Povero embrione, traumatizzato e sopravvissuto ad uno scongelamento senza cuore, che vedeva suo fratello non farcela, rimasto solo a lottare. "E' una blastocisti di grado A ben sviluppata, con ottime possibilità" disse il bel biologo appena entrati nella stanzetta senza finestre che noi già ben conoscevamo.
Di quei momenti ricordo il freddo.
Il bianco delle pareti.
I miei piedi gelati dentro quelle scarpe di carta.
Ricordo il ricordo ancora vivo della speranza di pochi mesi prima, durante quel bellissimo post transfer.
E poi ricordo i mantra recitati sottovoce a occhi chiusi con le gambe incrociate su quel lettino con le rotelle.
E il cuore che batteva forte, all'impazzata, e quell'istante in cui si è fermato, quando ci hanno detto che il fratello non era sopravvissuto.
E poi, quella linea sottile di certezza che non sarebbe andata bene.
Trecentosessantacinque giorni fa non avrei avuto nemmeno il tempo di piangere quell'ennesimo fallimento del mio corpo, della mia storia, della mia strada segnata.
Avrei passato i successivi dieci giorni persa tra beta in salita e poi subito in discesa e indagini nuove, nuove visite, nuove paure, nuovi dottori, nuovi pareri.
Avrei chiuso tutto in una busta, convertendo il nuovo in un pacchetto di indagini mancanti, avrei passato giornate a capire dove andare, cosa fare, come muovermi.
Tutto questo senza respirare.
Senza riprendere fiato mai.
Convinta che il fare, l'agire, mi avrebbe portato lontano dal dolore.
Poi la morte, quella vera, ha bussato a casa nostra.
Quella mattina, pensando si potesse trattare di un falso allarme, nella corsa disperata verso casa dei miei suoceri, ho portato con me quella busta con le analisi da fare. Dovevo farle quel giorno, avrei solo rimandato di qualche ora.
Non ho più aperto quella busta per quasi trecentosessantacinque giorni.
Ho chiuso lì dentro tutto quello che fino a quel momento avevo rifiutato di vivere.
Il dolore mi ha travolto.
Sono caduta in ginocchio, ho sentito strozzarsi voce e lacrime nella gola e ho accettato, lentamente, profondamente.
Quella busta era sigillata, come il mio cuore.
L'ho riaperta dieci giorni fa.
Ora va bene.
Ho detto addio ai miei figli, li ho lasciati andare.
Ho avuto bisogno di tutti questi giorni per farlo, tutti questi trecentosessantacinque intensi giorni, che oggi si sono annullati, come non li avessi mai vissuti.
Il mare è calmo ora, lo raccontavo oggi, sono aggrappata ad un relitto, la mia imbarcazione è distrutta dopo la tempesta, ma sono viva.
Viva.
La carne degli angeli
Un punto è l'embrione
un secolo di vita
che ascolta l'universo
la memoria del mondo
fin dalla creazione.
L'uomo che nascerà
è un'eco del Signore
e sente palpitare in sé
tutte le stelle.
Alda Merini
Alda aveva le parole per tutto, per questo la adoro.
RispondiEliminaAnna, lascia andare questi ricordi. Fa che siano loro a stare sulla barca ormai distrutta, tu sei mare, sei cielo infinito.
Io ti abbraccio.
Ma come fai a farmi sempre sorridere tu?
Eliminacara Anna, non trovo parole giuste. Ti dico solo che "ti voglio bene", nel senso totale del termine. voglio il tuoi bene, che tu stia bene... i relitti continueranno sempre a galleggiare nel tuo mare, ma spero veramente che arrivino a nuove splendide navi su cui salpare, e che queste siano finalmente cariche di lacrime di gioia.
RispondiEliminaUn grandissimo abbraccio
Queste tue parole invece a me scaldano il cuore.
EliminaÈ difficile sai, avere il coraggio nella vita reale di andare da una persona e dirle "ti voglio bene". Basterebbe così poco alla fine per mettere a tacere incomprensioni e paure. Invece anche io non lo faccio mai. E a volte quel freddo fa così male.
Grazie Valeria
Io non so quali parole usare, quindi ti abbraccio
RispondiEliminaAnna,
RispondiElimina365 giorni delle nostre vite,
365 giorni della nostra Vita.
Grazie grande navigatrice, dal più piccolo e ultimo marinaio della nostra ciurma...
considerando che non so nuotare, forse sono proprio i nostri figli che mi tengono a galla... ;-)
EliminaAnnina ti lascio il mio abbraccio e la certezza che la tua debolezza è la tua forza...anche di nuotate tra i relitti e arrivare a riva. Un bacio grande. Ele
RispondiEliminace la farò. :)
EliminaIo leggo ogni tuo post e ogni volta mi riempio di orgoglio per donne come te, capaci di avere la forza di rialzarsi sempre, nonostante tutto. Non credo di aver mai commentato perché il timore di sbagliare le parole è tanto, come i miei sensi colpa nell'avercela fatta senza nemmeno lottare. Ammiro la tua forza e credimi che pagherei tutto l'oro del mondo per poterti dare anche solo una punta della mia felicità di madre. Ti abbraccio forte!
RispondiEliminaGiada, mica ci si può sentire in colpa per essere diventate madri in poco tempo, questa è la normalità. La natura dovrebbe funzionare proprio così. Il fatto che ci siano eccezioni come me, che alzano la voce, gridando, non vuol dire che le altre donne debbano lottare per avere un figlio. Ciò che a me piacerebbe è che ogni madre e padre affrontasse con consapevolezza il concepimento del proprio figlio, di questo spesso parlo.
EliminaHo compreso perfettamente le tue parole così delicate e la tua presenza, così gentile, mi riempie il cuore. Grazie.
Ricordo quei giorni. Dopo la tempesta dovrebbe sempre tornare il sereno. E sopravvivere a certe tempeste fa sperare che ci siano, ad aspettare; nuovi lidi.
RispondiEliminaRaffaella
Lasciar andare è difficilissimo.
RispondiEliminaLasciar andare significa chiudere gli occhi e allargare le dita delle mani, senza riaprire gli occhi.
Lasciar andare credo sia la chiave per riuscire a navigare fin oltre la tempesta, verso il mare calmo.
Ti abbraccio
Tra 365 giorni spero anche io di poter dire addio al mio bambino, di lasciarlo andare.
RispondiEliminaSpero che questo oceano in tempesta, trovi pace. Nel frattempo, io imparerò a nuotare, per non affogare.
Come te e con te.