martedì 8 febbraio 2011

STORIA DI UN CREDENTE




Sono una donna di 37 anni. Li compirò tra 2 mesi, tanto vale abituarsi e cominciare a dirsi che ne ho davvero trentasette.
Ho fatto uno sbaglio nella mia vita: pensare che la mia laurea potesse servire a garantire il mio sostentamento: non ho mai pensato al mio futuro, mi è sempre bastato pensare solo al presente. Non aspiravo a tanto, e forse questo è il mio più grande sbaglio.
Sono una moglie anche, da tre anni. E mio marito è un altro che ha sbagliato nella vita, si è laureato pure lui.
Abbiamo creduto che qualcuno si doveva pur prendere la briga di portare avanti le cose, e dunque, ci siamo impegnati e abbiamo combattuto fino ad oggi, e abbiamo creduto che le nostre menti potessero viaggiare e lavorare da sole, svolgendo la libera professione che non ci ha reso schiavi ma ci ha reso comunque poveri. Eppure, non mi sono mai veramente pentita di questa scelta. Fino a quando non abbiamo capito che i figli stanno tardando ad arrivare, che probabilmente non c’è qualcosa che non va, ma che semplicemente ci siamo mossi tardi, e che il tempo perso a cercare di riuscire a diventare quello che non saremo mai, quello no, non lo recupereremo più.
E ora siamo per strada, e, se pur metaforicamente parlando ora, lo saremo fisicamente presto nei prossimi mesi, se la situazione non cambierà.

C’è un modo di svolgere il lavoro qui in Italia, nel nostro amato paese che non abbiamo mai voluto abbandonare, che accomuna tutte le realtà, le piccole e le grandi e che ci fa riconoscere tra tanti nel mondo.
C’è una piccolissima società fatta di tre, quattro persone. Queste poche persone lavorano per una Grande Società (la GS si può dire vero? Tanto il supermarket non esiste più) e scavano buchi nella Capitale. Scavano buchi? Si. Lo fanno.
Un giorno si sente la notizia che nella Capitale si sta per scavare un lungo lungo buco, il più lungo d’Europa. Pensa un po’. E allora che fanno queste poche persone? Pensano che ci vogliono provare pure loro, pensano che ce la possono fare. Pensano e fanno. O meglio, fanno grazie al lungo abbraccio della GS che li tiene d’occhio da lontano. E così che nasce la piccolissima società (la ps, che non sta per pronto soccorso). La GS e la ps vanno a braccetto e insieme entrano a far parte del Consorzio dei Piccoli e dei Grandi (il CPG, chiaro no?).
Bene.
E che fa uno degli omini più furbi e in gamba della ps? Si inventa una cosa. Pensa: “ma questo lungo lungo buco qualcuno lo vorrà pur guardare dentro come è fatto no? A qualcuno interesserà sapere cosa succede nel buco 24 ore su 24. E in effetti, a qualcuno interessa (in verità l’interesse viene sollecitato dalla GS) e l’omino furbino chiama questa cosa MONITORAGGIO. E che è? Diranno in molti. MONITORIAMO. NOI MONITORIAMO. Bè, acclamazione e plausi. Nel frattempo la ps cresce, all’inizio piano piano, poi velocemente.
Era l’agosto del 2006 quando mio marito si imbatte in questo omino furbino della ps e affascinato dai racconti e dal futuro, entra a far parte di questa realtà. Che fa lui? Rinuncia alla libera professione, si vabbè ha la partita Iva aperta, ma poi quella magari la si chiude quando verrà assunto dalla ps, oppure no, magari serve a coltivare il sogno della libera professione che in quel momento viene chiuso in un cassetto.
In realtà, anche il lavoro nella ps si trasforma ben presto in un sogno. La notizia del MONITORAGGIO DEL BUCO DELLA CAPITALE, entusiasma tutti, accende gli animi, e fa credere che forse, da una piccolissima realtà, fatta di giovani laureati, e solo laureati, che credono in quello che fanno e non abbandonano il campo se non hanno la tredicesima, lo stipendio alto e la liquidazione, forse si può cavare più di un ragno dal buco (che in questo caso ci sta tutto). La ps diventa di circa venti persone. Alcune non ci credono e abbandonano il campo. L’omino chiama a raccolta il gruppo e fa loro un discorso: “dovete credere a questo progetto perché sarete ricompensati”. E chi ha il coraggio di dire che la partita iva è ancora aperta? Che in cantiere senza sicurezza forse non è il caso, che forse per 1000 euro si meriterebbero di mangiare in mensa e non doversi comprare un panino per strada…e chi ce l’ha questo coraggio. Ci si crede e si va avanti.

Si va avanti. La ps cresce ancora. Vengono raccolte altre persone. Altre partite iva. Strano? No. I vecchi, quelli che c’hanno creduto fino in fondo, ottengono un contratto a tempo indeterminato. A mio marito no. A lui viene detto che pensavano di fargli un favore, perché è un bravo professionista e che deve coltivare questa capacità anche fuori della ps. Di non preoccuparsi perché verrà trattato come gli altri, che non deve pensare che è diverso.
Lui non dice che con un contratto si ottiene il mutuo in banca, si pagano le rate, si ha la tredicesima e (attenzione!) il trattamento di fine rapporto. Io mi arrabbio ma finisce lì. Ci dobbiamo credere.
Ad un certo punto a qualcuno viene il dubbio che forse, dico forse, l’offerta lavorativa della ps andrebbe differenziata, che il grande buco prima o poi finirà e che l’unica cosa per cui si è lavorato fino a quel momento è il monitoraggio, viene in mente che forse, si dovrebbe organizzare una forza manageriale in grado di strutturare la ps, come si fa per le aziende. Ad un certo punto, qualche vecchio credente comincia a chiedersi come mai il suo lavoro è uguale ad un neo assunto e come mai quel salario non cresce. Mai.
Ma si va ancora avanti. La GS chiama e la ps risponde. Il Consorzio vuole, esige, bisogna andare avanti. Il grande BUCO chiama.
E si va avanti.
Fino ad oggi.
E’ appena passato il natale. Non ci sono state ferie perché il Consorzio deve far vedere alla gente che i cantieri sono sempre aperti. La ps obbedisce, i laureati pure. Niente ferie, niente famiglia, niente vacanze.
Finchè un bel giorno di gennaio la ps manda una mail ai laureati. – la GS è in crisi, il Consorzio pure, il buco però chiama e la capitale pure, dunque, IL MONITORAGGIO DEL BUCO non si fa più, perché in fondo diciamocelo, a nessuno è mai interessato davvero cosa succede nel buco, e quindi bisogna tagliare perché la GRANDE MAMMA non ha più da mangiare per i suoi piccolini, e la ps è ancora piccolina (che che se ne dica) e quindi va sacrificata. Ma la MAMMA è grande e buona, e dice alla ps che se resisterà fino a giugno con la metà delle persone, qualche briciola la concederà ancora.
Questo è più o meno il testo della mail condito di parole che in gergo tecnico significano: fregati.
E indovinate un po’?
Il marito laureato con partita iva e credente da 5 lunghi anni, da marzo è senza papà e senza MAMMA. Gli dicono che ci dispiace tanto, e allora lui dice loro che ci credeva. Ma come. Cosa. E giù le lacrime di vetro dell’omino furbino (che nel frattempo è diventato un omone ciccione), però siamo sicuri che la tua professionalità, la tua serietà e bla e bla.
E il TFR? E il preavviso? E, udite udite, la possibilità di chiedere l’assegno di disoccupazione (per andare avanti finchè non si trova altro si intende)?
Si sa. Noi liberi professionisti-laureati a partita iva non le vogliamo queste cose. Fanno parte di un mondo lontano, per cui lottavano i nostri padri, per cui i nostri figli non ci vedranno morire.
Noi no. E si parla di meritocrazia da qualche parte.
E la ps? Morirà. Me lo auguro. Perché tanto il monitoraggio non serve per un buco così grande, o perché si è mangiato talmente tanto prima che ora serve una dieta forzata, di quelle che alimentano una persona anoressica. E l’omino furbino ciccione? Tornerà da mamma GS, farà un po’ di coccoline per ripartire poi di nuovo con un altro buco, altri mariti laureati, altri sogni da realizzare.

Perché in fondo poi, è una storia a lieto fine, no?

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