lunedì 11 marzo 2013

figlia del suo Figlio



Stasera, ho bisogno di fermare i pensieri, e queste parole mi riscaldano l'anima e mi danno la forza e il perchè di questo cammino.

A volte dimentico la ragione per cui lotto ogni giorno.

A volte la paura e la sofferenza vincono sul cuore.

Non scrivo nulla, lascio alla lettura di questo post meraviglioso e ringrazio l'autore.

Dal blog http://lacapannadellozioblog.wordpress.com/

In ebraico e in altre lingue semitiche, come l’arabo e l’aramaico, la misericordia di Dio si esprime con la radice r-h-m, da cui il termine ebraico rahamim, plurale o accrescitivo di rehem, utero, seno materno. Sempre in questa lingua, quindi, misericordia ha il significato di “uteri”, al plurale, o meglio ancora di “grande utero”, un’unione infinita di tanti seni materni. Alla luce di questo, riesce più facile comprendere il passo in cui è scritto:
Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai (Isaia 49,15)
Di madri che si dimenticano dei loro figli, li abbandonano, li abortiscono, li sacrificano alla propria carriera, agli amori, al successo oggi abbiamo tanti, troppi esempi. Di altrettante madri che, involontariamente, feriscono, sbagliano e, in qualche modo, deludono sentiamo ugualmente parlare. In ultimo, tutti sperimentiamo o sperimenteremo un primo, un secondo, tanti distacchi dalla madre, dalla sicurezza e dall’affettuoso calore che ci proteggevano e ci circondavano prima di venire al mondo e nella prima infanzia. C’è il parto, il freddo, traumatico contatto con il mondo esterno, ci sono le luci al neon dell’ospedale e le tante persone che circondano il neonato, lo affliggono con mille controlli, lo schiaffeggiano leggermente per farlo iniziare a piangere e a respirare da solo, gli tagliano il cordone ombelicale; ci sono gli altri legami da tagliare, il primo giorno di scuola, l’adolescenza, la ribellione, l’uscita di casa per andare a studiare fuori e poi il matrimonio, la malattia, i capelli che divengono bianchi e i volti che si riempiono di rughe e di segni che tradiscono il passare del tempo che condurrà, inevitabilmente, all’ultima, definitiva separazione.
La vita non è priva di madri che dimenticano i figli, molto più spesso è piena di figli che dimenticano le madri e, ancor più frequentemente, di persone costrette – perché è naturale che sia così – ad imparare a camminare ogni giorno con le proprie gambe e a non poter contare più su qualcuno che ti aspettava al ritorno a casa, che ti riempiva di attenzioni e il cui mondo ruotava intorno a te.
In questo tempo di particolari e drammatiche incertezze, poi, siamo un po’ tutti attoniti di fronte a tanti avvenimenti, tanti abbandoni, mancanze e nostalgie. E’ come se l’umanità intera avesse paura, si sentisse smarrita di fronte agli eventi che stanno inevitabilmente marcando il momento storico nel quale ci troviamo. Da un lato, emerge la necessità, per ognuno di noi, di una maggiore virilità e di una più grande consapevolezza delle nostre responsabilità di adulti; dall’altro, la nostra povera umanità ci spinge sempre a guardare in su, anche se siamo cresciuti, verso qualcuno che è più grande di noi, verso occhi che ci rassicurino, occhi che siano più in alto rispetto ai nostri, proprio come quelli della madre quando eravamo bambini.
Penso che la misericordia di Dio sia proprio questo: uno sguardo dall’alto, delle braccia che avvolgono; una voce soave ma, allo stesso tempo, autorevole che spinge, conduce, indica, traccia il cammino da seguire e che incoraggia a non fermarsi; un grande utero che, nonostante, i mille difetti, i mille tradimenti della creatura che custodisce, nonostante le accuse di chi afferma che la nostra umanità sia indegna di vivere, di esistere perché difettosa, imperfetta, piena di handicap e di deformità, si rifiuta di abortire il frutto delle sue viscere, ma gli dona la vita gratuitamente una, dieci, cento, mille volte, lo chiama ad amare, a divenire grande come l’universo di cui, apparentemente, questo piccolo essere costituisce solo una parte infinitesimale e trascurabile. E, perché questo puntino ricordi di essere amato dall’Infinito, il grande utero che lo porta in grembo ne assume la forma e gli dona persino una Madre in carne ed ossa, quella stessa Madre che lo magnifica per averla tenuta nel suo grembo, ovvero per aver avuto misericordia di lei, sua serva, figlia del suo Figlio, cosicché anche quelli di noi che non hanno mai conosciuto la dolcezza di una mamma terrena possano essere certi di essere figli amati di qualcuno.

stamattina, Roma.
E noi, in attesa.

7 commenti:

  1. È molto bella l'idea di Dio come utero. Di Dio come Donna e mamma.

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  2. ..se trovi conforto e accoglienza
    ti rispetto profondamente.
    Adelia

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  3. Ho la pelle d'oca... Proprio oggi queste parole... mentre fuori c'è una pioggia scrosciante, si apre il Conclave ed io sono piena di dubbi e di certezze allo stesso tempo!
    Grazie, grazie davvero.

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  4. Io l'ho sempre pensato come padre, oggi pensarlo come madre mi intenerisce.
    Raffaella

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  5. " la misericordia di Dio sia proprio questo: uno sguardo dall’alto, delle braccia che avvolgono".......sì la misericordia di Dio ti avvolge come sole le braccia di un padre possono fare.
    grazie per ciò che scrivi

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  6. anna...è una vita che non riesco a collegarmi...ma se in questo periodo ho avuto cinque minuti per farlo sono sempre venuta a leggerti anche di sfuggita...
    Come sempre le tue parole sono profonde e il tuo pensiero è sempre lì dove deve essere. Ti abbraccio forte.

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    1. cara iris...lo so che ci sei, lo so che i vostri figli vi tirano per la giacchetta e il tempo è sempre poco.
      Lo so perchè anche i miei lo fanno, a modo loro.
      :)

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grazie per essere qui.