venerdì 27 luglio 2012

"Sono normalissimi"

Oggi sono quattro mesi che mio zio non c'è  più.
Se ne è andato quel 26 marzo sul grande raccordo anulare, con mio padre alla guida e lui lì a fianco,  che intanto moriva.
Ogni tanto mi risuonano nella testa certe frasi, un sorriso, una battuta.
Mi voleva bene, ma aveva l'abitudine di selezionare nipoti e nipotastri. Sua figlia, l'unica sua figlia, gli ha regalato, così, senza nemmeno sapere come,  tre bimbetti, i miei angioletti, e così la sua famiglia composta di tre persone per 35 anni, si è ingrandita in pochissimi anni, diventando una famiglia numerosa, ma poco attenta.
In una delle nostre ultime conversazioni al telefono, con un filo di voce, tentava di consolarmi dal mio quarto aborto, così come poteva.
"sai la tipa X sposata con il tipo Y che abitano in via tal dei tali? Bè allora devi sapere che loro hanno fatto i loro figli in provetta. 
Ma io mica lo sapevo eh. Non si vede. Sono normalissimi! mica c'è niente di male!".

Sono normalissimi.

venerdì 20 luglio 2012

...dovrei

...dovrei raccontare che il tempo si è fermato.
che le decisioni sono prese.
che il viaggio è già iniziato.
però ho paura, e così mi godo ancora le poche ore di estate in attesa della pioggia prevista.
Proprio a noi sta succedendo.
Proprio tu, arriverai così tra noi, su questa terra.
La strada era segnata e tu lo sapevi.
Voi lo sapevate.

Arriverete così.
e noi vi accoglieremo a braccia aperte, e un giorno vi racconteremo perchè.

incrocio dita
aspettando di vivere la vostra primavera.
Mi abituo a questa idea
e comincio a tessere la vostra tela.


mercoledì 18 luglio 2012

il coraggio di gridare di voler essere madri


Ieri sera ho aspettato il servizio in onda su canale 5 sulla PMA e in particolare sull'eterologa con molta trepidazione. Finalmente, ho pensato, se ne parla al di là del trafiletto seminascosto o del servizietto del tg in calce agli altri.
Niente di più sbagliato.
Il servizio è iniziato alle 23.30,  in netto ritardo. Di corsa, interviste senza senso, dietrologia spicciola, qualunquismo dilagante.
Per non parlare dell'intervento di Giovanardi che a mio avviso non aveva nemmeno capito di cosa stavano parlando e che non sa nemmeno che significa eterologa. Stava lì incavolato e litigioso con il presentatore solo perchè aveva dovuto aspettare fino a mezzanotte. Non è stata da meno l'esponente del PD che ha nuovamente colto l'occasione per ribadire che lei, donna, ha sposato un' altra donna in Germania.
E 'sti cavoli!

sabato 14 luglio 2012

...certi sabato sera.


non fosse che odio l'estate,
direi che questo sabato mi è piuttosto congeniale.
Invece sovvertirò le attese e le tendenze.
Amo questi momenti in cui la calura finalmente abbandona la terra, l'umidità sale dal mio giardino appena innaffiato, Hope rosicchia un osso sul tappeto, noi beviamo un bicchiere di vino in attesa.

La mia camelia è ferma.
Non ha fatto fiori.
Non poteva farne ora.
E quella camelia sei tu.
Arriverà il momento in cui osserveremo di nuovo quei fiori sbocciare, ed io di nuovo la porterò dentro casa, riparata dal freddo. Perchè quel fiore sei tu, che nasci con il gelo ma riscaldi tutto intorno e sei una meraviglia a guardarti.
Arriverà quel giorno, io lo so.
Intanto ogni giorno innaffio la camelia, in attesa di vedere il fiore, quando farà freddo e tu sarai pronta.
E allora tornerai da me, con le braccia spalancate, il sorriso che sa di estate e quell'accento del sud che mi riscalda il cuore.
Non tornerò in Puglia questa estate. Non potrò.
Ne conserverò il profumo e, la polvere e il sole che riempie le pagine, come il paese che tu ami, in attesa di poter tornare, con il mio bambino e il tuo sorriso e le tue dita sottili che scriveranno pensieri fertili di un autunno dimenticato, di un dolore conservato, di una primavera rinnovata.

Certi sabati d'estate va così.
Con i fiori bagnati e la musica lontana di una serata da vivere,
la mia, ora, la fermo.
Lontana dal dolore.
Con la speranza nel cuore.
Avrò la forza di combattere e la certezza di vincere.
Arriverà questo momento, ed io ferma attenderò il mio Sud.

No. Non lo capisco.

Se c'è una cosa che non riesco a mandare giù è l'incapacità totale delle persone a mettersi nei panni degli altri.

Lo dico da sempre protagonista delle vite altrui. Morbosa presenza dei sentimenti di chi non c'è più e di chi continua ad esserci. Mi vesto dei panni di chi soffre, di chi è felice, di chi vive quella situazione e l'altra e vado avanti, come se quelle vite mi appartenessero.

Ho capito che questo è ciò che negli anni ha rovinato i rapporti con gli altri.
Essendomi sempre messa dall'altra parte, ho sempre dato per scontato che anche gli altri volessero farlo.
Niente di più sbagliato.
Alla maggior parte delle persone non importa un cazzo della tua vita o comunque non ce l'ha questa voglia di capire.
L'ho capito definitivamente mesi fa. Quando mi sono ritrovata sola con uno dei dolori più grandi della mia vita, e per quanto per anni mi fosse stato detto come dovevano funzionare le cose, io realmente la lezione non l'avevo capita.
Oggi si.

Oggi cammino da sola.
E anche questo è un regalo di questo cammino.


giovedì 12 luglio 2012

pensieri confusi

...come certi amici nostri:
sono in tre colleghi con Fabio che hanno fatto lo scorso anno una società. Tutti e tre cercavamo dei bimbi. Una coppia è la coppia poliabortiva di cui spesso ho parlato, mi pare quattro in tutto, ma a settembre partoriranno una femminuccia e quindi, dai, andrà bene. Poi ci siamo noi due, vabbè, sorvolo. Poi c'è quest'altra coppia che invece non concepiva proprio. Insomma, secondo me non si sono rivolti subito alle strutture giuste, sempre nel pubblico, che per carità è ok, ma se non imbocchi la strada giusta rischi di perdere anni per arrivare ad una conclusione magari banale. E così è andata. Fatto sta che trovano finalmente un problema a lui di viscosità del liquido, lui si fa un mese di FLUIMUCIL e lei rimane subito incinta!!! vabbuo, no comment, intendo circa la perdita di tempo di questi anni per una cazzata...insomma, loro non riescono ad essere felici perchè intorno hanno avuto prima la storia dell'altra coppia, poi la nostra che li ha scioccati, e non riescono a stare sereni. Dicono sempre che stanno con i piedi per terra. Che ok, ci sta. Ma tanto piedi per terra o piedi per aria, che credete che il dolore nel caso dovesse succedere qualcosa, sarà meno pesante?

Non è per niente vero che se fai finta di non crederci poi non soffri.

Mi veniva da ridere, poi da sorridere per tenerezza...
ho spiegato con un pò di rabbia, poi con calma, che NORMALMENTE funziona proprio così, che devono stare tranquilli perchè non è vero per niente che succedono cose brutte di solito e che di solito le gravidanze vanno in porto nella maggior parte delle situazioni, che devono essere felici che finalmente dopo anni hanno un positivo in mano, che poi questi momenti non tornano più, che bisogna godersela questa vita, che tanto poi le cose accadono lo stesso, che tu lo voglia o no, con la differenza però che non ti sei goduta quel momento. Io le mie gravidanze me le sono vissute tutte fino alla fine, intensamente, le prime con l'ansia, le ultime due anche con l'amore. E so che almeno in questo non posso avere rimorsi. Ho parlato sempre con loro, ho tenuto la mia mano sulla pancia, ho cantato loro ninne nanne. E qualcuno ci ha provato pure, durante i primi due aborti, ad insinuarmi il dubbio che la colpa però in fondo era pure un pò mia con le mie ansie e le mie paure. Poi con il tempo ho imparato a sfanculare accuratamente questa gente, perchè invece no, io quei momenti me li sono vissuti così bene che solo il bisogno di ritornare a quelle coccole oggi mi dà la forza di voler ricominciare...

Quando mi è successo l'incidente della tuba, ero in pronto soccorso, e pensavo che solo 12 ore prima avevo detto a Tania che io ci credevo tantissimo stavolta, che volevo credere che le cose sarebbero andate bene (poi che dentro sentivo altro è un'altra faccenda, ma quello fa parte del mio essere strega). 
Poi l'infermiera del triage mi ha trattenuto lì un'ora, perchè non credeva che io avessi tutti quei dolori.
Mi diceva che io stavo somatizzando perchè ero una poliabortiva e quindi avevo paura di questa gravidanza e che secondo lei poteva essere una colite.
Io cercavo di non farle vedere le goccioline di sudore che mi scendevano lungo il collo per il dolore e più seria possibile le dicevo che volevo credere in questo ma che davvero, per quanto potessi impegnarmi, il dolore io lo sentivo davvero, non me lo stavo inventando e questo, cmq, non stava facendo bene al mio bambino.

Volevo dirle che io sapevo e avevo imparato a gestire la paura dei miei aborti, che sì, ero preoccupata, ma ancora non credevo che anche stavolta lo avrei perso e che non avevo paura e che non me lo inventavo il dolore.
 Perchè quel dolore non si inventa, si impara a viverlo.


 Poi sono svenuta e dopo mi hanno detto che in quel momento la tuba era scoppiata.

Questo per dire che si impara a convivere con la paura, il dolore, non è che ci trasformiamo in supereroi nel frattempo, però si impara anche a godersi tutto il resto, perchè poi quando succedono le cose, vivi di quei momenti belli e solo quelli ti danno la forza di andare avanti.
Per questo, i ns amici dovrebbero godersi questi momenti e non guardarsi attorno con fare sospettoso, tesi come corde, pronti a saltare ad ogni minimo punto esclamativo...

ma questa certo è la mia storia e non la loro, e bisogna passare per certi buchi stretti per arrivare a queste conclusioni, lo capisco...

mercoledì 11 luglio 2012

io, donna.

no,
non ho urlato.
Non è da me.
Non ho bisogno di urlare.
Il dolore è già uscito da altre parti.
L'ho guardato, contemplato, mi ci sono crogiolata.
Sono semplicemente vittima dei miei ormoni, perchè sono una donna.
E sono forte.
Ho coraggio.
Ho passato tante brutte cose.
Non sono più la mammoletta fragile che tutti pensavano io fossi.
Ho superato il dolore fisico, le preoccupazioni, la paura, oh la paura, quella che ancora rimane di tutta questa storia.
"C'è chi sta peggio", direbbe qualcuno. Ma io non posso sempre guardare chi soffre di più, perchè poi soffro di conseguenza. Devo cercare di preservare chi sono diventata grazie alle gravidanze, la ricerca, la sofferenza. Ho tanto cammino ancora da fare, tanto. Mi aspetta una lunga strada davanti.
Eppure ora mi sembra di camminare in pianura.
Per la prima volta la prospettiva della pma mi rimanda non ad una salita ma ad una lunghissima strada in pianura.
Ce la posso fare. Mi sto allenando. Ce la posso fare.
Il ciclo è arrivato.
In anticipo, ma lo sclero ormonale d'altra parte non poteva che far presagire questo, ormai inutile pure scriverlo quanto mi conosco, quanto conosco il mio corpo.
Ieri ho spostato montagne dalle 7 di mattina alle 23.30 della sera, con una forza che non credevo di avere
. E stanotte il ciclo è arrivato.
Sono una donna, una mamma speciale, me lo merito questo bambino porca miseria. E se fino ad oggi ho sempre detto che non era una questione di merito, oggi dico che non è così. Sono brava, sto facendo un bel cammino, questo bambino mi merita, io mi merito lui.
E vado avanti, con questa forza che non so di avere, vado avanti con la fronte sudata, i muscoli che fanno male, e sorrido,  perchè al mio bambino fanno bene i sorrisi. Lo so.

lunedì 9 luglio 2012

nervosa


stasera ho i nervi a pezzi.
credo stia per arrivare il ciclo.
sento di essere sull'orlo di una crisi.
non sopporto nulla, i rumori, le zanzare, le gambe gonfie.
Sono arrabbiata con il mio corpo e oggi mi fa male tutto, qualsiasi giuntura, anche i capelli mi danno fastidio.
E mi dò fastidio io a stare così.
Non collaboro, non riesco a svolgere bene il lavoro, mi da fastidio anche Hope che a sua volta assorbe il mio nervosismo e abbaia ad ogni mosca che vola: povero piccolo.
Ora dorme sotto le mie ginocchia mentre io da sdraiata cerco di concentrare la piccola quantità di energia positiva che mi è rimasta.
Non sono riuscita a svolgere nemmeno i quotidiani esercizi di step che mi sono imposta di fare, e questo mi fa sentire in colpa, mi fa stare ancora più male.
La verità è che sento quel dolore.
Lo stesso che ho avuto per un mese dopo l'intervento.
Credo sia normale quando il ciclo sta per arrivare, ma questo mi ricorda che, nonostante tutti i miei sforzi per rialzarmi, il tempo che è passato è davvero troppo poco.
Vorrei che questo tempo di guarigione passasse.
Vorrei riascoltarmi e tenere la mia mente libera.
La mia mente proiettata al futuro.
Ecco.
Io non sto vivendo il presente.
Vivo pensando al futuro.
Mi ritrovo passiva a sentirmi scivolare via i giorni, le ore. Non mi ritrovo in questa me privata della sua essenza, della sua femminilità, della sua fertilità. Mi sento mancante di quel pezzo che teneva insieme l'equilibrio di tutto quello che rappresentava per me il significato di essere madre.
Mi guardo nuda allo specchio.
Non amo nemmeno un piccolo pezzo di me in questo momento.
Mi guardo la pancia e vedo quelle cicatrici.
Guardo il mio seno e non capisco perchè ha preso una forma così cadente, senza senso.
Non governo i miei capelli. Li lego e non si tengono. Ho provato a far tornare i ricci naturali, ma non tornano più.
Forse davvero tutto è troppo presto ed io pretendo troppo da me.
Pretendo troppo.
Ora vorrei urlare.
Non ho dignità in questo.
C'è chi vive dolori più grandi, incolmabili e senza fine. Io non sono un esempio in questo. Urlo e sbraito.
So fare solo questo.

Quando il ciclo arriverà, tornerò dal mio dottore.
Una settimana fa ci siamo sentiti telefonicamente, mi aspetta per parlare.

E' arrivato il momento. 
Tra poco varcheremo quella soglia e quando, alla fine, usciremo, avremo deciso per il tuo futuro, figlio.

Aspetto questo ciclo liberatorio.

giovedì 5 luglio 2012

in mare

Gli ultimi eventi mi stanno facendo riflettere su quello che ho vissuto e sto vivendo in questi ultimi due mesi.
L'addio di Luca e l'immedesimazione in Giulia, mi hanno riportato indietro a quei giorni drammatici.
Ho ricordato il pianto del mio compagno, quando sono entrata di corsa in sala operatoria, e ho ricordato il dolore provato nei giorni successivi, non per me, ma per lui e per quello che aveva vissuto nella paura di perdermi. Ho ricordato la paura che ho provato e quella frase: "non fatemi morire", sussurrata tra i denti, senza fiato, prima dell'anestesia.
Ho pensato a quello che deve aver provato Luca e se si è accorto che la sua lotta era finita.

Il dolore va vissuto.
L'ho imparato a mie spese.
Non può essere rimandato.
E se questo ti immerge, è così che deve andare in quel momento.

Ho avuto una reazione molto personale al dolore.
Mi sono chiusa all'interno di me stessa e ho assecondato tutto quello che passava per il mio corpo e il mio cuore. Ho chiuso fuori il mondo, e per questo ora so, temo, di aver perso pezzi e persone. Ma questo è stato il mio modo per sopravvivere. I primi quindici giorni stordimento, concentrazione sul dolore fisico,  desiderio di dire, dirsi, di essere ancora in vita, ma senza crederci poi davvero.

Poi il buio.
Poi il vero dolore.
E tutto il mondo fuori.

La vita prende forme che non ti aspetti. Poi ritorna normale. E tu puoi scegliere di essere protagonista di tutto questo, oppure no, e lasciarti trasportare e sbattere contro gli scogli durante una tempesta,
oppure stringerti saldamente al relitto e cercare di non annegare, nuotare, consapevole che le onde possono sì inghiottirti, ma anche accompagnare fino alla riva, dove ti puoi salvare.

Questo vuol dire per me vivere in un mare di dolore.
Ora sono quasi a riva e sono salva. Ho i muscoli a pezzi per lo sforzo, ma sono salva e ho bisogno di ricominciare.

mercoledì 4 luglio 2012

Luca


Luca di Cercandocasa non c'è più.
Va via un grande ragazzo,
un padre amorevole del suo cucciolo Pietro,
un compagno presente e pieno d'amore per la sua Giulia,
un grande architetto, che io ammiravo e seguivo con attenzione sin dai primi vagiti del suo più bel progetto insieme a Giulia: la creazione di  una casa ideale per loro e per il futuro di Pietro.

Luca se ne è andato soffrendo, combattendo fino all'ultimo istante, vinto da una leucemia fulminante che da ottobre lo aveva costretto a forti chemioterapie, poi al trapianto, poi alla grande Speranza di tutti noi, e poi alla sconfitta.
Potrei dire mille cose ora
Potrei dire che ora ci guarda e ci protegge, ma in questo momento della mia vita non mi è consolante affatto.
Continuo a pensare a Giulia, a come potrà sopportare tutto questo.
Continuo a pensare che Pietro vive in lui e che la vita almeno questo glielo ha concesso.
Continuo a pensare che succedesse a noi di dividerci, non avremmo il lascito del nostro sangue qui su questa terra, e avremmo sì, l'amore, ma non potremmo consolarci guardandoci negli occhi di nostro figlio.
E questo non vuol dire niente, non si è più o meno fortunati, perchè ciò che è successo a Giulia e Luca non può  essere paragonato a niente.
Però io ho paura, e trovo tutto questo tanto triste, e non posso non pensare che se succedesse qualcosa a me, il mio più grande dolore sarebbe quello di non essere ancora riuscita a far vivere i nostri figli, consolazione del nostro amore, consolazione per il mio compagno.

ciao Luca,
grazie per quello che hai lasciato qui.




La morte non è niente. 
Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. 
Io sono sempre io e tu sei sempre tu. 
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. 
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. 
Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste. 
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme. 
Prega, sorridi, pensami! 
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza. 
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza. 
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? 
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo. 
Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. 
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.

La morte non è niente di Henry Scott Holland

domenica 1 luglio 2012

dopo la paura




29.06.12  ore 20.43 

Si dice che bisogna sorridere sempre per  migliorare la qualità della vita.

Io ora sono sotto questo campanile, è il tramonto:
 Hope gioca con un peluche, Fabio lavora, io mi fermo con me stessa e lascio intiepidire i pensieri.  
Il cielo è pulito, qui non fa caldo come a casa. L’aria è asciutta. E’ l’unico posto in cui sopporto il sole e il caldo. Le case qui hanno i muri spessi, contengono storie di vita, di uomini e donne, di nascite e morti. Ora sono case vuote, che restituiscono fresco d’estate e tepore in inverno. Sono case fatte per essere sole, pensate per  conservare i ricordi, per  riportare nel tempo, come l’eco per la voce.
Ho sognato la casa paterna che è in questo paese, la notte prima dell’incidente della gravidanza tubarica. 
Ho sognato la precarietà della casa, essendo una casa abbandonata dal 1997 a causa del terremoto Umbria-Marche.  Ho sognato con dettagli perfetti di ricordi infantili, le stanze e gli oggetti in esse contenute. Ho sognato la paura di quella notte, con la mano sulla pancia, mentre tenevo stretto il mio bambino e il mio istinto e una piccola macchiolina di sangue sugli slip mi dicevano, che no, c’era qualcosa che non andava anche stavolta. E la paura che sognavo era la paura di cadere, la paura che i solai lesionati dal terremoto cedessero al mio passaggio. Eppure, ho sognato di avere l’obbligo di dormire lì. L’obbligo di andare avanti comunque, nonostante la paura di cadere, di farmi male. Era il mio dovere di mamma, di protezione per il mio bambino che ho tenuto stretto a me fino a quando due giorni dopo,  l’anestesia, i dottori, il sangue ci hanno separati.



Oggi pomeriggio, dopo quindici anni, sono entrata in quella casa.
Ho avuto paura di cadere e di farmi male.
Ma ho vinto la paura. Ho percorso prima il corridoio con le due stanze da letto e poi sono arrivata nel soggiorno dove il tetto ormai è aperto e il disastro è venuto giù. Sono tornata indietro, sono uscita, ho respirato. La polvere si stava impossessando di me.
Poi sono rientrata. Volevo farlo. Dovevo vincere la paura del sogno, di quella precarietà che fino ad oggi ha dominato la mia esistenza e le mie gravidanze, e i miei figli.
Tremavo, avevo paura di attraversare quella stanza, pensavo che da un momento all’altro mi sarebbe caduto in testa una trave. Sono passata.  Ce l’ho fatta.
E ho ritrovato me stessa bambina. Piccoli oggetti accumulati negli angoli della casa non danneggiata. Ho raggiunto la parte nuova della casa, quella forte, che non ha subito danni, che è provata si, ma non lesionata.  Non è ferita. Sono passata di là. Ero nella parte forte dove ho vinto me stessa. Ho lasciato dietro di me la polvere e la paura. Ero dall’altra parte e non avevo paura.
Non avrò paura.
Lo so cosa devo fare ora.
Questa non è una resa.
E’ la Anna forte che trascina. Ora so cosa devo fare per proteggere i miei bambini.

Ora sono stanca, provata, mi sembra di aver scalato una montagna. Ma mi sento tranquilla.
Ho riportato indietro con me qualche oggetto, a ricordarmi chi sono, e i miei fantasmi vinti. Qualche tazzina da caffe in vetro, ricordo di mia nonna, e una chiave. 

La chiave che mi porterà ad aprire le porte a mio figlio.