venerdì 29 novembre 2013

Esercizi di consapevolezza associati a senilità


La speranza è un sogno fatto da svegli.
Aristotele, in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III sec.



In questi sei mesi...
Ho imparato ad aspettare.
Ho capito cosa significa fare del male al mio corpo e al mio cuore.
Ho avuto bisogno di fermare il tempo.
Ho coltivato le piccole soddisfazioni che la vita mi ha presentato.
Ho goduto dei pochi momenti in cui stavo bene.
Ho fortemente voluto stare bene
Ho creduto di stare bene
Ho imparato che per stare bene bisogna partire dalle radici di me stessa.
Non rinnego il mio passato, la mia disperazione, il mio dolore. Quello era il momento per ciò che ho vissuto.
Per quell'esperienza dovevo passare.
E ne verranno altri, meno importanti o forse più importanti, di momenti per cui fermarsi.
Ma non attendo più "quel giorno" per ricominciare a vivere.
Sto già vivendo
e molto intensamente.
Così intensamente che mi sento come stessi davanti ad un camino con una poltrona e un bicchiere di vino rosso in mano a dondolarmi soddisfatta. Questa è la sensazione.
Qualcuno dirà che non c'è proprio niente da farmi ritenere così soddisfatta. In fondo non ho sinora ottenuto l'obiettivo che mi ero prefissata.
Forse o forse no.
C'è una molla che è scattata ad un certo punto nella mia vita e questo ha cambiato radicalmente, o comunque è ancora in essere il cambiamento, il modo di vivere questo cammino.
Dapprima la scoperta che sto camminando su una strada. E per accorgertene devi per forza toccare livelli di intensità piuttosto elevati, in positivo o in negativo. Quei livelli ti fanno fare delle scoperte. Io li ho vissuti sinora solo in negativo, ma non è questo il punto.
Ho scoperto ad un certo punto di camminare su di un sentiero che vedo bene davanti a me, non vedo la fine ma vedo la strada.
Eh, bella scoperta.
Che ci si fa con una strada se non si sa bene dove si sta andando?
E qui la svolta. La mia personalissima svolta.
Ritengo di essere stata sempre una persona molto lucida, anche nei momenti più difficili.
Mi sono autoanalizzata molte volte e molte volte ne ho tratto delle conclusioni. Ho sempre saputo il perchè di certi miei comportamenti, i perchè di alcuni miei modi di reagire, i perchè di certi miei giudizi.
Mi sono lasciata fare.
Espressione che forse più di tutte descrive quanto io sia stata democratica finora con me stessa.
Non è che io sia stata sempre daccordo con quella Anna, per carità, ma la democrazia per l'appunto, questa è, soprattutto quando poi a vivertela sei proprio tu ed unicamente tu.
E così, ho lasciato drenare attraverso di me e il mio corpo un sacco di bella roba, non lasciando indietro niente: non ho fatto da setaccio, ho lasciato passare anche i sassolini più grandi, anche se poi "si sono infilati nelle scarpe e hanno fatto tanto tanto male, ahi".

Oggi, quella strada la percorro in pianura.
Ecco la svolta.
Fino ad un certo punto l'ho percorsa in salita. Che fatica. Ansimavo e sbuffavo. Ma io non sono una sportiva e non nemmeno tutta questa resistenza fisica a dirla tutta. E proprio mi fa schifo sudare, ansimare e sbuffare. Stare ad osservare come il mio corpo può arrivare ai personali limiti fisici mi fa orrore. Non lo trovo salutare, non è utile, è rischioso.
Perchè allora ho permesso che accadesse?
Non lo so.
Perchè era scontato che andasse così? Perchè anche io trovavo giusto piegarmi ai clichès emotivi della donna senza figli?
Non lo so com'è che è andata così.
Comunque.
Non è che io non mi disperi al giungere dell'ennesima notizia di una pancia nuova appena farcita. Non è che io non pianga quando guardo V. fare il bagnetto a T. e poi baciarlo sul pancino e sui piedini e sul nasino.
Cioè, non è che improvvisamente sono diventata un ghiacciolo.
No.
E' che percorro la mia strada in pianura. Non sudo più. Non ansimo più. Non fatico più. Mi godo il panorama intorno. Mi guardo le persone che fanno un pezzo di strada con me e stringo loro la mano. Apprezzo il tempo che mi scorre affianco, manco fosse la prima volta. E che quest'anno metterò quel 4 davanti ai miei anni passati, e mi fa una paura pazzesca. Mi guardo allo specchio e chiedo a mio marito: "ma ti sembro una quarantenne? ma porco boia! perchè mi chiamano Signora?".
E quindi, non è che improvvisamente io sia diventata un guru del vivi e lascia vivere, del tutto scorre e del carpe diem.
Ma se qualcuna ha pensato bene di scriverci un libro sui suoi primi quarant'anni, pensando fosse giusto raccontare al mondo di che cosa avesse trattato la sua interessantissima vita fino a quel momento, io non posso permettermi di smettere di correre e di sentirmi bene, molto meglio di altri?
Si, lo posso fare.
E il perchè è uno solo.
Ho sempre creduto di essere una che si accontentava nella vita.
Nel lavoro.
Per la casa.
Per i rapporti sociali.
Per il proprio corpo.
Per i soldi.
La carriera. Le scarpe e i pantaloni e infine per i capelli, che non vedono mai il parrucchiere.

Invece ora che mi sono fermata e mi guardo intorno, mi rendo conto che non è così. Non mi sono accontentata finora. Ho semplicemente vissuto come meglio credevo di fare e nelle mie possibilità, tutta la mia esistenza.
Ho cercato la felicità altrove.
Tutto qua.
Ed io mi sento felice.
E' semplice.

Voglio sempre un figlio.
Lo cerco ancora.
Lo piango ancora.
Ma mi sento felice.
Non so spiegarlo.
Vivo ancora talmente intensamente ogni singola cosa che faccio, che, mi dico, ne vale la pena.
Ne vale ancora la pena.
E lo so che questa strada è stata tracciata solo per me, anche se non vedo ancora la fine (e per fortuna). E ringrazio chi mi ci ha messo su questa strada, perchè non sarei stata in grado di apprezzare quello che respiro ogni giorno oggi.
I miei figli arriveranno ed io racconterò nelle case e in giro per i paesi la nostra favola, come un cantastorie d'altri tempi.
E voi riderete pensando che io sia una pazza.

E anche io riderò di me e con voi.
Come sempre, come ho sempre fatto.
Portavo una maschera e non me ne accorgevo.
Ora l'ho tolta e il mio sorriso è lì.



Vorrei raccontare di un sacco di roba accaduta in questo autunno che si va a chiudere.
Vorrei raccontare di aver ricominciato le sedute di agopuntura per il concepimento, che alla prima seduta ho pianto lacrime calde, perchè ho sentito come se, tutto quello che è accaduto tra l'ultima seduta fatta e questa, non fosse accaduto. Che mi sono sentita come umiliata dapprima: io che ancora insisto con questa storia dopo tutti questi tentativi, che tutti i miei amici hanno già pure figliato a occhi chiusi, ed io qui su questo letto a farmi bucare in parti che certo vorrei non vedesse il mio amico dottore. E che però questi pensieri, mentre la seduta faceva effetto, sono scemati, e hanno chiuso quel cerchio, quel brutto e doloroso cerchio, per riaprirsi a questo nuovo inizio in pianura. Ancora.
Vorrei raccontare di quanto mi manca e che mentre mi spalmo la sua crema lenitiva, sento le sue mani e mi immagino mentre lo faceva lei con tutta la fatica che il suo corpo le dava, e che mi manca come l'aria, come quando ti tolgono una cosa scontata e che mai penseresti di non avere più.
Vorrei raccontare di aver litigato con i miei genitori e che per la prima volta, seppur avrei voluto non farlo per il dolore che mi ha provocato, mi sono sentita un'adulta, ferma e decisa nelle sue posizioni. Determinata a staccare finalmente quel cordone ombellicale che ancora oggi mi teneva attaccata a loro.
Vorrei raccontare che ho chiuso delle porte, definitivamente questa volta. Che non ho più voglia di giustificarmi per come sono e per i miei sbagli, mettendomi comunque sempre nella posizione di rendermi vulnerabile e in difetto.
Vorrei raccontare di quante belle storie mi arrivano e di quanto amore mi circonda e di quante persone, anche semisconosciute, hanno un pensiero, una preghiera serale per noi.

Vorrei raccontare che ho incontrato occhi che sanno, quegli occhi che con le parole hanno descritto un dolore in comune, quegli occhi che non mi fanno più sentire sola.

Ma queste sono altre storie. Altre parole.
Forse le racconterò ancora.
Forse.

sabato 16 novembre 2013

Non saremo più gli stessi

Ieri sera, mentre cercavo di addormentarmi, ti guardavo.
Il tuo viso contratto nel sonno, la mano stretta alla mia.
Le tue lacrime ferme agli angoli degli occhi.
Ti sussurro nelle orecchie "che cosa c'è" e mi dici "non lo so. E' qualcosa dentro che fa male".





Ho pensato che questo è il momento in cui il dolore si sta sedimentando.
Prende una forma in fondo alla nostra vita.
Si sta depositando.
Mentre prima era tutto agitazione, nebulosa, fino alla gola il dolore ci strozzava.
In questo momento no. In questo momento ci stiamo sedendo sul dolore. Lo osserviamo mentre si deposita.


Dopo picchi acuti, la mia gastrite mi ha abbandonato. Faccio un pò di fatica a metterlo nero su bianco perchè ormai è tanto che sto male fisicamente e vorrei che le cose non cambiassero ora che vanno meglio, ma improvvisamente, dopo una crisi intensa legata anche un'influenza piuttosto forte, il mio male dentro, se ne è andato.
 Il mio fuoco si è spento.
Mi aspetto qualche ripresa di fiamma, ma sento che è passata.
Curioso il mio modo di reagire stavolta, ma io so perfettamente cosa è accaduto.

Ogni mio aborto è stato seguito da una mia ripresa immediata. Una reazione sempre più aggressiva in proporzione al dolore provato. Ho lasciato che il dolore mi investisse in pieno all'inizio, appena abortito, ho lasciato che tutto avvenisse senza freni e senza farmi sconti. Ho lasciato che tutto si agitasse intorno. Ho creduto di non farcela. I giorni dopo la gravidanza extrauterina e l'intervento alla tuba, e poi, i giorni dopo il raschiamento di dicembre scorso, sono stati i giorni in cui ho pensato seriamente di non riuscire a sopportare quel dolore e di non voler vivere così.
Quelle situazioni esulavano dal mio desiderio di diventare genitore.
Non eravamo noi ad essere messi in discussione ma i nostri figli.
Il dolore provato è stato equivalente a quello che si prova dopo l'addio improvviso di una persona cara. Un addio che non ti ha permesso di dare quell'ultimo bacio, un addio che ti ha strappato per sempre il suo abbraccio, la sua voce. Quel dolore che si prova non per se stessi ma per quella vita che non può più essere vita. Ecco, è il dolore che si prova dopo un aborto. Non ha importanza quanto tu possa stare male. Tuo figlio non esiste più. Non è più vita. Questa è la tristezza più grande.

Poi però, arrivano i giorni della speranza.
Improvvisamente quella luce si riaccende. Improvvisamente hai bisogno di ricordare a te stessa che tu hai ancora il potere di fare qualcosa. Puoi ancora "generare speranza"!
E allora reagisci. Sempre con più forza.
Così ogni volta.
Invece.
La morte improvvisa della mamma di mio marito, ha generato una reazione immediata, forte, violenta, grande.
Poi sono seguiti i giorni in cui tutto è crollato.
E' accaduto il contrario di quello che normalmente accadeva, solo che stavolta mi è mancata la fase della speranza.
Ecco cosa è accaduto.
E' mancata la speranza.
A quell'addio improvviso e crudele non ha avuto seguito lo spiraglio di luce che ogni volta tentavo di mantenere acceso.
E così sono stata male, fisicamente stavolta.
E così sono caduta, in ginocchio.
Non sarò più la stessa persona di prima, mai più.
Non saremo più gli stessi, io e lui.


Questo è un momento in cui siamo spesso insieme.
Per questioni lavorative accadute, subito dopo la morte di Carla, ci siamo ritrovati a lavorare entrambi in casa.
Non è facile gestire la giornata da mattina a sera senza che il lavoro e le preoccupazioni entrino a far parte della nostra vita di coppia. E' difficile normalmente per tutti aprire la porta di casa la sera e lasciar fuori le preoccupazioni. Noi fuori della porta non possiamo lasciare nulla, perchè sta già tutto in casa.
Però.
Però siamo diventati una cosa sola.
Che sembra una frase scontata eppure di scontato non c'è nulla. A volte non dobbiamo dirci le cose, i pensieri, i ragionamenti, perchè ci scopriamo a fare gli stessi pensieri, gli stessi ragionamenti. A volte no. Ci urliamo dietro le incomprensioni, ma sempre di più oggi mi rendo conto di quanto forte è il nostro dialogo e la nostra capacità di spiegarci.

Allora,
forse saremo per sempre solo io e lui.
Forse tutti i nostri figli sono già esistiti e non nasceranno più.
Ma siamo noi due la speranza.
Ecco perchè il mio fuoco si sta spengendo.
Adesso mi è tutto chiaro.

Allora, quel male dentro, io lo so cos'è.
Dormi,
ci sono io qui, vivo per te e per la nostra famiglia.
Dormi.



giovedì 7 novembre 2013

Uscite dai nostri uteri per favore.

Mi è scappato un sorriso ieri mattina, quando nella cassetta della posta ho trovato il pacchetto ordinato da ebay.
I soliti stick per l'ovulazione.
L'ennesimo stock acquistato.
Non lo facevo da più di un anno in realtà, segno del mio bisogno di ricominciare, ma con semplicità.
Ammesso che stikkare ogni mese significhi ricominciare con semplicità, ovvio.
Ma il sorriso non mi è scappato per questo motivo, ma per questo:
Il venditore, che sarà sicuramente una -trice ha messo nel pacchetto un test di gravidanza gratuito e, vuoi per promozione o qualcosaltro, ha pensato di scriverci sopra gli auguri per l'ottenimento dell'obiettivo.
Mi ha fatto tenerezza 'sta cosa.
Mi ha riportato indietro di anni.
Mi sono accorta di quanto disincantata io sia oggi.
Mi sono accorta di quanto innaturale per me è rimanere incinta e portare avanti una gravidanza, tanto da considerare risibile un augurio del genere. Come a dire "non è roba per me, a me no, non può succedere". E questo, ne sono sicura, ad di là del voler credere ai miracoli o alle happy pills o no, è il pensiero di molte donne passate per questi inferni.
Dico la verità.
Al di là del mondo web, nella realtà io conosco solo persone che non hanno mai avuto difficoltà ad avere una gravidanza, e non parlo di giovincelle ventenni, per le quali immagino (forse) sia un gioco da ragazzi. Parlo di vecchiarde della mia età che da un giorno all'altro decidono che è il momento e zac! hanno il loro bambino.
A volte ho la sensazione di avere di fronte una realtà distorta, fatta solo di storie difficili, come fosse la normalità. Poi invece la realtà fuori da tutto questo, è un'altra, ed è la realtà normale.
Allora mi chiedo se sono io che faccio sì che tutto questo avvenga. Se sono io che ho tutto questo potere.
Il potere della mente è forte, lo sto imparando con lo yoga, ed è forte la capacità di autoguarigione.
Oggi che ho resettato tutto,  vivo come se ciò che è accaduto fosse accaduto a qualcun'altra. Sono distaccata, scettica, fredda. In tutto questo tempo non mi era mai successo di vivere così la mia storia.
Forse una sorta di autoprotezione: facciamo il gioco che le cose brutte che sono successe in realtà non sono successe a me.
A volte ho la nausea a sentir parlare di pma, di adozione, di diagnori pre-impianto, di eterologa.
Le persone, giustamente, mi chiedono che piani sto portando avanti. Ho abituato tutti a pensare che io sia una che attacca e che ha sempre un piano B. Era così.

Ora no.

Non ce l'ho il piano B.
Non voglio averlo.

E' come se stessi rifiutando la mia realtà.
E' come se stessi volutamente dimenticando che sono una donna malata che non è in grado di portare avanti una gravidanza.

Poi succedono queste cose qui:

Cimitero dei feti è ancora polemica

Sepoltura dei feti: approvata la delibera della giunta Renzi

e poi arriva questa lettera:

Renzi approva il cimitero dei non nati, un calcio alla 194

Se non avete tempo di leggere, vi prego, ritornate più tardi e soffermatevi un attimo su questa lettera della signora Lidia Ravera.
Soffermatevi su quelle parole pesanti come macigni.
Poi tornate qui.
Poi uscite e confrontatevi con quel mondo con cui anche io mi confronto oggi, quello fatto di sguardi di compassione e di espressioni a punto interrogativo. Quello fatto di persone che partoriscono figli senza porsi domande, ma solo perchè la Natura, così ha deciso per loro.

Poi di nuovo tornate qui. Qui, in questo mondo fatto di cose anomale, di cose che non funzionano come dovrebbero funzionare. Questo mondo in cui fare l'amore con il proprio compagno non ti dà nessun risultato di concepimento. Questo mondo in cui "la Natura ha scelto per te ed evidentemente le cose per te devono andare così, non andare contro Natura".
Poi fermati a pensare a quei grumi di materia che vuoi chiamare bambino o bambina.
E a "quelle donne che, poiché il corpo ha le sue insondabili leggi, non sono riuscite a portare a termine il loro dovere di animali al servizio della specie."

Io sono una di quelle donne.
Fuori di qui i discorsi sulla 194.
Non permetterò che se ne parli, come ho già fatto in passato.
Se non posso impedirlo ad una donna qualunque, che però viene pagata per scrivere sulla tastiera del suo computer, lo posso fare qui.
Non ho nulla contro la signora in questione, vorrei solo non sentirmi così piccola, dopo aver letto il suo articolo. Vorrei solo sentirmi così poco utile per la specie e per il dovere per cui sono stata chiamata in quanto femmina.
Poi vorrei non dover parlare di aborto, e vorrei non dovermi giustificare per aver sentito come tutti figli miei, tutti i prodotti del concepimento delle mie gravidanze.
Io non ho seppellito nessuno dei miei figli, gravidanze troppo precoci, un solo raschiamento, che è finito in un laboratorio di biologia, un bimbo incastrato in una tuba invece che in utero, buttato via insieme alla tuba stessa.
Però ho piantato un salice per uno di loro.
Sono passati tre anni da allora, e il nostro albero ora è bellissimo. Io lo accarezzo, ci parlo, rimetto a posto il cuore di plastica che allora avevamo attaccato e che inevitabilmente si spezza per la pioggia e il tempo che passa e mi fa sorridere. Mi ricorda quanto sarebbe potuto crescere quel bambino, ma non è un ricordo triste.
E' un modo per dire a me stessa che anche io sono stata capace di far passare per questo mondo un pezzo di me e del mio compagno, perchè donne come la Ravera, mi ricordano che questo è il nostro dovere e che siamo al mondo per questo.
A me viene da ringraziare questa signora, perchè in questi giorni mi ha aperto gli occhi. Finalmente ho letto negli sguardi delle persone che non sono passate per queste maglie strette, quello che non avevo mai visto.
Davo per scontato che si comprendessero i comportamenti postumi i miei aborti, ma poi, di fatto, non ricevevo mai ciò che mi aspettavo. Il gap stava proprio lì. Ora lo capisco. Stava, sta, nell'attribuire o no il significato di figlio a quei grumi di materia che ho abortito.
Ho dato per scontato che quei grumi fossero considerati comunque figli miei da tutti, come istintivamente ho fatto io dal test di gravidanza positivo in poi.
Invece non è così.
Sorrido.
Inconsapevolmente questa signora, tanto attenta a difendere i diritti delle donne (ma è evidente, non tutte le donne), mi ha dato la chiave di lettura per stare bene.
Ora so che il mio istinto di animale ha sempre funzionato.
Ora so che non soffrirò più per quegli sguardi che non corrispondevano agli sguardi che io pensavo di comprensione per la mia situazione.
Ora so che l'egocentrismo, mascherato da paladino dei diritti della donna, non fa parte del mio mondo.
Ora so che, pur volendo dire a me stessa che le cose non sono accadute e che è stato tutto uno scherzo, io sono una persona che non ha figli, forse non li avrà mai, ma sono comunque una madre, oltre che una donna.
Sta qui il punto.
Ora io sono prima una madre, poi un donna.
Per gli altri, sono prima una donna. Sorrido, perchè non è una questione ideologica questa, è un dato di fatto invece.
E sono una madre con tutti i suoi diritti di madre e di donna.
E non i diritti di ricevere una pensione da abortiva o i diritti di chiedere un'indennità all'INPS.
Sono una madre con il diritto di sentirmi in lutto ogni volta che abortisco.
Il diritto di piangere non per me, ma per il figlio che non ha avuto l'opportunità di vivere questa vita.
Si parla tanto di ingerenza di alcune istituzioni sulla vita del cittadino a-politico, a-religioso, a-sociale.
L'ingerenza in questa lettera sta nel voler fare di un gesto (quello del sindaco di Firenze), sicuramente politico (ma poco mi importa), un manifesto contro la legge 194, ancora nelle modalità del grido "l'utero è mio e ci faccio quello che mi pare!", perchè, se pur è fuori moda, andare nelle piazze a sventolar reggiseni, scegliere opportunamente certe parole (non-mamme, cimiterino, grumi di materia, tomba-culla, crociate del superfluo, eccetera) è atto di violenza gridato ad alta voce tanto quanto sventolare reggiseni e vagine.
E non provateci ancora a parlare di impedimento alla 194.
A nessuno delle non - mamme viene da pensare che sarebbe opportuno stracciare questa legge in nome di "un fazzoletto di terra smossa" dove andare a piangere. Si cerca solo conforto e omologazione a questa società che ti impone di raccontare solo l'evento lieto, solo quello che va bene, mettendo in un angolo il brutto, il dolore, la morte il lutto.
Perchè facciamo un pò ribrezzo noi donne che parliamo di dolore.
E' più facile dire che siamo delle fissate, che non andiamo avanti nella vita, che guardiamo solo indietro, piangendo davanti a tombe che non contengono niente.
E' più facile nascondersi dietro questo che porgere la propria mano.
E' più facile ghettizzare il dolore, in associazioni, circoli, blogs, movimenti per la vita, che guardare in faccia certe realtà.
E' più facile pensare che tua sorella, quella con cui hai condiviso tutto, ce l'abbia con te perchè sei rimasta incinta, piuttosto che credere che i suoi occhi pieni di dolore e il suo silenzio, il suo allontamento, hanno in essere una sola domanda:
"non mi interessa di te mamma, per te sono felice, ma perchè gli altri bambini si, e mio figlio invece, non ha la possibilità di vivere?"


Grazie signora Ravera.
Lo dico anche io a lei, accogliendo le parole di Claudia Ravaldi di CiaoLapo Onlus:
"Uscite dai nostri uteri per favore".

...come se tutto fosse come prima.
come se un soffio di vento
 e sabbia spazzata via dalla strada
il sapore del mare all'alba.
eppure mi piego
incapace di  comprendere il perchè di quello che è stato,
come un ramo spezzato
sanguino.


Per chi fosse daccordo, vi chiedo di contribuire aderendo a questa iniziativa:
http://www.ciaolapo.it/index.php?option=com_myblog&show=lidia-ravera-assessore-alla-crudelta-chiediamo-le-sue-dimissioni.html&Itemid=100043
grazie,
Anna, madre abortiva.




Aggiornamento:

Nel frattempo sono state ritirate le richieste di dimissioni per la signora Ravera, a nome di CiaoLapo e di nessun altra associazione.

Grazie a tutti per la partecipazione.
CiaoLapo Onlus ritira la richiesta di dimissioni di Lidia Ravera