lunedì 24 marzo 2014

SUKHPAL KAUR


SUKHPAL KAUR.
Ripeti.

SUKH PAL KAUR.

Esattamente:
SUKH, è breve, secco, intenso.
PAL ha una A lunga: PAAAL

KAUR, è così, come lo vedi.

SUKHPAL KAUR.

SUKH significa PACE.
PAL, protezione, sostegno.

Una settimana fa, ho ricevuto il mio nome spirituale, SUKHPAL KAUR la principessa / leonessa che è sostenuta e protetta dal Divino quando lei si connette con la propria pace interiore.
Avevo pensato di richiederlo ad un certo punto lo scorso anno, poi però gli eventi accaduti mi hanno distratto. Poi, ho pensato che non avrei dovuto disconoscere il mio nome natale e ho lasciato stare.
Poi invece, cioè ora, ho capito che era il momento e che non avrei cancellato nulla di quella che sono, semplicemente, avrei conosciuto il perchè sono qui.

“Nam significa nome. Un nome è il nome di una persona, di un luogo o di una cosa. Quindi ‘Sat Nam’ significa ‘La Verità è la mia Identità’. Quello è il mio Nam. Quello è il mio nome. Quando qualcuno chiede un nome spirituale, quel nome descrive il destino”. 
(Yogi Bhajan, Master’s Touch, 27 giugno 1996)

E quindi niente, era ora.
Sentivo che era il momento.
Prendere il nome significa iniziare un nuovo cammino, quel cammino di consapevolezza di cui tanto parlo.
Ricevere il nome è tutto questo.
Scegliere di ricevere il Nome Spirituale (ed usarlo) significa accettare di rinascere nella consapevolezza.

Ho bisogno di rinascere.
Insieme a mio figlio.
Da troppo tempo non parlo con lui, da troppo tempo non ascolto, da troppo tempo non sono paziente.
Si passa per delle dure prove, ma si sceglie di superarle se si è in pace con se stessi.
Questo significa il mio nome: 
Il nome Sukhpal Kaur ti aiuta a connetterti con la tua anima relazionandoti con le tue capacità di conoscere e sperimentare la tua pace spirituale.
Ci sono molte sfide nella vita.
Fanno parte delle lezioni che Dio ci da, cosicchè possiamo imparare a crescere spiritualmente.
Sii grata per ogni cosa della tua vita e immergi  tutto il tuo essere nella meditazione del divino che dimora in te.
Coltiva la pace profonda che ti sostiene e che nutre tutte le cose intorno a te.

Che emozione aver ricevuto questo dono. Una gioia che viene da dentro e che ti dà la forza di continuare a lottare e a vivere con tutto l'amore possibile e la verità, la mia, in mano, contro tutti, nonostante tutto.

Poi, prendi un quaderno nuovo, una penna nuova, e scrivi per cento otto volte il tuo nome.
Prendi confidenza con il tuo nome, accarezzalo, inizia da qui il nuovo cammino.


Ricominciare, dopo aver tenuto stretto lo zero. Noi, una famiglia, sempre e per sempre.
Ricominciare con la certezza che il futuro ci attende e che la vita ha molto da darci.
Ricominciare tenendo la testa alta tra la gente, tra gli amci, i parenti, finalmente.
Sicura di quello che ho provato, di quella sicurezza che muove le montagne, contro ogni logica, contro ogni raziocinio.
Un giorno racconterò tutto questo e mi sorprenderò, e accarezzerò la testa di mio figlio, raccontandogli che lui è noi, e la storia non si può cambiare, e il sangue, i geni, anche se malati, e tutto queste parole, che rimarranno, per sempre. Come questo nome.

Ricorda.
Sukh
Paaaaal
Kaur.







* Per approfondimenti sul nome spirituale, cliccare qui

lunedì 17 marzo 2014

“Tre meno uno uguale zero.”





“Tre meno uno uguale zero.”

"Ricostruire le proprie vite a partire da zero.
Uno zero tondo, ma vuoto, come le pance, prima tonde e piene di promesse, e poi vuote, svuotate, per sempre.
Zero rispetto alla vita di prima.
Zero rispetto al futuro, che pare improvvisamente lontanissimo.
Zero rispetto al presente, troppo spaventoso perché troppo vuoto.

Come si fa a tornare due?
Come si fa a ripartire da quel “tre meno uno” divenuto zero, e tornare prima due poi quattro?
Come si fa a far quadrare i conti, quando per molte persone non c’è stata nessuna sottrazione e siamo sempre stati solo due, perché un figlio atteso sembra avere un valore affettivo minimo o trascurabile?
Come si fa a affrontare tutto questo, e tutte le sue complicazioni senza disgregarsi in mille frammenti, passando da zero a -3?"
(Claudia  Ravaldi, ciao Lapo onlus ) 


Ci sono momenti di questa mia vita in cui tutto mi appare chiaro, semplice, lineare.
Mi è chiara la ragione di tutto quello che è accaduto.
Rivedo come dei fotogrammi, istanti, passare davanti ai miei occhi, luci che si accendono e si spengono, sensazioni, movimenti, odori.
Gesti.
Respiri.

Return to zero di Sean e Kiley Hanish è un film che racconta di questi fotogrammi, quelli che ho vissuto io con mio marito, quegli istanti vissuti da tante altre coppie come noi.
Return to zero è un film proiettato in prima europea ieri sera al RIFF (Rome Independent Film Festival), progetto nato con l’intento di rompere il silenzio che si crea a causa di un lutto perinatale.

C’è un momento che accomuna tutti noi che cominciamo a vivere proiettati al futuro e poi con la morte dentro ri-impariamo a respirare, è il cuore di questo film, scritto e voluto da due genitori come noi, il cui figlio muore e nasce a fine gravidanza. E’ il momento in cui il nostro cuore si risveglia prendendo coscienza che i nostri figli continueranno a rimanere in contatto con noi, sempre, anche dopo.
C’è un legame con loro che ci rende gente speciale, un filo invisibile che non si rompe, che si dipana durante il tempo della nostra vita e ci tiene stretti a loro. E’ ciò che ci fa sentire diversi.
Noi, loro.
E’ tutto qui.
Imparare a tenere in vita ciò che è stato.
Non nasconderlo.

“I discovered tonight that in Italy there is no word for "stillbirth". None. There is simply no name for it. How much more difficult is it then for people here to break the silence on a topic when the word can't even be found in the dictionary.( cit. Sean Hanish)

Fotogrammi, istanti.
Quando senti arrivare quel dolore da lontano, quel dolore che porta via il tuo bambino.
E poi buio.
E poi luce di nuovo, per avere la forza di combattere ancora, per dare un senso a quello che è accaduto.

Tante volte l’ho scritto e l’ho gridato.
Se non avessi sentito i miei figli passare per la mia pancia, non avrei avuto la forza di combattere ancora. Mi sarei consegnata al destino.
La sofferenza,  la necessità di tenere  accesa una luce di speranza, quel dialogo continuo, sotteso,  fermo, che ti accompagna tutti i giorni, nella quotidianità. Quello che gli altri criticano, quando ti dicono che sei “fissata”, che “non è così che arriverà”.  Quelle parole sussurrate mentre ti accarezzavi la pancia, quei sogni ad occhi aperti, quel bisogno di futuro mentre raccontavi il tuo passato, chi eri, da dove venivi, perché eri lì in quegli istanti, per quale ragione avevi chiamato qui su questa terra tuo figlio.
Quei fotogrammi lì, quelle luci accese lì.
Return to zero è tutto questo.
Come passare dall’essere in tre a zero. Del come ricostruisci  il tuo utero, il tuo essere donna senza sentirti in colpa, di come ricerchi la tua identità di uomo-padre, senza essere passato per quel travaglio che non ha partorito vita.
Return to zero è la descrizione perfetta di come non sia possibile raccontare fino in fondo il dolore di un evento così innaturale.
E’ l’incontro con se stessi, nudi di fronte a una realtà inspiegabile.

“non so se avete pensato o meno alla cremazione..”
Chiede l’operatore dell’ospedale ai genitori che hanno appena ricevuto la notizia che “il battito non c’è più”.
“no. Avremmo dovuto farlo?”
Rispondono loro.
E’ tutto qui, chiuso in questa frase.

Avremmo mai potuto pensare che il futuro si sarebbe  richiuso su se stesso?
Come si può arginare questo dolore?
Non si argina, si lascia fluire, non si nasconde, si trasforma.
La morte del proprio figlio in gravidanza,  ti costringe a guardarti dentro: è l’occasione che ti presenta la vita da cogliere al volo. La ragione che ricerchi. Il perché sei qui, nonostante il dolore insopportabile, il vuoto,  il coraggio di cercare ancora, la forza che ti fa alzare la mattina, il bisogno di gridare il tuo diritto ad essere in lutto, la necessità di rendere onore alla vita che hai dato nonostante la morte, il volersi sentire uguale agli altri.
Una madre e un padre come gli altri genitori che stringono per mano i loro figli.
Senza giustificazioni,  senza spiegazioni.

Alla fine, in fondo a questo buio, in fondo a tutto questo dolore, ricominciare da zero.
Alla fine, una mamma.



Ringrazio gli autori e registi del film, che ieri sera, tra le lacrime e i sorrisi e un mio tremendo inglese, ho potuto abbracciare. Li ringrazio perché il loro film ci restituisce la dignità che cerchiamo nel mondo, nel tentativo di ricostruirci.
Ringrazio Ciao Lapo Onlus che ha reso possibile questo incontro, perché il loro lavoro, il loro amore, rende coraggiosi anche le anime più ferite.
Ringrazio Claudia (presidente Ciao Lapo Onlus), perché la dolcezza dei suoi occhi mi ha regalato la speranza.
Ringrazio i genitori in lutto di ciao lapo e i loro sguardi e le loro espressioni sui visi e la loro consapevolezza, di chi sa.

E ringrazio mio marito, perché non ha lasciato mai la mia mano durante il film e coraggiosamente cammina con me per questa strada in salita.



ci sono.


fonte img from Facebook profile of Return to zero:
 https://www.facebook.com/returntozerofilm?fref=ts






giovedì 13 marzo 2014

Parole e silenzi

Le parole sono come spine che ti si conficcano nel cuore.
E ritrovarsi nel cuore della notte a cercare quella luce che ora è debole.
Hai il terrore si spenga.
Le domande ti risuonano nella testa:
Sto sbagliando ?
Ho preso una strada sbagliata?

Avere la sensazione di camminare su un lago ghiacciato e sentire crescere dentro la paura che al prossimo passo il ghiaccio potrebbe rompersi ed io potrei precipitare.
Per sempre.

Il silenzio intorno a me mi stordisce.
L'argomento gravidanza, se rivolto a me, è diventato un tabù.

Anche le parole mi strozzano la gola.
Arrivano affilate, tagliano e poi vanno via.

Il pietismo mi fa schifo. 
La commiserazione ancor di più. 
La presunzione di aver capito tutto invece è al di fuori della mia tolleranza.

Questo vuoto è un dolore insopportabile.
Questa è la verità.
E tutto il resto è niente.
E ci si può morire intorno a questo vuoto, se lo si sceglie di abbracciare.

domenica 9 marzo 2014

Mamma è già arrivata.

Ieri mattina ho partecipato al matrimonio del mio migliore amico, e al battesimo di sua figlia.
Io ero testimone di nozze e madrina di battesimo della bimba.

Ho passato i giorni precedenti questo evento in continua apprensione, nervosismo, agitazione.
Mi sono svegliata in piena notte in preda ad un urlo soffocato in più di un'occasione.
Prendo sul serio le cose che mi si chiedono, non riesco a farne a meno.  Non riesco a non sentirmi investita di responsabilità e di gratitudine per il ruolo che mi si è chiesto di ricoprire, da oggi per il futuro.
Ma una parte di me è attaccata al mio dolore e non rinasce.
E' così.
Lo ammetto e ci faccio i conti. Quotidianamente.
La mia agitazione derivava da questo.

Credo di averlo già raccontato qui in passato, ma c'è una storia che sin da piccola mi ha sempre colpito, ed è la storia di una donna che io vedevo camminare per il paese avanti e indietro.
Io lo capivo che aveva lo sguardo vuoto e la mente altrove e non capivo quella camminata quotidiana, da casa al paese, dal paese a casa, senza borse della spese, senza sosta per chiaccherare, senza una pausa caffè.
Un giorno chiesi a mia madre il perchè di quel comportamento e lei mi rispose che era una donna che non aveva potuto avere figli e che la sua testa e il suo cuore le avevano procurato un esaurimento nervoso che l'aveva ridotta in quello stato.

Il mio nervosismo di ieri era derivato anche dal forzato incontro con quelli che una volta erano i nostri amici e che oggi, non lo sono più.
Il mio ruolo da uno degli attori principali nella cerimonia di ieri, mi ha portato, per mia fortuna,  a stare lontano da costoro, anche se ho cercato cordialmente di chiedere come andava, conversare del più e del meno, domandare di tutti i loro figli nati e che io non ho mai visto.
Ma si vedeva da fuori quanto ero diversa.
Mi vedevo da fuori e mi leggevo fredda, distaccata, non partecipe. Qualcuno di loro non mi ha rivolto parola. Forse non ha accettato il mio allontanamento alla nascita di loro figlio, mentre contemporaneamente moriva la madre di mio marito. Non ho sentito nemmeno l'esigenza di spiegare. Forse perchè il mio distacco è arrivato da lontano e non si è legato ad un evento. Preferisco pensino che sono un'esaurita a cui sta andando il cervello in pappa perchè non ho figli. Così non devo altre spiegazioni e mi tolgo di mezzo situazioni che mi fanno stare male e per le quali non riesco a chiudere la porta.
Credo che il dolore non si possa spiegare.
Casomai lo si può giustificare.
Io sono una a cui è stata sempre chiesta una spiegazione e che non è mai stata giustificata.

Ho temuto l'incontro di ieri perchè mi sono trasformata in una donna che non ha più voglia di tenere in piedi rapporti per dovere e con superficialità ma che non ha voglia di ferire nessuno.
Il mio status di donna senza figli (l'unica donna senza figli) ha fatto da solo. Ha parlato per me, rendendomi fredda e distaccata, come la donna che camminava per il paese anni fa.
Ho iniziato la giornata con una lacrima che spuntava all'angolo dei miei occhi per l'emozione di vedere il mio amico portare a termine un progetto di vita a cui aspirava da anni, e ho tenuto stretto tra le mani un test di gravidanza negativo appena fatto e un dolore in mezzo al petto. Ho ricevuto complimenti per come ero dimagrita e per come ero bella, eppure io da fuori mi osservavo come una donna sull'orlo di un precipizio.
Manca un mese esatto ai miei quarant'anni ed io mi devo ancora spiegare sul perchè non adottiamo, del come mai andando all'estero si ritorna magicamente incinta e del perchè non faccio come l'amica dell'amica delle amiche che ha fatto il controllo Y con l'esame X e ora aspetta un figlio.

Anche il titolo di questo blog mi sembra non abbia più un senso.
Mamma è già arrivata. 
Da tanto tempo ormai.
E non rinascerò con mio figlio.
Ciò che è stato mi ha fatto già rinascere.
Si sceglie di essere felici a prescindere da come andranno le cose.
Io non ho ancora deciso. Vado avanti osservandomi da fuori.
Incamero sensazioni e a volte non mi faccio neanche più domande.
Una sorta di stato di galleggiamento, per non affogare.
Passo da momenti di incertezza totale, di pessimismo cosmico, di non speranza per il futuro, a momenti di dolcezza infinita e di perdita di raziocinio.
Per ora è ciò che è stato, a parlare per me.
In cosa mi trasformerò non lo so ancora.
Però posso scegliere cosa guardare e chi vivere.
Quello posso farlo, ne ho la facoltà.