Avevo bisogno di un pò di tempo per raccogliere le storie, ma ora ho bisogno di tenerle qui, così come mi arrivano e così come le sento.
La storia di Fiorenza è simile alla mia.
Ti scopri una poliabortiva quando ormai è troppo tardi.
E allora cerchi risposte, ti metti a disposizione della medicina, della ricerca.
Intanto il tempo passa e tu accogli questo passaggio come inevitabile. Abbracci questa strada e la accogli per rendere consapevole la tua maternità.
Questo fa Fiorenza.
Combatte e accoglie la realtà.
Analizzando la sua vita, il suo desiderio, il suo bisogno di diventare madre.
La sua storia mi è arrivata un giorno in cui io ero piena di speranza, alla terza seduta di agopuntura, mentre a pancia in giù mi facevo riempire di aghi e speranza, leggevo la sua storia e piangevo, non sapendo di essere già incinta. Florenza mi chiede scusa per la lunghezza del racconto, io rimango invece senza parole, per tanta condivisione, per tanta similititudine con la mia storia, per il tanto amore.
Grazie per aver raccolto il mio appello e per aver condiviso con tanto coraggio.
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La bolla di Fiorenza
Mi
chiamo Fiorenza, sono un’insegnante precaria, tra poco compirò 35 anni. E cerco
un bimbo da quando ne ho 32.
Io
e mio marito stiamo insieme da 11 anni, onestamente io non sentivo il bisogno
di sposarmi per suggellare il nostro amore, per me si celebra nei gesti di ogni
giorno ma, seguendo quello che fu il pensiero di mia madre, ho pensato che il
matrimonio fosse la giusta tutela per i miei figli. Oggi penso che forse avrei
fatto meglio a non sposarmi, visto che tutte le amiche che vedo figliare non sono
affatto sposate…
Il
mio istinto materno è sempre stato parte di me, più o meno nascosto, o
riversato in altri ambiti: la cura degli amici, lo spirito da crocerossina con
i miei primi amori, a volte anche il rapporto con gli studenti.
Lo
spirito di paternità di mio marito deve ancora venire fuori, ma nel tempo abbiamo
entrambi capito che per lui sarà diverso: sarà padre solo quando terrà la sua
creatura tra le braccia.
La
nostra ricerca di un figlio inizia poco dopo il nostro matrimonio; mi ricordo
ancora la prima volta in cui non abbiamo preso precauzioni: mi batteva il cuore
come se fossi una verginella al primo incontro, mi sono sentita mancare al
pensiero che di lì a nove mesi avrei potuto vedermi accudire un cuccioletto…
beata ingenuità che mi faceva vedere tutto facile e a portata di mano! Per anni
il mio ginecologo mi aveva detto che sarei rimasta incinta con lo sguardo, per
anni mi sono imbottita di pillola, magari abbinandola pure al preservativo,
tanta era la paura che arrivasse un figlio troppo presto…col senno di poi mi
sarei risparmiata tanti ormoni.
Come
spesso accade, il primo mese non succede nulla: nessun problema, è normale,
solo mia madre è rimasta incinta al primo tentativo!
Il
secondo mese si ripete il copione del primo: all’epoca conoscevo solo
superficialmente l’andamento del mio ciclo, regolare, per carità, per cui
calcolavo il periodo fertile a spanne, senza tb, senza osservazione scientifica
del muco, senza nulla.
Dal
terzo mese però, decido di affidarmi all’infernale “test persona”, usato al
contrario ovviamente. Nel frattempo mio marito, che, da paladino della
sincerità, non aveva mai nascosto di assecondarmi per farmi un favore e non per
desiderio impellente di paternità, nonostante questo comincia a preoccuparsi:
lui pensava anche più di me che fare un figlio fosse la cosa più facile del
mondo! Il suo orgoglio maschile inizia a vacillare: e se sparassi a salve? e se
avessi qualche malattia? si chiede il mio uomo, noto anche per la sua
impazienza nell’ottenere le cose.
Per
quanto riluttante, su mio consiglio va buono buono a fare uno spermiogramma,
che impietosamente riporta la diagnosi “oligoastenozoospermia”.
I
valori sono tutti bassini, non tragicamente bassi, ma un po’ sotto la media;
perciò il suo medico lo rassicura, informandolo che si trova in buona compagnia
con altri milioni di persone, e gli prescrive un generico ricostituente e
alcuni esami più specifici.
Io
inizio a mettermi il cuore in pace e indosso subito la mia divisa virtuale da
infermiera: gli compro i farmaci, gli prenoto le visite, avviso le persone a
noi vicine, che sapevano della nostra ricerca, che avremmo subito una battuta
d’arresto e mi sento salda e forte. Perché io non ho niente, io sono quella che
resta incinta con lo sguardo, quello un po’ acciaccato è lui e io sarò la
superdonna che gli saprà stare vicino con pazienza e discrezione.
All’inizio
del nuovo anno la mia consueta visita ginecologica: tutto a posto, il mio nuovo
ginecologo mi fa notare che ho un follicolone sull’orlo dell’esplosione, se mi
interessa, che agisca il prima possibile!
Torno
a casa trionfante e inchiodo il povero marito al muro. Qui devo aprire una
doverosa parentesi sulla nostra vita sessuale.
Mio
marito è un uomo dalle mie qualità, ma sessualmente è un bradipo: ti guarda con
l’occhio liquido e ti dice candidamente che ti adora, che alla tua vista si
eccita, ma che fare l’amore è troppo faticoso! L’inizio degli incontri a fini
procreativi (lui li chiama con questa espressione asettica), ha portato ulteriori
disagi: voglia o non voglia il tal giorno si deve trombare (scusa la grettezza,
ma è così), e la mia intraprendenza si era dovuta trasformare in vero e proprio
assalto al fortino, che non sempre riuscivo ad espugnare.
Insomma,
quel giorno il mio assedio è tragico e disperato: il marito all’epoca era
stanco, stressato, sfiduciato per via dei recenti esami, l’ultima cosa che
voleva era stare con me. Ma io sono un
mulo ostinato e lui alla fine capitola; risultato: la peggiore trombata della
storia.
E’
un sabato, quella sera esco con le amiche di sempre, mi prendo una discreta
sbronza e passo il tempo a lamentarmi delle scarse prestazioni del mio uomo e
del fatto che di questo passo non riuscirò mai a procreare.
Due
settimane dopo scopro di essere incinta.
Sono
incinta del peggior rapporto della mia vita, non è un grande inizio, ma sono
incredula e felice: nonostante ogni previsione, nonostante quello spermiogramma
poco incoraggiante, nonostante quell’unico desolante rapporto di quel mese, io
sono incinta a soli quattro mesi dal primo tentativo. Sono incinta, sono
felice, e sono tragicamente spensierata e fiduciosa.
Tutto
inizia il mio primo giorno di ritardo; io non ci stavo neanche pensando ma lui,
che ha un sesto senso inquietante, mi chiede di fare un test. Io mi sono sempre
immaginata chiusa da sola nel mio piccolo bagnetto della mia minuscola casa, ad
appannare lo specchio sopra il lavandino con l’ansia di quei due minuti di
attesa; e invece il prode marito mi ronzava intorno come un moscone, ha voluto
vedere per primo lui il risultato, per poi passarmi quell’oracolo indecifrabile
che aveva una linea sbiadita da morire, ma era pur sempre positivo.
Fino
a quel giorno non avevo avuto mezzo sintomo: solo una sera, mentre lavavo i
piatti, un capogiro da dire “Oddio” e poi basta, non un dolore, non un mal di
testa, non un seno gonfio.
Appena
la settimana prima c’erano state le vacanze di Carnevale e noi ne avevamo
approfittato per andare due giorni a Firenze: lì ho mangiato la migliore
fiorentina al sangue della mia vita…FIORENTINA? AL SANGUE? La mia prima
gravidanza, nell’arco di quel ricordo affiorato subito dopo il test, mi ha
presentato la sua prima angoscia: la toxoplasmosi! Ho iniziato a piangere
disperata, mio marito non capiva, io già mi vedevo un figlio malato e io
additata come madre degenere, una strage.
Sono
uscita di casa col mio test nella borsa, ancora una volta era sabato sera e
ancora una volta stavo per uscire con le amiche di sempre: volevo far valutare
anche a loro quella linea sbiadita, sfogare tutte le mie ansie…
All’improvviso,
un’apparizione prodigiosa sul mio cammino: il mio ginecologo passeggia
noncurante per strada! Gli corro incontro brandendo il test: -Ma secondo lei è
positivo? Ma secondo lei verrò punita dal demone della toxo? E ora che faccio?-.
Lui scoppia a ridere, mi dice che sì, sembra positivo, mi dice che no, è molto
improbabile che abbia contratto la toxo per una bistecca, mi dice di stare calma,
di iniziare a prendere l’acido folico e di chiamarlo il lunedì per prenotare la
prima ecografia: e tanti complimenti e auguri!
Io
inizio ad adorare il mio ginecologo: LUI lo predisse, LUI trovò il follicolo
pronto, LUI aveva cancellato le mie ansie con due parole.
Il
lunedì faccio le beta di conferma: sono davvero incinta, di 4-5 settimane come
previsto. Ora può iniziare il giro degli annunci.
Mia
mamma è la prima, da donna serafica prende la notizia come l’annuncio di un
nuovo taglio di capelli (ma lo so che dentro freme e si commuove, la sua unica
figlia sta per renderla nonna!); mio padre lo sa qualche giorno dopo; i miei
suoceri lo vengono a sapere ancora dopo, perché abbiamo dei rapporti a dir poco
superficiali, cordiali ma ridotti al minimo. In compenso le mie amiche vengono
informate dalla prima all’ultima, ci manca solo che metta i cartelli fuori
casa, sono felice e voglio condividerlo col mondo; non mi trattengo nemmeno al
lavoro e finisco per dirlo a colleghi e studenti, questi ultimi col preciso
scopo di indurli a non farmi arrabbiare come al solito, per il bene della
creatura.
Qualcuna
delle amiche più navigate cerca con tatto di farmi notare che un po’ di
discrezione in più mi farebbe bene, ma io sono spensierata e incrollabilmente
fiduciosa: andrà come andrà, dico a tutti, intanto io mi sento un fiore, non ho
le nausee, non ho dolori, sono carica e vitale come non mai.
I
giorni passano, si avvicina l’ecografia dell’ottava settimana.
Io
sto attenta, mi muovo con circospezione, quando cammino mi tengo una pancia che
vedo solo io, controllo quello che mangio, smetto subito di bere e fumare (vizi
che in passato avevo coltivato in modo blando e che comunque avevo già ridotto
quasi a zero), mi compro questo fantastico libro sulla gravidanza e un quadernino
tempestato di quadrifogli e coccinelle, che voglio usare come diario per ogni
settimana. Inizio a compilarlo in ogni dettaglio: il mio peso, le mie misure, i
miei stati d’animo, i primi sintomi che avverto.
Ecco,
i primi fottuti sintomi: sento dei dolorini, sarà l’utero che inizia ad
allargarsi, mi dico; vedo a volte qualche piccola perdita, sarà l’impianto e
l’assestamento, mi ridico in tutta la mia cieca ignoranza…ma all’epoca ero la
prima del gruppo che faceva un figlio, aprivo una pista non battuta dalle altre
e non c’erano consiglieri sulla mia strada, né io per la verità li cercavo.
A
inizio marzo vado a teatro con mia madre: il pomeriggio ero andata a fare la
spesa e incautamente avevo trasportato due sacchetti più pesanti del previsto.
La sera, appena scesa dall’auto, di fronte al teatro, sento una fitta
fortissima alla pancia: mi toglie il respiro e io per la prima volta mi
preoccupo davvero. Corro in bagno a controllare ma c’è solo una gocciolina di
sangue, mi tranquillizzo e penso che è tutto normale. Mi siedo, lo spettacolo
inizia… e io mi addormento. La stanchezza delle gestanti, penso io…è stato
l’ultimo pensiero ingenuo che ho avuto sulla gravidanza.
Arriva
il giorno della mia prima ecografia. Mio marito non mi accompagna, non se la sente,
o forse non gli interessa; fino a quel momento è stato una presenza silenziosa
e un po’ disorientata al mio fianco, spettatore delle mie gioie senza riuscire
a capirle e a provarle a sua volta. Io non insisto perché lui venga: è un primo
controllo di routine, si vede poco o nulla e poi con me c’è mia mamma.
Iniziamo
con due chiacchiere col medico: sintomi? Eh, qualche doloretto, qualche perdita
(primo sopracciglio inarcato del gine)… acido folico? Oddio, ho dimenticato di
prendere l’acido folico! (prima lavata di capo del gine)… bene, taglia corto,
andiamo a vedere come va.
Sdraiata
sul lettino, ricordo ancora il mio sorriso ebete mentre cercavo sul monitor il
mio fagiolo; ho iniziato a preoccuparmi quando il suo silenzio è diventato
troppo lungo e la sua ricerca con la sonda troppo assidua.
Poi
ha iniziato con le domande vaghe: -Quando pensi che sia stato il concepimento?-
-Il
6 febbraio, impossibile sbagliare, ma dottore…c’è qualche problema?-
-Ecco,
vedi qui? C’è un inizio di camera gestazionale, ma poi non si è più sviluppata;
poi qui vicino c’è l’altra…-
-Ma
come? Due, dottore? O mio dio, che peccato però che ora sia solo uno, ma forse
è meglio, come avrei fatto a gestirne due? Ma mi dica, come sta l’altro?-
-Sembra
un po’indietro, sembra a sei settimane, secondo me il concepimento è avvenuto
dopo…-
-Ma
le dico di no! L’ho fatto una sola volta quel mese, e non si ricorda poi che
l’ovulazione me l’ha verificata lei?! -
Il
mio cuore inizia a battere così forte che pulsa anche l’immagine sul monitor.
-Proviamo
a sentire il battito…- e già nella sua voce non c’è nulla di vitale.
E’
stato il silenzio più profondo che abbia mai sentito. Ho sentito solo le
lacrime scorrermi sulle guance.
-Mi
dispiace, non c’è battito… se dici che sei sicura di essere all’ottava
settimana…-
Ho
iniziato a singhiozzare, pensavo che avrebbe tolto la sonda perché mi stavo
facendo male a furia di sussultare, ma lui ha solo saputo dire, in coro con mia
madre:
- Ma
non devi prenderla così, è solo la prima volta. Succede a moltissime donne…-
Vaffanculo
alle altre donne, ho pensato, qui ora ci sono io!
E
vaffanculo, senza un seguito, è quello che poi gli ho detto.
-
C’è qualcos’altro che non va…fammi controllare…-
Perché?
Può esserci qualcos’altro?! Non è già finito così il mondo?! Non si è già
interrotta qui la mia vita, oltre che quella del mio bambino?!
Ma
io qui non l’ho più sentito, ho solo pianto e gli ho buttato addosso tutti i
miei dubbi: è colpa mia? sono stati i sacchetti della spesa? è stato l’acido
folico che ho dimenticato di prendere? sono state l’auto e le infami strade
rodigine piene di buche? è stata quella maledetta bistecca al sangue? o è stata
quella stupida sbronza che ho preso proprio il giorno in cui ho concepito il
mio fagiolo? (ma quest’ultima cosa non gliel’ho mai chiesta).
Poco
dopo, seduti nel suo studio, io tremante, mia madre spaventosamente muta e
affranta, lui hai iniziato a salmodiare:
-Non
è colpa tua, non hai fatto nulla di sbagliato, non potevi fare nulla di più…a
volte la natura decide al posto nostro, il fisico comprende che quello che sta
nascendo non può sopravvivere e lo interrompe…-
Ora
so che questa scena è stata vissuta mille volte, da mille donne, in mille
identici studi di mille ginecologi con la stessa faccia appesa del mio.
-Nel
tuo caso, poi, forse è successa una cosa davvero rara, si chiama mola
vescicolare, è una degenerazione dei tessuti dell’embrione: non sono sicuro,
dall’ecografia si vede pochissimo, aspettiamo qualche giorno, ti rivedo, magari
succede qualcosa e vediamo il battito… altrimenti purtroppo bisognerà operare,
facciamo un raschiamento, analizziamo il materiale e se serve facciamo un po’
di terapia, una piccola chemio preventiva…-
Ecco,
questa scena credo sia stata vissuta da un numero inferiore di donne. Dunque,
nell’ordine: negli ultimi venti minuti io ho perso un figlio, anzi due, e ho preso
un potenziale tumore…ma qualcuno mi dice che cacchio vuol dire “chemio
preventiva”?
Non
sono un medico ma non sono deficiente: una chemioterapia non è mai preventiva,
è sempre e solo curativa! Lui qui si incarta, si impappina, e alla fine taglia
corto e mi fissa l’appuntamento di lì a pochi giorni. Al mio fianco è seduto il
fantoccio di mia madre: lei è scomparsa dopo le parole “mola”, “raschiamento”, “chemio”
ed è già andata a preparare il mio funerale.
Io,
uscendo dallo studio, MI SENTO ABITATA DAL VUOTO e torno a casa senza dire una
parola.
Dietro
la porta di casa c’è un marito gongolante che mi aspetta, un metro e ottanta di
uomo sorridente che pensa di sentirsi raccontare di un fagiolo che forse ha
appena iniziato a percepire nella sua vita…ma il suo sorriso si spezza in un
secondo.
Io
sono caduta a terra appena messo piede in casa, ho iniziato a singhiozzare, NON
C’E’ PIU’, NON C’E’ PIU’, dicevo, e tra un singhiozzo e l’altro ho iniziato a
spiegare e lui a non capire, a chiedermi di più, per come, per cosa e perché, e
a stringermi e a non sapere cosa fare e
a chiedere sempre: -Ma tu?! Ma tu stai bene? Ma tu muori? Ma io come faccio
senza di te?-
Ma
a me che me ne frega se muoio, sono già morta, sono qui che ti spiego che per
me il peggio è questo, la fine è questa, punto.
I
giorni successivi sono un respiro trattenuto all’infinito: non ho mai creduto
alla seconda occasione che mi ha dato il ginecologo, ho solo atteso
l’inevitabile corso degli eventi. Non ho voluto stare a casa dal lavoro,
pensavo che a scuola non avrei pensato, ma nelle ore buche mi sono chiusa in
bagno a piangere.
Poi
è arrivata la seconda ecografia: - Con
questo foglio ti presenti domattina alle sette in reparto, a sera
dovresti essere a casa, chiamerò il primario per essere aggiornato – mi dice il
“gine-dalla-faccia-appesa”.
Io
non sono mai stata ricoverata in vita mia, né tanto meno operata, e mai al
mondo avrei pensato di andare a subire un raschiamento, pardon, “revisione uterina”, perché così sembra meno crudo…a me fa
sentire un’automobile dal meccanico…
L’ospedale
è grigio e freddo come da previsione, mia madre tenacemente ottimista e
consolatoria come da copione e io calma, imprevedibilmente calma. Non sono
rassegnata, non sono disperata, non sono incazzata, sono solo calma, assisto a
questa rappresentazione, mi vedo subire molto e agire poco, resto in attesa.
Neanche
stavolta ho voluto che lui mi accompagnasse, ho voluto proteggerlo, e poi
sapevo che non mi avrebbe aiutato la sua presenza in ospedale. Lui è venuto a
prendermi la sera, mi ha cucinato una montagna di spaghetti, mi ha messo a
letto e mi ha abbracciato fino al sonno…e questo è l’amore per cui lo
ringrazio.
Dal
giorno dopo inizio a pensare che devo ricucire i pezzi di me e ripartire, un
po’ d’ingenuità mi è rimasta e non considero che la sfiga è sempre dietro
l’angolo: la nuova ecografia del mio gine dice che è rimasto del materiale,
bisogna fare un’altra “revisione”.
E
qui mi incazzo: che l’ospedale della zona in cui abito non fosse famoso per
capacità si sapeva, ma non fino a questo punto!
A
una settimana esatta dal primo intervento torno sotto i ferri, e devo pure
insistere per tornarci!
Stavolta
sono preparata, non più spettatrice ma protagonista, stavolta controllo tutto e
tutti, non mi perdo una parola o un movimento…percorro a pancia in su il
corridoio verso la sala operatoria, vedo arrivare il medico che mi ha operato
la prima volta, poi ne vedo un altro:
-Scusi
infermiera, chi mi opera? Vi informo che io QUELLO non lo voglio, grazie a lui
sono qui per la seconda volta, che non si azzardi a toccarmi!-
-Stai
calma – l’infermiera mi dà del tu perché avevamo già fatto amicizia – non ti
opera lui (sento dalla sua voce che lei lo disprezza quanto me) ma l’altro,
adesso però stai buona e aspettiamo.-
Eccoli,
i puffi in camice arrivano, io sono già un po’intontita dalla pre-anestesia ma
non mi perdo un passaggio, tiro su la testa e seguo le loro elucubrazioni
davanti alla mia vagina, come se
stessero ispezionando un furgone carico di merce:
-Beh,
poca roba ma interveniamo e liberiamo tutto. – fa il medico nuovo,
-Mah,
dai, non c’è mica tanto, non vale la pena operare! – fa il cretino della volta
precedente.
Io
mi alzo sui gomiti e apostrofo il puffo che mi pare meno stupido: - Senta, lei
adesso prende quel cucchiaio e toglie tutto quello che c’è da togliere, ho già
mezza anestesia in corpo, non può mica lasciarmi così, anche perché io da qui
non mi muovo finché lei non mi scucchiaia!-
Gelo
in sala. Il puffo intelligente si azzarda solo a dire: -Procedete con
l’anestesia.- Sipario.
La
scena successiva è un loop che dura
settimane. Gita in reparto ogni venerdì, prelievo del sangue, le beta che
scendono, poco ma scendono, no, l’esito della biopsia non è ancora pronto,
glielo diciamo noi signora.
Io
intanto rivedo partire il mio ciclo, i miei chili volano via dalla bilancia (e
avrei dovuto sapere che questo era l’inizio dell’esaurimento) ma io sono
determinata e combattiva: devo stare bene il prima possibile. Devo stare bene
per riprovarci, devo stare bene per fare un figlio. Di me non me ne frega
nulla.
Ma
il figlio non si può fare subito, bisogna aspettare: si devono azzerare le beta,
poi ci sono i controlli da fare e c’è il “periodo finestra”. Cacchio, quante
espressioni strane, questa di solito si usa per la sieropositività; ma anch’io
ho il mio periodo finestra di sei mesi, da quando si azzerano le beta devo
aspettare sei mesi prima di riprovare a concepire, perché l’infame mola può
tornare a bussare alla tua porta. Per me è solo tempo perso, un intralcio nel
mio percorso, ancora più seccante perché mi toglie la possibilità di
amoreggiare in estate, che per noi insegnanti precari significa disoccupazione
ma anche vacanza, tempo libero e relax per fare ogni cosa a modo.
Ma
le sorprese non sono finite: un venerdì mattina vado in ospedale per il solito prelievo, il solito
ritiro delle beta precedenti…e qui si interrompe la catena.
-Fiorenza,
le tue beta purtroppo stavolta non sono scese (ormai sono amica di tutte le
infermiere che, carine come non mai, tifano per me) devi andare a colloquio col
primario.-
Urca,
entrano in campo i pezzi grossi, il gioco si fa duro! Il primario è un ottimo
medico, ma ha l’aspetto di un satiro incazzoso e in effetti è famoso per la sua
sbrigatività e ruvidezza. Che si appresta a sfoggiarmi di lì a poco:
-Bene,
cara signora, le beta non scendono, vediamo gli esiti del prossimo prelievo,
poi la prossima settimana iniziamo con il protocollo di methotrexate, si tratta
di una sorta di chemio preventiva…-
Alt!
Vi siete messi d’accordo per pigliarmi per il culo?
Obietto
la natura ossimorica dell’affermazione e il rude ma onesto medico, quasi
divertito per essere stato scoperto, afferma che sì, non c’è nulla di
preventivo, una chemio è una chemio, per quanto questa non sia così pesante da
farmi perdere i capelli e compagnia bella.
Nessuna
disperazione si fa strada in me, il rude medico ne pare soddisfatto e mi dice
bello schietto che gli sono simpatica…che culo!
-Ricapitolando,
se venerdì prossimo le sue beta sono, diciamo, a 8, evitiamo la terapia,
altrimenti iniziamo subito-.
Bene
bastardo, mi dico io, ora te le faccio scendere queste beta! Come se dipendesse
da me.
Con
mia madre, costantemente aggiornata sull’andamento della cosa, minimizzo, cuore
di figlia che vuole evitare tragedie; col prode marito, non so perché, esagero,
forse nel tentativo di fargli capire che mi accingo a una grande impresa. Col
tatto di un elefante gli telefono mentre sta andando al lavoro e gli dico: -
Amore, forse ho un tumore, lo so tra una settimana-. Lui rischia l’infarto e me
lo rinfaccia ancora oggi.
Qui
purtroppo devo aprire un’altra parentesi: Fiorenza e la fede.
Mi
sono sempre molto interrogata sul mio rapporto con la religione e ormai ne ho
concluso che credo in Dio e nella spiritualità in genere, ma purtroppo non
credo affatto in quella che chiamo “burocrazia ecclesiastica”, anzi ne sono
molto infastidita; non credo nei preti, nei riti e nei praticanti distratti e
retrogradi. Per me la fede è slancio, gioia, passione, riflessione e dubbi che
l’uomo pone a Dio in un dialogo diretto, senza giudizi moralistici e
ingombranti mediazioni; insomma, forse sarei una buona protestante, ma sono una pessima cattolica.
Nonostante
questo mi sono sposata in chiesa, per scelta, nella speranza di fare come la
pecorella smarrita che ritorna fiduciosa all’ovile…ne ho concluso che la
pecorella è felicissima di essersi smarrita, quel mondo ipocrita non mi avrà
mai.
Da
tutto ciò ne consegue che credo poco anche ai vari simboli del rito cattolico,
ma nel caso della mia battaglia contro le beta ho finito per rivedere alcune
posizioni.
Vicino
a casa mia ci sono dei giardini pubblici, dove gli abitanti della zona hanno
improvvisato un capitello mariano, che oggi è quasi un piccolo santuario. Nelle
mie passeggiate pomeridiane ci passavo spesso davanti, dedicando alla statua
della Madonna un saluto incerto, un segno della croce imbarazzato e qualche biascicata
preghiera per la mia sventurata maternità.
Il
giorno fatidico del colloquio col primario però ho sentito il bisogno di
fermarmi e fare un discorso serio con Maria: le ho raccontato un po’ la mia
storia e le ho chiesto di far scendere queste maledette beta, forse tutto il
dolore che avevo vissuto me l’ero meritato come punizione per qualche mia
malefatta, ma ormai era ora di darmi una seconda possibilità. In cambio del suo
aiuto le ho promesso di portarle cinque rose bianche in segno di gratitudine e
devozione: 5 è il numero sotto il quale le beta sono azzerate, a qualche
simbolo ci credo anch’io.
Arriva
il venerdì successivo, vado in ospedale, il rude primario mi accoglie sornione
e mi dice rapido che le mie beta sono esattamente a 8: methotrexate scampato
per un pelo. La settimana dopo le beta sono inferiori a 5. E la biopsia è
negativa, con un laconico “parziale mola vescicolare”.
Quel
pomeriggio 5 splendide rose bianche facevano bella mostra di sé ai piedi della
Madonna.
I
mesi successivi sono tranquilli, mi tengo monitorata, visto che ho tempo faccio
i dosaggi ormonali, la prolattina e qualche altro esame che poi ho scoperto non
essere abbastanza specifico.
Inizio,
un po’ per ansia un po’ per noia, quello che chiamo il mio “vagabondaggio
mediatico”: alcune ricerche in internet alla voce “mola vescicolare”, “aborto”,
“methotrexate” mi fanno scoprire l’immenso stuolo di mamme, o aspiranti tali,
inghiottite dalla rete. Forum, blog, siti dedicati, pagine private di medici, è
tutto un proliferare di pareri, consigli, esperienze personali, dubbi, ansie,
sfoghi, storie tragiche, storie felici e bufale indicibili. Le mamme nella rete
hanno una lingua tutta loro, parlano delle “malefiche rosse”, si dicono “non le
aspetto il…” e si salutano con “in bekko alla ciko”.
Certi
caldi pomeriggi estivi mi vedono stravaccata al pc, grondante sudore, le uniche
cose di me che si muovono sono gli occhi e il dito sul mouse e io navigo….navigo…navigo…
a volte approdo ed esploro curiosa, novello Ulisse nelle isole della
procreazione, altre volte resto avvinta dalla prima Calipso incantatrice, altre
combatto fiera dicendo che a me no, quella sfiga non può capitare, quell’errore
non lo posso proprio commettere. E’ il terribile potere del “mal comune mezzo
gaudio”, ora il tedioso adagio “il 20% delle donne alla prima gravidanza
abortisce” non mi sembra più una bestialità. Mi faccio anche una cultura,
inizio a maneggiare le sigle PM, PO, TB, Fivet e Icsi come un giocoliere
esperto. Il rovescio della medaglia è l’accentuazione dell’ansia di controllo:
ora monitoro il mio ciclo con “Persona”, “Clearblue”, temperatura basale, per
l’osservazione del muco ci manca solo che indossi camice e guanti. Creo tabelle
incrociando i dati che neanche le agenzie di statistica, sembra quasi che
decida io quando e come ovulare. Il mio ciclo però è ancora ballerino, fa i
capricci, riprende poco e male, e chiede pietà di fronte al mio cinismo di
medico improvvisato.
Luglio
porta il primo dei tanti scossoni emotivi che sarebbero seguiti. Nel mio gruppo
di amiche fedeli ce n’è una più riservata, si fa vedere poco e sempre dopo
molto insistenze, ma un bel giorno ci invita lei per un aperitivo tutte
insieme.
- Ragazze, vi devo dire una cosa… - ho
cercato di camuffare la morte dipinta sul mio viso.
Lei
era una di quelle che “Io figli? Mai! Non ci sono tagliata, non ho pazienza, ho
troppi impegni etc.” ed eccola lì, col suo pancino da fine del terzo mese, che
ci spiegava con quel pudore che ormai odio che - … non lo cercavamo, non ce lo
aspettavamo, chissà come è successo! Non ci pensavo nemmeno, tanto che l’ho
scoperto al secondo mese avanzato…-. Esistono ancora donne che con due mesi di
ritardo dormono sonni tranquilli…
Mi
si è crepato lo stomaco, ho usato tutte le mie doti istrioniche per dissimulare
una gioia che non provavo.
Molti
mesi dopo, quando ho elaborato la cosa e ho tolto alla mia amica tutte le colpe
che non aveva ma che io le avevo comunque dato, le ho scritto una lettera, che
le ho dato in ospedale quando sono andata a trovare la sua cucciola appena
arrivata, in cui le dicevo di non temere di non essere una buona mamma, perché
lei lo era ancora prima di saperlo: la mia amica riservata e distante mi aveva
telefonato, un giorno di fine aprile, e mi aveva chiesto come stavo dopo le
operazioni, mi aveva consolato a lungo, con una tenerezza e una premura
inusuali per lei. Lei era incinta in quel momento, ma non lo sapeva; il suo
corpo e il suo cuore però lo sapevano e l’hanno spinta a quell’istinto di
protezione verso di me e verso il mio cucciolo che se n’era andato.
Arriva
settembre e ripartono molte cose, due in particolare: la scuola e la mia
possibilità di riprendere i tentativi alla ricerca del mio fagiolo.
E
qui Fiorenza-la-forte, Fiorenza-la-combattiva crolla miseramente.
Mi
danno un incarico impegnativo e io mi sento investita di responsabilità neanche
fossi il capo del governo: voglio dare il massimo, voglio essere brava e passo
le mie giornate a studiare anche le nozioni più banali. Vivo tutto come se
fosse il mio riscatto, anche se nessuno me l’aveva chiesto.
Nel
frattempo il gine mi dà il via libera per i tentativi procreativi: dopo mesi di
sesso blando e sicuro penso che si apriranno le danze più sfrenate…e invece
improvvisamene mi blocco.
Non
riesco più a fare l’amore con il mio uomo; la sola idea mi terrorizza, mi
rivedo già nel tunnel di medici e ospedale. Il mio destino non è avere figli,
ma aborti e complicazioni cliniche di ogni genere.
Smetto
di mangiare, smetto di dormire, smetto di sorridere.
Ecco
che mi tocca aprire l’ennesima parentesi, ma questa è inevitabile: Fiorenza non
nasce forte e combattiva, Fiorenza sboccia a nuova vita a 23, dopo un’infanzia
e una giovinezza passata nell’ombra, nella paura, nei complessi esistenziali di
ogni genere. La Fiorenza degli esordi è vittima di se stessa, si flagella di
sensi di colpa che si costruisce da sola, ma addebita a familiari e amici, si
annulla nella più totale mancanza di autostima, si crogiola nelle delusioni
d’amore, e alla fine sguazza per un po’ nella vera depressione, quella
patologica. Ad aiutarla ad asciugare la sua piscina di paranoie arriva uno
psicologo speciale, scelto per caso solo perché aveva una bella voce alla
segreteria telefonica. Fiorenza ci mette qualche anno e diverse decine di
scatole di antidepressivi, ma alla fine ne esce fuori come una farfalla
sgargiante, fiduciosa, serena, pronta alla vita e quasi sicura di sé. Si
laurea, si fidanza, fa due o tre lavori in contemporanea e li fa tutti bene …
datele una montagna e la frantumerà con un sorriso.
Nel
corso degli anni e delle varie ricadute ho affinato sempre più la mia capacità
di riconoscere il subdolo ritorno dei sintomi, il riaffiorare dei miei riti di
perfezionismo e controllo della realtà. Da sola o col mio geniale psicologo li
ho sempre bloccati ed estirpati, ma questa volta ho peccato di tracotanza, la
vera ubris della tragedia greca.
E
come un’eroina tragica sono andata incontro al buio.
Avevo
riconosciuto subito le avvisaglie, l’impegno estremo sul lavoro,
l’iperattività, me l’ero anche detto: stanno tornando l’esaurimento e la
depressione, ma stavolta li controllo, stavolta non mi faccio fregare, ho tutto
in pugno. Come no.
Avevo
passato tutti i mesi precedenti così concentrata a curare il mio fisico che mi
ero completamente dimenticata dell’anima: non mi ero data una pausa, non mi ero
concessa di leccarmi le ferite, di piangermi un po’ addosso e di perdonarmi.
Perché
il problema era sempre quello: io mi ero incolpata del mio aborto. Io non
riuscivo a pensare che l’aborto è un evento, che non dipende da noi, io gli
avevo trovato una ragione e quella ragione ero io. Io avevo sbagliato, io ERO
sbagliata, io avevo perso il mio bambino perché dovevo pagare per i torti
commessi in passato, non so quali torti e non importa, un torto lo trovi
sempre, una mancanza, una cattiveria commessa con o senza volontà.
I
mesi di pausa forzata avevano soltanto rimandato l’esplosione della bomba: ora
Fiorenza era libera di riprovare, cioè era libera di sbagliare ancora ed essere
ancora punita.
Ho
riconosciuto subito tutti questi miei sentimenti, a tutti ho dato un nome e un
ruolo, convinta che non sarebbe servito stavolta appoggiarsi al geniale
psicologo, ce l’avrei fatta da sola, era
questa la prova da superare per espiare i miei peccati.
Ma
non ce la faccio. Prima della testa capitola il mio fisico. A novembre, dopo
due settimane senza quasi né cibo né sonno, cedo e vado a farmi raccogliere col
cucchiaio dallo psicologo speciale. Non ci vuole molto a rimettermi in piedi:
finalmente qualcuno mi costringe a guardarmi, a farmi una carezza e ad
assolvermi.
Il
giorno peggiore di solito coincide con la rinascita: a fine ottobre ero andata
dal gine, che dopo un periodo di consulti vaghi e annoiati si era
improvvisamente svegliato e mi aveva messo sotto la lente. –Qui bisogna
monitorare la fase luteinica, se è breve serve il progesterone, potresti aver
perso il bimbo per questo! Qui bisogna fare un esame serio della prolattina,
con tre prelievi, se è alta può essere un problema! -.
Alè,
il gine aveva deposto la faccia appesa e imbracciato il fucile.
Vado
dunque a fare un banale prelievo della prolattina, tanto per iniziare, e con il
barile di stress che avevo addosso ovviamente il valore è alle stelle. Si passa
ai tre prelievi a distanza ravvicinata. Io purtroppo tendo a svenire anche con
un prelievo minimo, figurati con tre!
Dopo
l’ennesima notte insonne, non un minuto ad occhi chiusi, stremata, affamata ma
con lo stomaco rivoltato, vado a fare l’esame carica di tutto il mio dolore e di
tutta la mia sfiducia: l’esame andrà male, è certo, nello stato in cui sono.
L’esame
va bene: i miei livelli di prolattina sono da manuale, l’esaurimento non ha
vinto. Comincia la lenta risalita.
Faccio
anche altri esami, alcuni ordinati dal gine-col-fucile, altri richiesti da me
con forza, perché il primo aborto pare che sia normale per tutti, tranne che
per te; ti sembra che nessuno ti prenda sul serio, ma tu vuoi sapere, vuoi una
spiegazione, il caso e le percentuali non ti bastano.
Il
fattore V va bene, il CA125 anche, provo pure a fare una consulenza genetica ma
mi rispediscono a casa, dicendomi che un solo aborto non è sufficiente a
giustificare un’indagine del genere. La medicina sa essere crudele.
L’unico
neo è la fase luteinica, un po’ fiacca, lo confermano anche i dosaggi di
progesterone, quindi si parte con la pastiglietta ogni seconda metà del ciclo.
Direi che mi poteva andare molto peggio.
Resta
lo scoglio principale: tornare a fare l’amore, tornare ad avere fiducia in lui,
in me, in noi. Qui ci vuole un po’ più di tempo, qui entra in gioco il mio uomo
meraviglioso.
Lui
viene poco nominato in questa storia ma c’è sempre: lui è una presenza
silenziosa, ma non molla un colpo, non mi perde di vista, mi raccoglie se cado,
a volte mi prende anche al volo. Io sono quella che urla, che fa casino, che
ride poi piange e poi ride, poi spacca il mondo e poi lo ricostruisce. lui c’è,
lui ascolta, lui non parla ma fa il gesto risolutivo.
E
lo fa anche stavolta: succede un giorno
a pranzo, sul pavimento della cucina, mentre gli spaghetti in pentola si
scuociono. Il mio uomo-bradipo, il mio uomo pigro si avvicina, mi scioglie e mi
prende senza chiedere il permesso, ma certo di ottenerlo, perché lui sa che
quello è il momento e quello è il modo.
Da
quella sera riprendo a godermi qualche sano orgasmo senza l’ansia della
procreazione, senza aspettative e senza sensi di colpa.
E’
arrivato Natale: anche per gli anticattolici come me quei giorni portano un po’
di serenità. Nasce la figlia della mia amica e io ormai ho fatto pace con la
mia pancia, con la sua e con le altre pance a spasso in città.
Sono
uscita dal tunnel, il lavoro va bene, con fasi altalenanti ma ora non è più al
centro dei miei pensieri, ora l’obiettivo torna ad essere un altro: il mio
fagiolo.
Non
l’avevo mai perso di vista, ma dovevo fermarmi per un po’ su di me prima di
tornare a tendere a lui. Riprendono gli incontri a fini procreativi, mio marito
mi asseconda con più slancio, a volte sembra sia lui a incalzare; io, che ho
fatto i compiti per casa, tengo
monitorata l’ovulazione meglio di uno staff medico.
Ma
a maggio non è ancora successo niente: l’entusiasmo iniziale cala sia in me che
in lui, facciamo i compiti più per ostinazione e spirito di servizio che per
vera convinzione, e ogni tanto ringhiamo pensando a quell’amica che mi aveva
detto, per rincuorarmi, che dopo un aborto i figli arrivano prima perché il
fisico si è ripulito.
Iniziamo
a interrogarci: forse la mola ha rotto qualcosa in me, forse c’è qualche
problema, forse dobbiamo indagare, forse…
Giorno
dopo giorno, ascoltando l’esperienza travagliata della mia più cara amica, mi
sono convinta che forse devo ricorrere alla PMA, che se dopo tanti tentativi
post aborto non è successo nulla, qualcosa in me si è starato e deve arrivare
la canulina di precisione di un medico a far ritrovare la strada ai miei
follicoli ubriachi.
Contro
il parere del mio ginecologo, che dice di aspettare e aver fiducia, e contro il
parere del mio precedente ginecologo, che dice pure lui di aspettare e aver
fiducia, io e lui, esaurita la pazienza e la fiducia, ci ritroviamo a inizio
settembre seduti nello studio del dottor Tal dei Tali della clinica XY, con
sedi staccate ovunque, la stessa cui si era affidata la mia amica.
Il
dottor Tal dei Tali sfoggia tutta la sua superiore competenza in materia e
conquista l’ingenuo annunciandogli che il suo spermiogramma non è affatto male,
ha fatto nascere squadre di bambini con situazioni ben peggiori. A me tutta
questa ostentata sicurezza puzza un po’. Passa quindi a me, più che ascoltare
la mia triste storia si affida a una lettura veloce ma efficace della montagna
di carte che gli ho portato, poi mi fulmina con uno scioglilingua: - Lei ha già
fatto una sonoisterosalpingografia?-
Si
indigna quando lo informo che nessuno ha ancora mai esplorato le mie tube alla
ricerca del petrolio e dichiara perentorio che non si può decidere nulla senza
avere prima gli esiti di quell’esame. Appena li avrà valuteremo se fare una
semplice inseminazione intrauterina o se passare direttamente alla famigerata
FIVET.
Io
sono arrivata alla PMA senza nessun entusiasmo: rigurgiti della passata
disistima di me mi dicono che non è bello non riuscire a fare i figli da sola,
dalla notte dei tempi le donne figliano e tu devi farti rivoltare come un
calzino, sei proprio una mezza sega!
Ovviamente,
quindi, mi auguro che il mio destino sia l’intrauterina, anche perché mi sono
subito convinta che le mie tube fossero aperte come il traforo del Gran Sasso,
quell’esame sarebbe stata solo la conferma che il prode dottore cercava.
Pareva
una sciocchezza e invece devo aspettare ben due mesi prima di aprire il
cantiere della premiata ditta “salpinge&co”: prima devo aspettare la
disponibilità dell’unico medico che nel raggio di chilometri fa quell’esame,
poi devo aspettare il momento giusto del mio ciclo, poi devo aspettare che le
due cose coincidano.
L’esame
è doloroso, la ginecologa irritante e il responso è per me del tutto
spiazzante: pervietà tubarica destra, stenosi distale della tuba sinistra con
lieve idrosalpinge.
In
pratica la tuba destra, riempita d’acqua, la lascia sgocciolare in addome come
una caraffa, invece la tuba sinistra si comporta come un rubinetto che perde.
Io,
da brava ignorante e inguaribile ottimista, apostrofo la ginecologa: - Beh,
dottoressa, come tutti gli organi doppi è sufficiente che ne funzioni uno su
due, no? –
La
gine pensava forse che avessi fatto una battuta e mi spiega che invece quando
una tuba non funziona anche l’altra potrebbe non lavorare a dovere, anche se
non è possibile determinare nulla con certezza, pertanto il suo consiglio era
quello di passare direttamente alla FIVET. Non si può nemmeno stabilire se
questa occlusione io l’ho sempre avuta, e quindi sono rimasta incinta una volta
per miracolo, o se è una conseguenza della mola e dei due raschiamenti. Fatto
sta che ora la tuba otturata impedisce il concepimento.
Ricevuto
l’oracolo di Delfi, anche il dottor-so-tutto-io, sprofondato nella poltrona del
suo studio, sentenzia: o FIVET o niente.
Il
mio bel marito prende la notizia come un regalo di Natale anticipato: la sua
convinzione è che d’ora in poi sarà tutto in discesa, è stato trovato il
problema e anche la sua soluzione, con quello che la paghiamo la FIVET avrà
successo e lui dovrà dare alla causa solo un comodo contributo onanistico.
Il
suo entusiasmo si spegne però di fronte alle precisazioni del dottor-so-tutto-io:
in una litania che i più valuterebbero come serietà professionale e io invece
valuto come volontà di pararsi il culo da parte della clinica, comincia ad
elencarci tutti i fattori di rischio di una FIVET, tutte le percentuali di
insuccesso ad ogni fase del percorso, tutte le complicazioni possibili nel post
transfert, con numero esatto di aborti post FIVET a chiusura del suo pacco
dono.
Le
certezze del bel marito crollano, le mie non si erano mai costruite. Ma
nonostante tutto ormai siamo convinti, questa è la strada, gli insuccessi ci
possono essere in qualsiasi situazione, almeno la FIVET ci dà più probabilità
di riuscita.
Il
dottor-so-tutto-io ci rispedisce a casa con una pacca sulla spalla e con un
pacco di esami da fare, stavolta entrambi dobbiamo farci scandagliare da capo a
piedi, io sempre un po’ più di lui.
Siamo
a gennaio del nuovo anno, abbiamo ancora pochi tentativi per provare ad
acchiappare la pennuta a mano libera, prima di attirarla con i richiami.
Mentre
io eseguo i miei esami, il borsino della gravidanze intorno a me si impenna
paurosamente: è incinta questa amica, è incinta quell’altra, la tal conoscente
scodella dopo un travaglio di neanche un’ora …e io mi innervosisco. Ma porca
merda, cicognetta bella! Ce la fai a trovare la casa giusta o ti devo mettere
dei razzi di segnalazione sul tetto?!
Nella
migliore tradizione di autoflagellazione, rincaro la dose passando le mie
serate su internet, non più solo a leggere di anonime mamme nella rete, ma
anche a guardare foto e articoli delle mamme vip più belle e splendenti che
mai. Ce n’è per tutti i gusti: la mamma più giovane, quella più anziana, la più
prolifica, il caso disperato che alla fine sgancia il pargolo, l’aborto
prematuro della Venere sul tacco 12. Poi c’è l’amato/odiato facebook, che mi
permette di monitorare con discrezione l’andamento delle mie conoscenti
appanzate.
L’unico
sussulto di speranza mi viene quando vedo una pancia un po’ stagionata e mi
dico che, se ce l’ha fatta lei, posso farcela anch’io.
Sta
avanzando marzo ad ampie falcate, la primavera sembra che voglia far capolino
da un momento all’altro. In un impeto di amore per i simboli e i rituali,
decido che trasformerò il mio pollice nero in pollice verde, iniziando a
prendermi cura di piante e fiori; se non so curare una pianta, mi dico, come
potrò mai accudire un bambino?
Mi
dedico all’impresa con ansiosa solerzia e oggi vanto un terrazzo rigoglioso. La
stessa sollecita ansia la pongo negli ultimi assalti agli spermatozoi di mio
marito; gli esami di entrambi ormai sono pronti e spediti alla clinica con un
fax da un milione di dollari.
Le
cliniche private potranno essere ciniche e tese al profitto quanto vuoi, ma non
si può certo dire che non siano rapide ed efficienti; il giorno successivo
all’invio del materiale telefono per sentire se è arrivato con successo e
scopro che non solo è arrivato, ma il dottor-so-tutto-io l’ha già preso in
visione.
-
Dottore, cosa mi dice? Come procediamo adesso?-
-
Tra pochi giorni le arriverà per posta il piano terapeutico, si procuri per
tempo tutti i farmaci e un’infermiera per le iniezioni; con l’arrivo del
prossimo ciclo mestruale inizierà la stimolazione. Ci chiami il primo giorno
delle mestruazioni e le daremo indicazioni.-
Ok
capo, dobbiamo anche sincronizzare gli orologi? Lo stile piatto e poliziesco di
quest’uomo per un attimo mi sconforta e mi fa pentire di aver intrapreso questo
percorso.
Ma
da brava scolaretta faccio i compiti e mi procuro tutto il necessario. Nel
frattempo NON attendo con ansia il ciclo, beandomi dell’idea romantica di aver
acciuffato l’ultima occasione e di aver fregato tutti quanti.
Negli
ultimi mesi, purtroppo, mi sono fatta trascinare nel terribile vortice dei “fantasintomi”:
in internet ci sono centinaia di forum sui sintomi, veri o presunti, di una
gravidanza. Inizi con una ricerca generica e poi diventi una drogata esperta nel
procurarsi le dosi: “sintomi 4-5 PO”, “sintomi 10 PO”, “quando fare un test di
gravidanza”, “test di ovulazione usato come test di gravidanza precoce” e così
via.
I
“fantasintomi”, così denominati con l’ultimo barlume di razionalità dalle
stesse mamme della rete, possono essere i più comuni e frequenti o i più
deliranti e improbabili: tensione mammaria, turgore dei capezzoli, mal di
testa, mal di schiena, mal di pancia, nausea, inappetenza ma anche voracità
improvvisa, stipsi ma anche diarrea, brufoli ma anche no, sonno o insonnia,
alitosi, tic nervosi, unghie incarnite… tutto ad un certo punto può diventare
un sintomo. Poi c’è la tempistica: quella che sente i primi sintomi appena dopo
il rapporto, quella che li sente dopo un mese, quella che non li sente mai e
quella che cambia stile ad ogni gravidanza.
E
tu cominci con lo scambio di figurine:
“celo, manca, celo, manca, no! forse celo, ma forse invece manca… ma ce l’avrò!”.
Un delirio.
Ogni
esaltazione dei fantasintomi provoca poi crisi isteriche all’immancabile arrivo
del ciclo e poi, finito il ciclo, ne riparte un altro, con tutte le altalene
emotive del caso.
Io
più di qualche volta ho provato a far finta di niente, a non cedere alla
tentazione di cercare informazioni in internet, a non ascoltare il mio corpo,
ma non c’è stato niente da fare: un’aspirante mamma finisce per conoscere ogni
suo minimo cambiamento, ogni tensione e ogni doloretto, e poco importa se sono
veri, immaginari o provocati dalle nostre speranze, loro urlano per farsi
ascoltare.
Ho
allora adottato la tecnica di prendermi in giro: a ogni capogiro, a ogni dolore
alle ovaie, iniziavo con un monologo degno della Littizzetto, in cui mi
smontavo e rimontavo, mi esaltavo, mi rimproveravo e alla fine, per fortuna, mi
facevo una grassa risata.
A
tutto ciò si aggiunge il fatto che i miei due ultimi cicli sono stati davvero
anomali: iniziati in anticipo o in ritardo, con svariati giorni più simili a
spotting che a ciclo vero e proprio, e solo due giorni scarsi di un quasi
ciclo. Le macchinette traditrici non erano mai d’accordo sul mio picco di
ovulazione e io, per sicurezza, facevo una settimana di maratone con il
paziente marito che, grazie a Dio, non si faceva pregare più di tanto, certo
che poi gli sarebbe spettata una lunga cassa integrazione.
Siamo
dunque a marzo, attendo la mia ultima ovulazione prima della FIVET, e questa infame non arriva. Mi dico che le
macchinette sono andate del tutto in tilt, mi affido ai calcoli statistici e
comunico al prode marito che si tromberà comunque il giorno X.
Lui
insiste per aspettare: la macchinetta alla fine darà il suo responso, dice, e
poi mai fare oggi ciò che puoi fare domani! Mi lascio convincere e lui ci
prende: al 19 PM Fiorenza ovula, le macchinette lo decretano entrambe in coro.
Via
con l’incontro procreativo! Io, come sempre da mesi, subito dopo me ne resto a
fare la candela sdraiata a letto per una buona mezz’ora, mentre come sempre
penso all’identica scena del “Grande Lebowski”. Poi però mi metto a fare le mie
cose senza eccessive remore. Trascorro le mie giornate in una calma apparente,
ma nel giro di poco arriva l’armata dei fantasintomi. Stavolta si sono
organizzati tutti insieme e mi assediano su ogni fronte: sono stanca, ho sonno,
ho la nausea, ho il fiatone solo a camminare, dolorini sparsi ovunque e due
tette pronte a esplodere da un momento all’altro.
Il
23-24 marzo dovrebbe venirmi il ciclo, tenendo fede ai primi calcoli, ma con
l’ovulazione così ritardata potrebbe arrivare anche il 27-28.
Dal
21 marzo ho qualche perdita rosa: andiamo sempre peggio, il progesterone ormai
ha l’effetto di un bicchier d’acqua.
Maledizione!
Consumo chilometri di carta igienica per controllarmi, quasi mi scortico il
delicato fiore, ma proprio non vengo a capo della faccenda e non capisco se
stanno iniziando o meno.
Apro
l’ultima parentesi di questa storia: nel mio tour de force di controlli pre- FIVET non si rileva nessuna nuova
sfiga, per fortuna, tranne che all’ultimo step:
durante un’ecografia transvaginale il gine nota qualcosa di strano e si mette a
rimestarmi come una polenta per un buon quarto d’ora.
Poi
depone il fucile imbracciato mesi prima, si rimette la faccia appesa e decreta:
- O hai una piccola ciste senza importanza … o hai un inizio di endometriosi!-
Alè,
bomba all’idrogeno sganciata senza preavviso alcuno!
Devo
quindi ripetere il CA125 e augurarmi che l’esito non infici il percorso FIVET.
La
mattina di venerdì 23 marzo, prima di andare a scuola, decido quindi di andare
a fare il prelievo e, già che ci sono, infilo pure le beta; così mi tolgo il
pensiero e, risultati alla mano, posso chiamare senza indugio la clinica già
nel pomeriggio.
Resto
a scuola fino al pomeriggio, poi torno a casa, passo a prendere gli esiti in
laboratorio, poi devo fare alcune commissioni, poi passo a salutare i miei, poi
chiamo la clinica…questo mi dico mentre guido, ho tante cose da fare, mio
marito è fuori città per lavoro per qualche giorno e io ne approfitto per
sistemare mille commissioni arretrate.
Quindi
recupero le mie analisi con la testa già altrove, mi avvio all’auto, apro il
foglio mentre cammino e lo leggo distrattamente…poi stop. Mi immobilizzo, lo
leggo, lo rileggo, mi esce di bocca solo un sibilo.
Le mie beta sono 58. Ma come è possibile?!
Il
film che ho girato nella mia testa per mesi si sta davvero sbobinando intorno a
me. Non è possibile: sono incinta.
Mi
ricordo mentre cammino verso l’auto tenendomi la pancia, mi ricordo mentre
piango e i passanti mi guardano straniti…cosa faccio? Cosa faccio?! COSA
FACCIO??!
Seduta
in auto, annaspo come un pesce rosso fuori dalla boccia; prendo il telefono,
chiamo il gine… dai, passamelo, segretaria che sei pure incinta:
-Dottore,
è incredibile, sono solo al 12 PO ma ho le beta a 58, però sono basse! E ho
delle perdite! Cosa devo fare?!-
-Mettiti a riposo, magari è solo l’impianto, come
periodo ci siamo; continua col progesterone, ripeti le beta tra tre giorni e
poi mi chiami. E per un po’ niente rapporti! – Giuro che era l’ultima cosa che
avrei fatto in quel momento; ‘sti ginecologi proprio non le conoscono le loro
pazienti!
Ok, metto giù il telefono, razionalizzo. Anzi no,
concludo le ultime scene del mio film.
Ma
non è ancora il momento di andare a casa dei miei. Telefono alla mia amica del
cuore e mi fiondo da lei. Quando la vedo riesco solo a gettarle le braccia al
collo, a scoppiare in lacrime e ad appiccicarle agli occhi il foglio delle
analisi, ormai tutto sgualcito.
Lei
non capisce, confonde i risultati e inizia a dire: - Mi spiace, mi spiace, ma
non temere, non è un valore tanto alto, sarai appena all’inizio
dell’endometriosi! –
Macché
inizio di endo amore mio, quella è a posto, questo è un inizio di gravidanza:
hai letto i risultati al contrario! Ridiamo e piangiamo come due cretine, poi
ci calmiamo e parliamo un po’, poi lei giustamente mi spedisce dai miei con
mille raccomandazioni.
Eccomi
qui, nella cucina dei miei, sempre con quel foglio in mano e sempre con le
lacrime agli occhi; e anche loro si confondono e non capiscono e pensano che
abbia qualcosa di grave. Ma come? Nostra figlia non può essere incinta! Loro se
l’erano messa via da un pezzo, anche se non me l’avevano mai detto.
Mia
mamma indossa subito il costume da supereroe; si veste veloce come una faina e
mi segue con la sua auto fino a casa. In due ore mi tira a lucido la casa, mi
prepara da mangiare per i successivi nove mesi e si appunta le commissioni da
fare, mentre io dirigo i lavori dal divano, sotto le coperte e con tutto ciò
che mi serve per i giorni a venire non più distante di 20 cm.
Crollasse
il mondo io da questo divano non mi muovo, questa volta tratterò il mio fagiolo
come una delicatissima pallina di cristallo, farò tutto quello che serve amore
mio, cucciolo mio. Ti prego, non andartene anche stavolta, ti prego, prometti
alla mamma che fai smettere queste maledette perdite, così lei è tranquilla.
Non sei ancora neanche un esserino pensante e già fai preoccupare la tua mamma!
L’inattività
inizia a pesarmi da subito; io sono abituata a essere sempre attiva, a fare
tutto da sola e, come molte donne, sono multitasking: mentre stiro tengo
d’occhio le pentole e rispondo ai dilemmi esistenziali di mio marito.
Ma
il mio fagiolo mi riporta subito al dovere: in due giorni brucio due libri, da
sdraiata o è tv o è libro, non mi concedo neanche il pc. Inoltre la lettura mi
aiuta a distrarmi, perché le ansie sono tante, e una le sovrasta tutte: le
perdite.
Queste
maledette si sono placate, ma non sono mai smesse del tutto. Appena davano
segno di essersene andate, ecco che tornavano più forti di prima. Dolori no,
semmai qualche leggero fastidio, ma la carta igienica riportava sempre qualche
nuova macchia di Rorschach, e le mie interpretazioni oscillavano dal poetico al
tragico, con una marcata propensione a quest’ultimo.
Questa
volta sono più accorta della precedente: a parte i già nominati nessuno sa e
nessuno deve sapere. Chiamo la scuola per comunicare la mia assenza e, in un
eccesso di correttezza, avverto che potrebbe essere lunga, di iniziare a
cercare un supplente, e lì ovviamente mi sgamano.
Quando
torna a casa e riceve l’incredibile notizia, mio marito non mi dà neanche la
soddisfazione della scena del neo papà con la faccia incredula e inebetita: sostiene
che sapeva già tutto, il disgraziato, la mia voce al telefono nei giorni
precedenti era una dichiarazione di colpevolezza inequivocabile. Che abbia
mentito, o che mio marito abbia davvero poteri soprannaturali? Comunque sia,
stavolta è davvero felice, lo capisco dai suoi gesti e dalle sue premure,
stavolta è pronto per diventare papà, e ciò mi conforta moltissimo.
Martedì
mattina vado a ripetere le beta: le ore seguenti le trascorro letteralmente sui
carboni ardenti, nulla serve a distrarmi, ogni minuto che passa è un macigno di
eternità.
Mi
mamma fortunatamente arriva con i risultati anche prima del previsto; mio
marito ha una riunione di lavoro. Appena
prendo in mano la busta, avverto una sensazione negativa: stavolta forse, sono
diventata un po’ strega anch’io.
LE
BETA SONO 8. Una condanna in un numero.
Non
ho fatto nemmeno in tempo a provare un po’ di gioia materna, neanche questo
stavolta mi è stato concesso.
C’è
qualcosa di peggio del dire alle persone che ami che hai perso un bambino: dire
contemporaneamente che eri incinta MA hai perso il bambino.
Questo
è quello che è successo a neanche mezz’ora dagli otto colpi di pistola che la
vita mi aveva sparato; mi sono concessa pochi minuti di pianto, poi è montata
subito la rabbia, la smania, l’ansia di fare, di avvisare le amiche non
avvisate prima, di sapere, di risolvere i problemi. Il mio dolce marito stavolta
non se l’aspettava e ha sofferto davvero, ma lui resta un faro acceso anche
nella bufera.
Sapevo
quale porta si era aperta davanti a me: c’era scritto sopra POLIABORTIVITA’.
Dietro
la porta della poliabortività si apre un lungo corridoio, sul quale si
affacciano altre porte. Alcune in particolare sono presidiate da tanti piccoli
ginecologi in livrea, che con un sorriso laccato e fintamente partecipe le
aprono per te e ti invitano ad accomodarti; sulle porte c’è scritto:
ISTEROSCOPIA, TAMPONI VAGINALI, TAMPONI URETRALI, ESAME DEL CARIOTIPO.
Sono
le porte che alle principianti vengono sdegnosamente sbattute in faccia, è
inutile cercare di far capire che anche solo un aborto è grave, o che noi
almeno lo viviamo come tale. Ma per chi entra nel club delle poliabortive
l’orchestra apre subito le danze, e il valzer degli esami ti risucchia nel suo
vortice.
E
così ci risiamo, ma stavolta siamo in due: a pochi giorni dalla notizia io e lui
siamo già partiti per il nostro pellegrinaggio da un laboratorio all’altro, da
un medico all’altro, da un’attesa all’altra.
Ormai
siamo così bravi che sappiamo anche riderci su; ma una cosa spaventa entrambi:
la mappatura genetica. Per le infezioni ci sono cure, per gli uteri un po’
storti i rimedi esistono, ma i geni non li curi, non li manipoli, non li cambi.
A
inizio aprile effettuiamo l’esame del cariotipo e per almeno 20 giorni sappiamo
di dover trattenere il respiro: tanto ci vorrà per il risultato.
Un
paio di sere dopo, davanti alla televisione, in una pausa pubblicitaria, lui se
ne esce con un discorso che mi inchioda; a qualcuna potrà sembrare assurdo, a
me è suonata come una dichiarazione d’amore.
-
Amore, lo sai, io vorrei che il figlio venisse fuori da noi; non mi piace
l’idea di un altro ovulo, né tanto meno di un altro spermatozoo, e l’adozione è
complicata.
Però,
in tutta onestà, tra me e te quella che desidera di più il figlio sei tu,
quindi, potendo scegliere, preferirei che l’ovulo fosse il tuo e non importa se
il seme non è il mio. Tanto poi lo alleviamo comunque noi. –
ODDIO!
Con quelle poche parole immense, in un attimo mio marito è cresciuto: MIO
MARITO E’ DIVENTATO PADRE.
Io
ne sono uscita con il ruolo di gestante e lui con quello di genitore: io
concepisco e partorisco, lui alleva ed educa. Ho guardato il mio uomo come
fosse un dio e l’ho amato con ancora più forza e tenerezza.
Come
se il mio utero avesse imparato a leggere, il giorno successivo alla notizia
delle beta colate a picco il mio ciclo è arrivato; come un fiume in piena che
trascina con sé il buono e il cattivo, mi ha attraversata e si è portato via
tutto. E’ stato un ciclo impetuoso, da adolescente, e quando è finito mi sono
sentita stranamente leggera, ripulita, pronta a un nuovo inizio.
Oggi
aspetto, aspetto tante cose: gli esiti degli esami, la ripresa del percorso
FIVET, l’estate come stagione dell’anima.
Non
mi aspetto di restare incinta da qui a giugno, quando spero di poter riprendere
la FIVET interrotta, non mi aspetto neanche di non restarci. Io oggi spero,
spero tante cose, ma me ne aspetto ben poche.
Però
ogni mattina mi sveglio, controllo se fuori c’è il sole … e prendo la mia
pastiglia di acido folico. Oggi, e da due anni, è il primo gesto di ogni mia
giornata.
Ho letto la bolla di Fiorenza tutta d'un fiato... e ancora mi tremano le gambe. Quando leggo storie come questa, e come la tua e molte altre purtroppo mi rendo conto che siamo tutte uguali nella partenza, ottimismo, fantasintomi, paura...poi le strade si dividono in fortunate e sfortunate. Questo mi fa rabbia perche' mi sembra impossibile che al giorno d'oggi si parli ancora in questi termini, la medicina dov'e'? Perche' io vivo in uno stato di grazia e porto avanti una gravidanza serena, ringraziando ogni giorno il Signore, e voi dovete capire quelli che non va solo dopo un aborto e poi due, tre, quattro, cinque...e forse non capirlo affatto? E' davvero tutto cosi' insondabile? Mi fa tanta paura uno scenario del genere e pur dalla mia posizione privilegiata mi arrabbio perche' la donna non e' tutelata da questo dolore. Siete donne coraggiose e avete tutta la mia conprensione e il mio affetto. Un abbraccio Anna e Fiorenza e le bolle che seguiranno.
RispondiEliminaC’è qualcosa di peggio del dire alle persone che ami che hai perso un bambino: dire contemporaneamente che eri incinta MA hai perso il bambino. Ho letto il testo (fra l'altro è scritto meravigliosamente) con la pelle d'oca, poi questa frase mi ha colpita come solo le verità condivise possono fare.
RispondiEliminaE' proprio così.
Ti abbraccio Fiorenza. Forte.
grazie per essere passate di qua e aver letto questa storia.
RispondiEliminaLa condivisione fa sentire meno soli.
Aiutatemi a diffondere...
Ho cominciato a leggere e, nonostante le lacrime, non sono riuscita a fermarmi. Mi sento impotente come Silvia...il mio abbraccio forte e sincero è tutto per te Fiorenza, per tutto quello che sei. Anna, sei sempre nei miei pensieri e non finirò mai di ringraziarti.
RispondiEliminasono io che ringrazio te per essere qui a braccia aperte.
EliminaHo letto anch'io questa storia tutta d'un fiato......mi ritrovo in gran parte delle cose,sembrava mi stessi raccontando io, con la differenza che io non sono una poliabortiva, io ed il mio compagno portiamo il marchio di " COPPIA AFFETTA DA INFERTILITA' PRIMARIA " . La causa? Nessuna !!
RispondiEliminaHo una ICSI che mi aspetta, tanta voglia di diventare mamma, lieve speranza, niente illusioni e nel frattempo mi sento donna a metà .
Grazie per aver condiviso la tua storia.
Anna ti mando un abbraccio grande grande.
Nanna
nanna, grazie per essere qui e aver condiviso...tvb
EliminaGrazie Fiorenza...la tua storia è aperta e spero che un nuovo inizio ti abbracci!
RispondiEliminaho letto questa storia più volte.... ma non ho avuto parole nè coraggio per riuscire a scrivere qualcosa... adesso il coraggio l'ho trovato, ma di parole non ne ho ancora... Grazie Fiorenza... Marisa
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