38° giorno di meditazione: ma che brava che sono!! ce l'ho quasi fatta! orgogliosissima di me!
- 2 a Londra
- 1 per prendere di petto la Scienza, nella persona del CaroDott, e mettere nero su bianco che io credo in me stessa, nelle mie ovaie e in tutto il mio ambaradam procreativo e nel mio cuore, che è la cosa più bella che ho, che se la Scienza non ci crede, pazienza, per ora ce ne faremo una ragione.
Ci sono poi le giornate che vanno bene, che poi sono quelle normali. Ti svegli, lavori un sacco, non dentro casa, fuori, e pigli pure una boccata d'aria che è molto meno alienante. Poi esci, ti fai una lezione di yoga serale (che non mi capita mai, di solito pratico all'ora di pranzo), e l'energia è tanta e una figata (soprattutto quando azzecchi il mantra che sai a memoria, e canti a squarciagola e tutti ridono!), e poi torni a casa alle venti.
Che non ti aspettano bambini urlanti e pappe da preparare, e letti da rifare.
Purtroppo no.
Però tuo marito e il tuo peloso ti vengono ad aprire la portiera della macchina e ci stringiamo stretti noi tre baciandoci tanto.
Poi ti fai una doccia calda e ti coccoli con la crema appena comprata.
Poi mangi una pasta con i pachino surgelati dell'estate scorsa, cucinata da lui.
E un mix di verdure ripassate in padella, cucinate da lui.
E il pane appena cotto rifatto con la pasta madre.
E un bicchiere molto abbondante di vino.
E un quadratino di cioccolata.
E poi ti addormenti sul divano davanti alla stufa.
Ecco, ci sono giornate così, senza invenzioni, normali, senza pretese.
Sono una persona che si accontenta?
Può darsi.
Allora vorrei accontentarmi di queste piccole cose per tutta la vita, se mi rendono così felice.
Per quante fasi dovrò passare prima di sentirmi ”normale”?
Sono passata per molte fasi: il periodo di ricerca di un figlio; poi l’arrivo di questi figli e poi la loroperdita. La fase più difficile rimane senza dubbio quella attuale, quella di ricerca della consapevolezza di me stessa.
Perché una donna abortiva passa per tante fasi: dapprima la disperazione, poi l’incredulità (perché a me?!), poi la speranza, quel bisogno di ricominciare subito a cercare, perché “se ce l’ho fatta una volta, posso farcela ancora”, poi la rassegnazione. Poi c’è quella fase in cui si osservano i bambini degli altri e non si può non pensare che il tuo, avrebbe avuto proprio quell’età e sarebbe stato proprio così, con quelle manine, quei progressi di crescita, quegli occhi, se fosse nato. Questa è la parte più dolorosa, quella che ti rende sola, scostante.
Non vuoi più vedere nessuno, non vuoi più ascoltare quelle frasi, non vuoi più leggere commenti. Non vuoi consigli da nessuno. Tu solo sai. Cerchi disperatamente storie come la tua, persone come te, che sono passate per quelle maglie strette. Ti senti unica, sola, lacerata dal dolore. Parli con quei figli mai nati. Immagini futuri che non si realizzeranno più. Ti chiudi. Il sorriso sul tuo viso si spenge.
Eri una persona solare, la tua casa era sempre aperta a tutti. Non credevi di dover passare per questo dolore. Chi si immagina di dover affrontare un dolore? E come poi?
La perdita di un figlio, che sia nel primo trimestre, o nel secondo o a termine, è paragonato dagli esperti, come uno dei dolori più intensi che si possano provare. Che l’avvenimento avvenga all’inizio, durante, o a fine gravidanza, è lo stesso, o perlomeno questa la risposta istintiva del nostro cervello.
Il nostro cervello, il nostro corpo, il nostro cuore, rispondono come avessero subìto la perdita di una persona cara. Un vero e proprio lutto.
Altra cosa è la nostra risposta all’esterno, nella società, perché agli altri poi, si devono (per forza) altre risposte. Ci si sente dire che è normale subire una perdita nel primo trimestre. E’ la normalità. Non ci credi, ma cerchi di convincerti che è vero, tanto più che è proprio il tuo dottore che te lo dice.
Poi ti senti dire che un aborto così all’inizio della gravidanza non è una vera perdita, perché il feto non è formato, e un non-feto non è una vita. Istintivamente sai che non è così. Tu sai che ti sei sentita da subito diversa da quando lo hai concepito. Tu ti sei sentita mamma da subito, ma le carte dicono il contrario.
Nella mia lunga esperienza di abortiva, ho imbarazzo davanti ad un medico che mi chiede per la prima volta: “Figli?” perché le carte dicono di no. Cosa vuole sapere? Se ho partorito o se non ho mai voluto figli?
Perché io non sto in nessuna delle due categorie.
Come lo spiego che i miei figli hanno le sembianze di un albero piantato il giorno della sua morte, o di un angelo di vetro accanto ad una candela che accendo tutte le sere, o di una pietra incisa con su scritto un nome.
Noi abortive non siamo madri per gli altri. Lo siamo dentro di noi, nel nostro cuore.
Viviamo sdoppiate per sempre. Una parte attaccate al passato, a quello che non è stato, una parte con uno sguardo al futuro, tenendo per mano il presente, cercando di farselo andare bene, nel miglior modo possibile. Una parte per gli altri, che non sanno.
E’ la fase che viene dopo tutte queste appena descritte, che è davvero la più difficile da vivere.
Quella della consapevolezza del sé.
S’impara con il tempo a far passare per se stesse la vita e la morte contemporaneamente. Si accetta il proprio corpo come culla e poi tomba. Si capisce che non è davvero colpa tua.
Si benedicono quei figli che non sono stati, perché il loro arrivo e poi la loro dipartita, sono stati il mezzo per arrivare a una profonda conoscenza di se stesse e del mondo che ci circonda. E allora s’impara anche a far pace con gli altri, prima che con se stessi.
Per quante altre fasi si deve passare ancora, per sentirsi una donna normale?
Bellissimo l'articolo di Raffaella! Ho letto anche il tuo...che ovviamente è molto commovente e troppo sincero..così sincero che mi fa sorridere mentre gli occhi si riempiono di lacrime. :* Complimenti per la rubrica!
RispondiEliminaPer il countdown... sono con te!! :*
ABBRACCIONE da Milano, goditi Londra e spero che le piccole felicità come le chiamava Nora stiano sempre lì e riempiano in maniera bella i vuoti. Sandra
RispondiEliminaNon solo l'aborto è un lutto. E' anche uno dei peggiori, perché è una parte di te quella che perdi, perdi una vita potenziale. Non sono neppure mai stata incinta e posso solo immaginare il tuo dolore Anna, però lo capisco. Capisco il vuoto e la solitudine e l'imbarazzo di fronte a una famiglia con figli.
RispondiEliminaTi abbraccio forte, come sempre le tue parole sono bellissime e commoventi.
Goditi il viaggio a Londra, salutala per me che la amo tanto :)
Un bacio grandissssimo :D
<3
EliminaIn quell'articolo, ci sono parole che graffiano. Il dolore è, anche questa volta, tangibile, ma ovattato da una profonda consapevolezza.
RispondiEliminaGoditi la bellezza delle piccole cose e Londra, cara!! Che questo viaggio sia un balsamo momentaneo per la tua anima.
Proud of you
RispondiEliminaChe dire, certe cose pungono l'anima come aghi, ma in qualche modo sentire pungere rende più vivi e forti...non so se riesco a spiegarmi.
RispondiEliminaTi auguro una splendida permanenza a Londra!
Quell'articolo tosto: il dolore è dolore, graffia e basta anche se non si vivono le stesse esperienze è quello che urla e che accomuna gli esseri umani. Vedo le foto di Londra e le guardo con affetto
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