, lo so tra una settimana-. Lui rischia l’infarto e me lo rinfaccia ancora oggi.

Qui purtroppo devo aprire un’altra parentesi: Fiorenza e la fede.
Mi sono sempre molto interrogata sul mio rapporto con la religione e ormai ne ho concluso che credo in Dio e nella spiritualità in genere, ma purtroppo non credo affatto in quella che chiamo “burocrazia ecclesiastica”, anzi ne sono molto infastidita; non credo nei preti, nei riti e nei praticanti distratti e retrogradi. Per me la fede è slancio, gioia, passione, riflessione e dubbi che l’uomo pone a Dio in un dialogo diretto, senza giudizi moralistici e ingombranti mediazioni; insomma, forse sarei una buona  protestante, ma sono una pessima cattolica.
Nonostante questo mi sono sposata in chiesa, per scelta, nella speranza di fare come la pecorella smarrita che ritorna fiduciosa all’ovile…ne ho concluso che la pecorella è felicissima di essersi smarrita, quel mondo ipocrita non mi avrà mai.
Da tutto ciò ne consegue che credo poco anche ai vari simboli del rito cattolico, ma nel caso della mia battaglia contro le beta ho finito per rivedere alcune posizioni.
Vicino a casa mia ci sono dei giardini pubblici, dove gli abitanti della zona hanno improvvisato un capitello mariano, che oggi è quasi un piccolo santuario. Nelle mie passeggiate pomeridiane ci passavo spesso davanti, dedicando alla statua della Madonna un saluto incerto, un segno della croce imbarazzato e qualche biascicata preghiera per la mia sventurata maternità.
Il giorno fatidico del colloquio col primario però ho sentito il bisogno di fermarmi e fare un discorso serio con Maria: le ho raccontato un po’ la mia storia e le ho chiesto di far scendere queste maledette beta, forse tutto il dolore che avevo vissuto me l’ero meritato come punizione per qualche mia malefatta, ma ormai era ora di darmi una seconda possibilità. In cambio del suo aiuto le ho promesso di portarle cinque rose bianche in segno di gratitudine e devozione: 5 è il numero sotto il quale le beta sono azzerate, a qualche simbolo ci credo anch’io.

Arriva il venerdì successivo, vado in ospedale, il rude primario mi accoglie sornione e mi dice rapido che le mie beta sono esattamente a 8: methotrexate scampato per un pelo. La settimana dopo le beta sono inferiori a 5. E la biopsia è negativa, con un laconico “parziale mola vescicolare”.
Quel pomeriggio 5 splendide rose bianche facevano bella mostra di sé ai piedi della Madonna.

I mesi successivi sono tranquilli, mi tengo monitorata, visto che ho tempo faccio i dosaggi ormonali, la prolattina e qualche altro esame che poi ho scoperto non essere abbastanza specifico.
Inizio, un po’ per ansia un po’ per noia, quello che chiamo il mio “vagabondaggio mediatico”: alcune ricerche in internet alla voce “mola vescicolare”, “aborto”, “methotrexate” mi fanno scoprire l’immenso stuolo di mamme, o aspiranti tali, inghiottite dalla rete. Forum, blog, siti dedicati, pagine private di medici, è tutto un proliferare di pareri, consigli, esperienze personali, dubbi, ansie, sfoghi, storie tragiche, storie felici e bufale indicibili. Le mamme nella rete hanno una lingua tutta loro, parlano delle “malefiche rosse”, si dicono “non le aspetto il…” e si salutano con “in bekko alla ciko”.
Certi caldi pomeriggi estivi mi vedono stravaccata al pc, grondante sudore, le uniche cose di me che si muovono sono gli occhi e il dito sul mouse e io navigo….navigo…navigo… a volte approdo ed esploro curiosa, novello Ulisse nelle isole della procreazione, altre volte resto avvinta dalla prima Calipso incantatrice, altre combatto fiera dicendo che a me no, quella sfiga non può capitare, quell’errore non lo posso proprio commettere. E’ il terribile potere del “mal comune mezzo gaudio”, ora il tedioso adagio “il 20% delle donne alla prima gravidanza abortisce” non mi sembra più una bestialità. Mi faccio anche una cultura, inizio a maneggiare le sigle PM, PO, TB, Fivet e Icsi come un giocoliere esperto. Il rovescio della medaglia è l’accentuazione dell’ansia di controllo: ora monitoro il mio ciclo con “Persona”, “Clearblue”, temperatura basale, per l’osservazione del muco ci manca solo che indossi camice e guanti. Creo tabelle incrociando i dati che neanche le agenzie di statistica, sembra quasi che decida io quando e come ovulare. Il mio ciclo però è ancora ballerino, fa i capricci, riprende poco e male, e chiede pietà di fronte al mio cinismo di medico improvvisato.
Luglio porta il primo dei tanti scossoni emotivi che sarebbero seguiti. Nel mio gruppo di amiche fedeli ce n’è una più riservata, si fa vedere poco e sempre dopo molto insistenze, ma un bel giorno ci invita lei per un aperitivo tutte insieme.
- Ragazze, vi devo dire una cosa… - ho cercato di camuffare la morte dipinta sul mio viso.
Lei era una di quelle che “Io figli? Mai! Non ci sono tagliata, non ho pazienza, ho troppi impegni etc.” ed eccola lì, col suo pancino da fine del terzo mese, che ci spiegava con quel pudore che ormai odio che - … non lo cercavamo, non ce lo aspettavamo, chissà come è successo! Non ci pensavo nemmeno, tanto che l’ho scoperto al secondo mese avanzato…-. Esistono ancora donne che con due mesi di ritardo dormono sonni tranquilli…
Mi si è crepato lo stomaco, ho usato tutte le mie doti istrioniche per dissimulare una gioia che non provavo.
Molti mesi dopo, quando ho elaborato la cosa e ho tolto alla mia amica tutte le colpe che non aveva ma che io le avevo comunque dato, le ho scritto una lettera, che le ho dato in ospedale quando sono andata a trovare la sua cucciola appena arrivata, in cui le dicevo di non temere di non essere una buona mamma, perché lei lo era ancora prima di saperlo: la mia amica riservata e distante mi aveva telefonato, un giorno di fine aprile, e mi aveva chiesto come stavo dopo le operazioni, mi aveva consolato a lungo, con una tenerezza e una premura inusuali per lei. Lei era incinta in quel momento, ma non lo sapeva; il suo corpo e il suo cuore però lo sapevano e l’hanno spinta a quell’istinto di protezione verso di me e verso il mio cucciolo che se n’era andato.

Arriva settembre e ripartono molte cose, due in particolare: la scuola e la mia possibilità di riprendere i tentativi alla ricerca del mio fagiolo.
E qui Fiorenza-la-forte, Fiorenza-la-combattiva crolla miseramente.
Mi danno un incarico impegnativo e io mi sento investita di responsabilità neanche fossi il capo del governo: voglio dare il massimo, voglio essere brava e passo le mie giornate a studiare anche le nozioni più banali. Vivo tutto come se fosse il mio riscatto, anche se nessuno me l’aveva chiesto.
Nel frattempo il gine mi dà il via libera per i tentativi procreativi: dopo mesi di sesso blando e sicuro penso che si apriranno le danze più sfrenate…e invece improvvisamene mi blocco.
Non riesco più a fare l’amore con il mio uomo; la sola idea mi terrorizza, mi rivedo già nel tunnel di medici e ospedale. Il mio destino non è avere figli, ma aborti e complicazioni cliniche di ogni genere.
Smetto di mangiare, smetto di dormire, smetto di sorridere.


Ecco che mi tocca aprire l’ennesima parentesi, ma questa è inevitabile: Fiorenza non nasce forte e combattiva, Fiorenza sboccia a nuova vita a 23, dopo un’infanzia e una giovinezza passata nell’ombra, nella paura, nei complessi esistenziali di ogni genere. La Fiorenza degli esordi è vittima di se stessa, si flagella di sensi di colpa che si costruisce da sola, ma addebita a familiari e amici, si annulla nella più totale mancanza di autostima, si crogiola nelle delusioni d’amore, e alla fine sguazza per un po’ nella vera depressione, quella patologica. Ad aiutarla ad asciugare la sua piscina di paranoie arriva uno psicologo speciale, scelto per caso solo perché aveva una bella voce alla segreteria telefonica. Fiorenza ci mette qualche anno e diverse decine di scatole di antidepressivi, ma alla fine ne esce fuori come una farfalla sgargiante, fiduciosa, serena, pronta alla vita e quasi sicura di sé. Si laurea, si fidanza, fa due o tre lavori in contemporanea e li fa tutti bene … datele una montagna e la frantumerà con un sorriso.
Nel corso degli anni e delle varie ricadute ho affinato sempre più la mia capacità di riconoscere il subdolo ritorno dei sintomi, il riaffiorare dei miei riti di perfezionismo e controllo della realtà. Da sola o col mio geniale psicologo li ho sempre bloccati ed estirpati, ma questa volta ho peccato di tracotanza, la vera ubris della tragedia greca.
E come un’eroina tragica sono andata incontro al buio.
Avevo riconosciuto subito le avvisaglie, l’impegno estremo sul lavoro, l’iperattività, me l’ero anche detto: stanno tornando l’esaurimento e la depressione, ma stavolta li controllo, stavolta non mi faccio fregare, ho tutto in pugno. Come no.
Avevo passato tutti i mesi precedenti così concentrata a curare il mio fisico che mi ero completamente dimenticata dell’anima: non mi ero data una pausa, non mi ero concessa di leccarmi le ferite, di piangermi un po’ addosso e di perdonarmi.
Perché il problema era sempre quello: io mi ero incolpata del mio aborto. Io non riuscivo a pensare che l’aborto è un evento, che non dipende da noi, io gli avevo trovato una ragione e quella ragione ero io. Io avevo sbagliato, io ERO sbagliata, io avevo perso il mio bambino perché dovevo pagare per i torti commessi in passato, non so quali torti e non importa, un torto lo trovi sempre, una mancanza, una cattiveria commessa con o senza volontà.
I mesi di pausa forzata avevano soltanto rimandato l’esplosione della bomba: ora Fiorenza era libera di riprovare, cioè era libera di sbagliare ancora ed essere ancora punita.
Ho riconosciuto subito tutti questi miei sentimenti, a tutti ho dato un nome e un ruolo, convinta che non sarebbe servito stavolta appoggiarsi al geniale psicologo, ce l’avrei fatta da sola,  era questa la prova da superare per espiare i miei peccati.

Ma non ce la faccio. Prima della testa capitola il mio fisico. A novembre, dopo due settimane senza quasi né cibo né sonno, cedo e vado a farmi raccogliere col cucchiaio dallo psicologo speciale. Non ci vuole molto a rimettermi in piedi: finalmente qualcuno mi costringe a guardarmi, a farmi una carezza e ad assolvermi.
Il giorno peggiore di solito coincide con la rinascita: a fine ottobre ero andata dal gine, che dopo un periodo di consulti vaghi e annoiati si era improvvisamente svegliato e mi aveva messo sotto la lente. –Qui bisogna monitorare la fase luteinica, se è breve serve il progesterone, potresti aver perso il bimbo per questo! Qui bisogna fare un esame serio della prolattina, con tre prelievi, se è alta può essere un problema! -.
Alè, il gine aveva deposto la faccia appesa e imbracciato il fucile.
Vado dunque a fare un banale prelievo della prolattina, tanto per iniziare, e con il barile di stress che avevo addosso ovviamente il valore è alle stelle. Si passa ai tre prelievi a distanza ravvicinata. Io purtroppo tendo a svenire anche con un prelievo minimo, figurati con tre!
Dopo l’ennesima notte insonne, non un minuto ad occhi chiusi, stremata, affamata ma con lo stomaco rivoltato, vado a fare l’esame carica di tutto il mio dolore e di tutta la mia sfiducia: l’esame andrà male, è certo, nello stato in cui sono.

L’esame va bene: i miei livelli di prolattina sono da manuale, l’esaurimento non ha vinto. Comincia la lenta risalita.
Faccio anche altri esami, alcuni ordinati dal gine-col-fucile, altri richiesti da me con forza, perché il primo aborto pare che sia normale per tutti, tranne che per te; ti sembra che nessuno ti prenda sul serio, ma tu vuoi sapere, vuoi una spiegazione, il caso e le percentuali non ti bastano.
Il fattore V va bene, il CA125 anche, provo pure a fare una consulenza genetica ma mi rispediscono a casa, dicendomi che un solo aborto non è sufficiente a giustificare un’indagine del genere. La medicina sa essere crudele.
L’unico neo è la fase luteinica, un po’ fiacca, lo confermano anche i dosaggi di progesterone, quindi si parte con la pastiglietta ogni seconda metà del ciclo. Direi che mi poteva andare molto peggio.
Resta lo scoglio principale: tornare a fare l’amore, tornare ad avere fiducia in lui, in me, in noi. Qui ci vuole un po’ più di tempo, qui entra in gioco il mio uomo meraviglioso.
Lui viene poco nominato in questa storia ma c’è sempre: lui è una presenza silenziosa, ma non molla un colpo, non mi perde di vista, mi raccoglie se cado, a volte mi prende anche al volo. Io sono quella che urla, che fa casino, che ride poi piange e poi ride, poi spacca il mondo e poi lo ricostruisce. lui c’è, lui ascolta, lui non parla ma fa il gesto risolutivo.
E lo fa anche stavolta:  succede un giorno a pranzo, sul pavimento della cucina, mentre gli spaghetti in pentola si scuociono. Il mio uomo-bradipo, il mio uomo pigro si avvicina, mi scioglie e mi prende senza chiedere il permesso, ma certo di ottenerlo, perché lui sa che quello è il momento e quello è il modo.
Da quella sera riprendo a godermi qualche sano orgasmo senza l’ansia della procreazione, senza aspettative e senza sensi di colpa.
E’ arrivato Natale: anche per gli anticattolici come me quei giorni portano un po’ di serenità. Nasce la figlia della mia amica e io ormai ho fatto pace con la mia pancia, con la sua e con le altre pance a spasso in città.

Sono uscita dal tunnel, il lavoro va bene, con fasi altalenanti ma ora non è più al centro dei miei pensieri, ora l’obiettivo torna ad essere un altro: il mio fagiolo.
Non l’avevo mai perso di vista, ma dovevo fermarmi per un po’ su di me prima di tornare a tendere a lui. Riprendono gli incontri a fini procreativi, mio marito mi asseconda con più slancio, a volte sembra sia lui a incalzare; io, che ho fatto i compiti per casa,  tengo monitorata l’ovulazione meglio di uno staff medico.
Ma a maggio non è ancora successo niente: l’entusiasmo iniziale cala sia in me che in lui, facciamo i compiti più per ostinazione e spirito di servizio che per vera convinzione, e ogni tanto ringhiamo pensando a quell’amica che mi aveva detto, per rincuorarmi, che dopo un aborto i figli arrivano prima perché il fisico si è ripulito.

Iniziamo a interrogarci: forse la mola ha rotto qualcosa in me, forse c’è qualche problema, forse dobbiamo indagare, forse…

Giorno dopo giorno, ascoltando l’esperienza travagliata della mia più cara amica, mi sono convinta che forse devo ricorrere alla PMA, che se dopo tanti tentativi post aborto non è successo nulla, qualcosa in me si è starato e deve arrivare la canulina di precisione di un medico a far ritrovare la strada ai miei follicoli ubriachi.

Contro il parere del mio ginecologo, che dice di aspettare e aver fiducia, e contro il parere del mio precedente ginecologo, che dice pure lui di aspettare e aver fiducia, io e lui, esaurita la pazienza e la fiducia, ci ritroviamo a inizio settembre seduti nello studio del dottor Tal dei Tali della clinica XY, con sedi staccate ovunque, la stessa cui si era affidata la mia amica.
Il dottor Tal dei Tali sfoggia tutta la sua superiore competenza in materia e conquista l’ingenuo annunciandogli che il suo spermiogramma non è affatto male, ha fatto nascere squadre di bambini con situazioni ben peggiori. A me tutta questa ostentata sicurezza puzza un po’. Passa quindi a me, più che ascoltare la mia triste storia si affida a una lettura veloce ma efficace della montagna di carte che gli ho portato, poi mi fulmina con uno scioglilingua: - Lei ha già fatto una sonoisterosalpingografia?-
Si indigna quando lo informo che nessuno ha ancora mai esplorato le mie tube alla ricerca del petrolio e dichiara perentorio che non si può decidere nulla senza avere prima gli esiti di quell’esame. Appena li avrà valuteremo se fare una semplice inseminazione intrauterina o se passare direttamente alla famigerata FIVET.

Io sono arrivata alla PMA senza nessun entusiasmo: rigurgiti della passata disistima di me mi dicono che non è bello non riuscire a fare i figli da sola, dalla notte dei tempi le donne figliano e tu devi farti rivoltare come un calzino, sei proprio una mezza sega!
Ovviamente, quindi, mi auguro che il mio destino sia l’intrauterina, anche perché mi sono subito convinta che le mie tube fossero aperte come il traforo del Gran Sasso, quell’esame sarebbe stata solo la conferma che il prode dottore cercava.

Pareva una sciocchezza e invece devo aspettare ben due mesi prima di aprire il cantiere della premiata ditta “salpinge&co”: prima devo aspettare la disponibilità dell’unico medico che nel raggio di chilometri fa quell’esame, poi devo aspettare il momento giusto del mio ciclo, poi devo aspettare che le due cose coincidano.
L’esame è doloroso, la ginecologa irritante e il responso è per me del tutto spiazzante: pervietà tubarica destra, stenosi distale della tuba sinistra con lieve idrosalpinge.
In pratica la tuba destra, riempita d’acqua, la lascia sgocciolare in addome come una caraffa, invece la tuba sinistra si comporta come un rubinetto che perde.
Io, da brava ignorante e inguaribile ottimista, apostrofo la ginecologa: - Beh, dottoressa, come tutti gli organi doppi è sufficiente che ne funzioni uno su due, no? –
La gine pensava forse che avessi fatto una battuta e mi spiega che invece quando una tuba non funziona anche l’altra potrebbe non lavorare a dovere, anche se non è possibile determinare nulla con certezza, pertanto il suo consiglio era quello di passare direttamente alla FIVET. Non si può nemmeno stabilire se questa occlusione io l’ho sempre avuta, e quindi sono rimasta incinta una volta per miracolo, o se è una conseguenza della mola e dei due raschiamenti. Fatto sta che ora la tuba otturata impedisce il concepimento.
Ricevuto l’oracolo di Delfi, anche il dottor-so-tutto-io, sprofondato nella poltrona del suo studio, sentenzia: o FIVET o niente.
Il mio bel marito prende la notizia come un regalo di Natale anticipato: la sua convinzione è che d’ora in poi sarà tutto in discesa, è stato trovato il problema e anche la sua soluzione, con quello che la paghiamo la FIVET avrà successo e lui dovrà dare alla causa solo un comodo contributo onanistico.
Il suo entusiasmo si spegne però di fronte alle precisazioni del dottor-so-tutto-io: in una litania che i più valuterebbero come serietà professionale e io invece valuto come volontà di pararsi il culo da parte della clinica, comincia ad elencarci tutti i fattori di rischio di una FIVET, tutte le percentuali di insuccesso ad ogni fase del percorso, tutte le complicazioni possibili nel post transfert, con numero esatto di aborti post FIVET a chiusura del suo pacco dono.
Le certezze del bel marito crollano, le mie non si erano mai costruite. Ma nonostante tutto ormai siamo convinti, questa è la strada, gli insuccessi ci possono essere in qualsiasi situazione, almeno la FIVET ci dà più probabilità di riuscita.
Il dottor-so-tutto-io ci rispedisce a casa con una pacca sulla spalla e con un pacco di esami da fare, stavolta entrambi dobbiamo farci scandagliare da capo a piedi, io sempre un po’ più di lui.
Siamo a gennaio del nuovo anno, abbiamo ancora pochi tentativi per provare ad acchiappare la pennuta a mano libera, prima di attirarla con i richiami.
Mentre io eseguo i miei esami, il borsino della gravidanze intorno a me si impenna paurosamente: è incinta questa amica, è incinta quell’altra, la tal conoscente scodella dopo un travaglio di neanche un’ora …e io mi innervosisco. Ma porca merda, cicognetta bella! Ce la fai a trovare la casa giusta o ti devo mettere dei razzi di segnalazione sul tetto?!
Nella migliore tradizione di autoflagellazione, rincaro la dose passando le mie serate su internet, non più solo a leggere di anonime mamme nella rete, ma anche a guardare foto e articoli delle mamme vip più belle e splendenti che mai. Ce n’è per tutti i gusti: la mamma più giovane, quella più anziana, la più prolifica, il caso disperato che alla fine sgancia il pargolo, l’aborto prematuro della Venere sul tacco 12. Poi c’è l’amato/odiato facebook, che mi permette di monitorare con discrezione l’andamento delle mie conoscenti appanzate.
L’unico sussulto di speranza mi viene quando vedo una pancia un po’ stagionata e mi dico che, se ce l’ha fatta lei, posso farcela anch’io.

Sta avanzando marzo ad ampie falcate, la primavera sembra che voglia far capolino da un momento all’altro. In un impeto di amore per i simboli e i rituali, decido che trasformerò il mio pollice nero in pollice verde, iniziando a prendermi cura di piante e fiori; se non so curare una pianta, mi dico, come potrò mai accudire un bambino?
Mi dedico all’impresa con ansiosa solerzia e oggi vanto un terrazzo rigoglioso. La stessa sollecita ansia la pongo negli ultimi assalti agli spermatozoi di mio marito; gli esami di entrambi ormai sono pronti e spediti alla clinica con un fax da un milione di dollari.
Le cliniche private potranno essere ciniche e tese al profitto quanto vuoi, ma non si può certo dire che non siano rapide ed efficienti; il giorno successivo all’invio del materiale telefono per sentire se è arrivato con successo e scopro che non solo è arrivato, ma il dottor-so-tutto-io l’ha già preso in visione.
- Dottore, cosa mi dice? Come procediamo adesso?-
- Tra pochi giorni le arriverà per posta il piano terapeutico, si procuri per tempo tutti i farmaci e un’infermiera per le iniezioni; con l’arrivo del prossimo ciclo mestruale inizierà la stimolazione. Ci chiami il primo giorno delle mestruazioni e le daremo indicazioni.-
Ok capo, dobbiamo anche sincronizzare gli orologi? Lo stile piatto e poliziesco di quest’uomo per un attimo mi sconforta e mi fa pentire di aver intrapreso questo percorso.
Ma da brava scolaretta faccio i compiti e mi procuro tutto il necessario. Nel frattempo NON attendo con ansia il ciclo, beandomi dell’idea romantica di aver acciuffato l’ultima occasione e di aver fregato tutti quanti.
Negli ultimi mesi, purtroppo, mi sono fatta trascinare nel terribile vortice dei “fantasintomi”: in internet ci sono centinaia di forum sui sintomi, veri o presunti, di una gravidanza. Inizi con una ricerca generica e poi diventi una drogata esperta nel procurarsi le dosi: “sintomi 4-5 PO”, “sintomi 10 PO”, “quando fare un test di gravidanza”, “test di ovulazione usato come test di gravidanza precoce” e così via.
I “fantasintomi”, così denominati con l’ultimo barlume di razionalità dalle stesse mamme della rete, possono essere i più comuni e frequenti o i più deliranti e improbabili: tensione mammaria, turgore dei capezzoli, mal di testa, mal di schiena, mal di pancia, nausea, inappetenza ma anche voracità improvvisa, stipsi ma anche diarrea, brufoli ma anche no, sonno o insonnia, alitosi, tic nervosi, unghie incarnite… tutto ad un certo punto può diventare un sintomo. Poi c’è la tempistica: quella che sente i primi sintomi appena dopo il rapporto, quella che li sente dopo un mese, quella che non li sente mai e quella che cambia stile ad ogni gravidanza.
E tu cominci  con lo scambio di figurine: “celo, manca, celo, manca, no! forse celo, ma forse invece manca… ma ce l’avrò!”. Un delirio.
Ogni esaltazione dei fantasintomi provoca poi crisi isteriche all’immancabile arrivo del ciclo e poi, finito il ciclo, ne riparte un altro, con tutte le altalene emotive del caso.
Io più di qualche volta ho provato a far finta di niente, a non cedere alla tentazione di cercare informazioni in internet, a non ascoltare il mio corpo, ma non c’è stato niente da fare: un’aspirante mamma finisce per conoscere ogni suo minimo cambiamento, ogni tensione e ogni doloretto, e poco importa se sono veri, immaginari o provocati dalle nostre speranze, loro urlano per farsi ascoltare.
Ho allora adottato la tecnica di prendermi in giro: a ogni capogiro, a ogni dolore alle ovaie, iniziavo con un monologo degno della Littizzetto, in cui mi smontavo e rimontavo, mi esaltavo, mi rimproveravo e alla fine, per fortuna, mi facevo una grassa risata.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che i miei due ultimi cicli sono stati davvero anomali: iniziati in anticipo o in ritardo, con svariati giorni più simili a spotting che a ciclo vero e proprio, e solo due giorni scarsi di un quasi ciclo. Le macchinette traditrici non erano mai d’accordo sul mio picco di ovulazione e io, per sicurezza, facevo una settimana di maratone con il paziente marito che, grazie a Dio, non si faceva pregare più di tanto, certo che poi gli sarebbe spettata una lunga cassa integrazione.

Siamo dunque a marzo, attendo la mia ultima ovulazione prima della FIVET,  e questa infame non arriva. Mi dico che le macchinette sono andate del tutto in tilt, mi affido ai calcoli statistici e comunico al prode marito che si tromberà comunque il giorno X.
Lui insiste per aspettare: la macchinetta alla fine darà il suo responso, dice, e poi mai fare oggi ciò che puoi fare domani! Mi lascio convincere e lui ci prende: al 19 PM Fiorenza ovula, le macchinette lo decretano entrambe in coro.
Via con l’incontro procreativo! Io, come sempre da mesi, subito dopo me ne resto a fare la candela sdraiata a letto per una buona mezz’ora, mentre come sempre penso all’identica scena del “Grande Lebowski”. Poi però mi metto a fare le mie cose senza eccessive remore. Trascorro le mie giornate in una calma apparente, ma nel giro di poco arriva l’armata dei fantasintomi. Stavolta si sono organizzati tutti insieme e mi assediano su ogni fronte: sono stanca, ho sonno, ho la nausea, ho il fiatone solo a camminare, dolorini sparsi ovunque e due tette pronte a esplodere da un momento all’altro.
Il 23-24 marzo dovrebbe venirmi il ciclo, tenendo fede ai primi calcoli, ma con l’ovulazione così ritardata potrebbe arrivare anche il 27-28.
Dal 21 marzo ho qualche perdita rosa: andiamo sempre peggio, il progesterone ormai ha l’effetto di un bicchier d’acqua.
Maledizione! Consumo chilometri di carta igienica per controllarmi, quasi mi scortico il delicato fiore, ma proprio non vengo a capo della faccenda e non capisco se stanno iniziando o meno.
Apro l’ultima parentesi di questa storia: nel mio tour de force di controlli pre- FIVET non si rileva nessuna nuova sfiga, per fortuna, tranne che all’ultimo step: durante un’ecografia transvaginale il gine nota qualcosa di strano e si mette a rimestarmi come una polenta per un buon quarto d’ora.
Poi depone il fucile imbracciato mesi prima, si rimette la faccia appesa e decreta: - O hai una piccola ciste senza importanza … o hai un inizio di endometriosi!-
Alè, bomba all’idrogeno sganciata senza preavviso alcuno!
Devo quindi ripetere il CA125 e augurarmi che l’esito non infici il percorso FIVET.
La mattina di venerdì 23 marzo, prima di andare a scuola, decido quindi di andare a fare il prelievo e, già che ci sono, infilo pure le beta; così mi tolgo il pensiero e, risultati alla mano, posso chiamare senza indugio la clinica già nel pomeriggio.
Resto a scuola fino al pomeriggio, poi torno a casa, passo a prendere gli esiti in laboratorio, poi devo fare alcune commissioni, poi passo a salutare i miei, poi chiamo la clinica…questo mi dico mentre guido, ho tante cose da fare, mio marito è fuori città per lavoro per qualche giorno e io ne approfitto per sistemare mille commissioni arretrate.
Quindi recupero le mie analisi con la testa già altrove, mi avvio all’auto, apro il foglio mentre cammino e lo leggo distrattamente…poi stop. Mi immobilizzo, lo leggo, lo rileggo, mi esce di bocca solo un sibilo.
Le mie beta sono 58. Ma come è possibile?!

Il film che ho girato nella mia testa per mesi si sta davvero sbobinando intorno a me. Non è possibile: sono incinta.
Mi ricordo mentre cammino verso l’auto tenendomi la pancia, mi ricordo mentre piango e i passanti mi guardano straniti…cosa faccio? Cosa faccio?! COSA FACCIO??!
Seduta in auto, annaspo come un pesce rosso fuori dalla boccia; prendo il telefono, chiamo il gine… dai, passamelo, segretaria che sei pure incinta:
-Dottore, è incredibile, sono solo al 12 PO ma ho le beta a 58, però sono basse! E ho delle perdite! Cosa devo fare?!-
-Mettiti a riposo, magari è solo l’impianto, come periodo ci siamo; continua col progesterone, ripeti le beta tra tre giorni e poi mi chiami. E per un po’ niente rapporti! – Giuro che era l’ultima cosa che avrei fatto in quel momento; ‘sti ginecologi proprio non le conoscono le loro pazienti!
Ok, metto giù il telefono, razionalizzo. Anzi no, concludo le ultime scene del mio film.
Ma non è ancora il momento di andare a casa dei miei. Telefono alla mia amica del cuore e mi fiondo da lei. Quando la vedo riesco solo a gettarle le braccia al collo, a scoppiare in lacrime e ad appiccicarle agli occhi il foglio delle analisi, ormai tutto sgualcito.
Lei non capisce, confonde i risultati e inizia a dire: - Mi spiace, mi spiace, ma non temere, non è un valore tanto alto, sarai appena all’inizio dell’endometriosi! –
Macché inizio di endo amore mio, quella è a posto, questo è un inizio di gravidanza: hai letto i risultati al contrario! Ridiamo e piangiamo come due cretine, poi ci calmiamo e parliamo un po’, poi lei giustamente mi spedisce dai miei con mille raccomandazioni.

Eccomi qui, nella cucina dei miei, sempre con quel foglio in mano e sempre con le lacrime agli occhi; e anche loro si confondono e non capiscono e pensano che abbia qualcosa di grave. Ma come? Nostra figlia non può essere incinta! Loro se l’erano messa via da un pezzo, anche se non me l’avevano mai detto.
Mia mamma indossa subito il costume da supereroe; si veste veloce come una faina e mi segue con la sua auto fino a casa. In due ore mi tira a lucido la casa, mi prepara da mangiare per i successivi nove mesi e si appunta le commissioni da fare, mentre io dirigo i lavori dal divano, sotto le coperte e con tutto ciò che mi serve per i giorni a venire non più distante di 20 cm.
Crollasse il mondo io da questo divano non mi muovo, questa volta tratterò il mio fagiolo come una delicatissima pallina di cristallo, farò tutto quello che serve amore mio, cucciolo mio. Ti prego, non andartene anche stavolta, ti prego, prometti alla mamma che fai smettere queste maledette perdite, così lei è tranquilla. Non sei ancora neanche un esserino pensante e già fai preoccupare la tua mamma!

L’inattività inizia a pesarmi da subito; io sono abituata a essere sempre attiva, a fare tutto da sola e, come molte donne, sono multitasking: mentre stiro tengo d’occhio le pentole e rispondo ai dilemmi esistenziali di mio marito.
Ma il mio fagiolo mi riporta subito al dovere: in due giorni brucio due libri, da sdraiata o è tv o è libro, non mi concedo neanche il pc. Inoltre la lettura mi aiuta a distrarmi, perché le ansie sono tante, e una le sovrasta tutte: le perdite.
Queste maledette si sono placate, ma non sono mai smesse del tutto. Appena davano segno di essersene andate, ecco che tornavano più forti di prima. Dolori no, semmai qualche leggero fastidio, ma la carta igienica riportava sempre qualche nuova macchia di Rorschach, e le mie interpretazioni oscillavano dal poetico al tragico, con una marcata propensione a quest’ultimo.
Questa volta sono più accorta della precedente: a parte i già nominati nessuno sa e nessuno deve sapere. Chiamo la scuola per comunicare la mia assenza e, in un eccesso di correttezza, avverto che potrebbe essere lunga, di iniziare a cercare un supplente, e lì ovviamente mi sgamano.

Quando torna a casa e riceve l’incredibile notizia, mio marito non mi dà neanche la soddisfazione della scena del neo papà con la faccia incredula e inebetita: sostiene che sapeva già tutto, il disgraziato, la mia voce al telefono nei giorni precedenti era una dichiarazione di colpevolezza inequivocabile. Che abbia mentito, o che mio marito abbia davvero poteri soprannaturali? Comunque sia, stavolta è davvero felice, lo capisco dai suoi gesti e dalle sue premure, stavolta è pronto per diventare papà, e ciò mi conforta moltissimo.

Martedì mattina vado a ripetere le beta: le ore seguenti le trascorro letteralmente sui carboni ardenti, nulla serve a distrarmi, ogni minuto che passa è un macigno di eternità.
Mi mamma fortunatamente arriva con i risultati anche prima del previsto; mio marito ha  una riunione di lavoro. Appena prendo in mano la busta, avverto una sensazione negativa: stavolta forse, sono diventata un po’ strega anch’io.
LE BETA SONO 8. Una condanna in un numero.
Non ho fatto nemmeno in tempo a provare un po’ di gioia materna, neanche questo stavolta mi è stato concesso.
C’è qualcosa di peggio del dire alle persone che ami che hai perso un bambino: dire contemporaneamente che eri incinta MA hai perso il bambino.
Questo è quello che è successo a neanche mezz’ora dagli otto colpi di pistola che la vita mi aveva sparato; mi sono concessa pochi minuti di pianto, poi è montata subito la rabbia, la smania, l’ansia di fare, di avvisare le amiche non avvisate prima, di sapere, di risolvere i problemi. Il mio dolce marito stavolta non se l’aspettava e ha sofferto davvero, ma lui resta un faro acceso anche nella bufera.
Sapevo quale porta si era aperta davanti a me: c’era scritto sopra POLIABORTIVITA’.

Dietro la porta della poliabortività si apre un lungo corridoio, sul quale si affacciano altre porte. Alcune in particolare sono presidiate da tanti piccoli ginecologi in livrea, che con un sorriso laccato e fintamente partecipe le aprono per te e ti invitano ad accomodarti; sulle porte c’è scritto: ISTEROSCOPIA, TAMPONI VAGINALI, TAMPONI URETRALI, ESAME DEL CARIOTIPO.
Sono le porte che alle principianti vengono sdegnosamente sbattute in faccia, è inutile cercare di far capire che anche solo un aborto è grave, o che noi almeno lo viviamo come tale. Ma per chi entra nel club delle poliabortive l’orchestra apre subito le danze, e il valzer degli esami ti risucchia nel suo vortice.
E così ci risiamo, ma stavolta siamo in due: a pochi giorni dalla notizia io e lui siamo già partiti per il nostro pellegrinaggio da un laboratorio all’altro, da un medico all’altro, da un’attesa all’altra.
Ormai siamo così bravi che sappiamo anche riderci su; ma una cosa spaventa entrambi: la mappatura genetica. Per le infezioni ci sono cure, per gli uteri un po’ storti i rimedi esistono, ma i geni non li curi, non li manipoli, non li cambi.
A inizio aprile effettuiamo l’esame del cariotipo e per almeno 20 giorni sappiamo di dover trattenere il respiro: tanto ci vorrà per il risultato.
Un paio di sere dopo, davanti alla televisione, in una pausa pubblicitaria, lui se ne esce con un discorso che mi inchioda; a qualcuna potrà sembrare assurdo, a me è suonata come una dichiarazione d’amore.
- Amore, lo sai, io vorrei che il figlio venisse fuori da noi; non mi piace l’idea di un altro ovulo, né tanto meno di un altro spermatozoo, e l’adozione è complicata.
Però, in tutta onestà, tra me e te quella che desidera di più il figlio sei tu, quindi, potendo scegliere, preferirei che l’ovulo fosse il tuo e non importa se il seme non è il mio. Tanto poi lo alleviamo comunque noi. –
ODDIO! Con quelle poche parole immense, in un attimo mio marito è cresciuto: MIO MARITO E’ DIVENTATO PADRE.
Io ne sono uscita con il ruolo di gestante e lui con quello di genitore: io concepisco e partorisco, lui alleva ed educa. Ho guardato il mio uomo come fosse un dio e l’ho amato con ancora più forza e tenerezza.

Come se il mio utero avesse imparato a leggere, il giorno successivo alla notizia delle beta colate a picco il mio ciclo è arrivato; come un fiume in piena che trascina con sé il buono e il cattivo, mi ha attraversata e si è portato via tutto. E’ stato un ciclo impetuoso, da adolescente, e quando è finito mi sono sentita stranamente leggera, ripulita, pronta a un nuovo inizio.

Oggi aspetto, aspetto tante cose: gli esiti degli esami, la ripresa del percorso FIVET, l’estate come stagione dell’anima.
Non mi aspetto di restare incinta da qui a giugno, quando spero di poter riprendere la FIVET interrotta, non mi aspetto neanche di non restarci. Io oggi spero, spero tante cose, ma me ne aspetto ben poche.
Però ogni mattina mi sveglio, controllo se fuori c’è il sole … e prendo la mia pastiglia di acido folico. Oggi, e da due anni, è il primo gesto di ogni mia giornata.




9 commenti:

  1. Ho letto la bolla di Fiorenza tutta d'un fiato... e ancora mi tremano le gambe. Quando leggo storie come questa, e come la tua e molte altre purtroppo mi rendo conto che siamo tutte uguali nella partenza, ottimismo, fantasintomi, paura...poi le strade si dividono in fortunate e sfortunate. Questo mi fa rabbia perche' mi sembra impossibile che al giorno d'oggi si parli ancora in questi termini, la medicina dov'e'? Perche' io vivo in uno stato di grazia e porto avanti una gravidanza serena, ringraziando ogni giorno il Signore, e voi dovete capire quelli che non va solo dopo un aborto e poi due, tre, quattro, cinque...e forse non capirlo affatto? E' davvero tutto cosi' insondabile? Mi fa tanta paura uno scenario del genere e pur dalla mia posizione privilegiata mi arrabbio perche' la donna non e' tutelata da questo dolore. Siete donne coraggiose e avete tutta la mia conprensione e il mio affetto. Un abbraccio Anna e Fiorenza e le bolle che seguiranno.

    RispondiElimina
  2. C’è qualcosa di peggio del dire alle persone che ami che hai perso un bambino: dire contemporaneamente che eri incinta MA hai perso il bambino. Ho letto il testo (fra l'altro è scritto meravigliosamente) con la pelle d'oca, poi questa frase mi ha colpita come solo le verità condivise possono fare.
    E' proprio così.

    Ti abbraccio Fiorenza. Forte.

    RispondiElimina
  3. grazie per essere passate di qua e aver letto questa storia.
    La condivisione fa sentire meno soli.
    Aiutatemi a diffondere...

    RispondiElimina
  4. Ho cominciato a leggere e, nonostante le lacrime, non sono riuscita a fermarmi. Mi sento impotente come Silvia...il mio abbraccio forte e sincero è tutto per te Fiorenza, per tutto quello che sei. Anna, sei sempre nei miei pensieri e non finirò mai di ringraziarti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. sono io che ringrazio te per essere qui a braccia aperte.

      Elimina
  5. Ho letto anch'io questa storia tutta d'un fiato......mi ritrovo in gran parte delle cose,sembrava mi stessi raccontando io, con la differenza che io non sono una poliabortiva, io ed il mio compagno portiamo il marchio di " COPPIA AFFETTA DA INFERTILITA' PRIMARIA " . La causa? Nessuna !!
    Ho una ICSI che mi aspetta, tanta voglia di diventare mamma, lieve speranza, niente illusioni e nel frattempo mi sento donna a metà .
    Grazie per aver condiviso la tua storia.
    Anna ti mando un abbraccio grande grande.
    Nanna

    RispondiElimina
    Risposte
    1. nanna, grazie per essere qui e aver condiviso...tvb

      Elimina
  6. Grazie Fiorenza...la tua storia è aperta e spero che un nuovo inizio ti abbracci!

    RispondiElimina
  7. ho letto questa storia più volte.... ma non ho avuto parole nè coraggio per riuscire a scrivere qualcosa... adesso il coraggio l'ho trovato, ma di parole non ne ho ancora... Grazie Fiorenza... Marisa

    RispondiElimina

grazie per essere qui.