mercoledì 30 aprile 2014

Oggi, di 365 giorni fa

Trecentosessantacinque giorni fa Ercolino scivolava dentro di me, lo seguivo nel suo percorso innaturale, confuso e stentato attraverso un monitor e per lui non versavo lacrime agli angoli dei miei occhi, perchè già sapevo, già conoscevo cosa sarebbe accaduto tra noi, di lì a quel giorno.
Povero embrione, traumatizzato e sopravvissuto ad uno scongelamento senza cuore, che vedeva suo fratello non farcela,  rimasto solo a lottare. "E' una blastocisti di grado A ben sviluppata, con ottime possibilità" disse il bel biologo appena entrati nella stanzetta senza finestre che noi già ben conoscevamo.
Di quei momenti ricordo il freddo.
Il bianco delle pareti.
I miei piedi gelati dentro quelle scarpe di carta.
Ricordo il ricordo ancora vivo della speranza di pochi mesi prima, durante quel bellissimo post transfer.
E poi ricordo i mantra recitati sottovoce a occhi chiusi con le gambe incrociate su quel lettino con le rotelle.
E il cuore che batteva forte, all'impazzata, e quell'istante in cui si è fermato, quando ci hanno detto che il fratello non era sopravvissuto.

E poi, quella linea sottile di certezza che non sarebbe andata bene.

Trecentosessantacinque giorni fa non avrei avuto nemmeno il tempo di piangere quell'ennesimo fallimento del mio corpo, della mia storia, della mia strada segnata.
Avrei passato i successivi dieci giorni persa tra beta in salita e poi subito in discesa e indagini nuove, nuove visite, nuove paure, nuovi dottori, nuovi pareri.
Avrei chiuso tutto in una busta, convertendo il nuovo in un pacchetto di indagini mancanti, avrei passato giornate a capire dove andare, cosa fare, come muovermi.
Tutto questo senza respirare.
Senza riprendere fiato mai.
Convinta che il fare, l'agire, mi avrebbe portato lontano dal dolore.

Poi la morte, quella vera, ha bussato a casa nostra.
Quella mattina, pensando si potesse trattare di un falso allarme, nella corsa disperata verso casa dei miei suoceri, ho portato con me quella busta con le analisi da fare. Dovevo farle quel giorno, avrei solo rimandato di qualche ora.

Non ho più aperto quella busta per quasi trecentosessantacinque giorni.
Ho chiuso lì dentro tutto quello che fino a quel momento avevo rifiutato di vivere.
Il dolore mi ha travolto.
Sono caduta in ginocchio, ho sentito strozzarsi voce e lacrime nella gola e ho accettato, lentamente, profondamente.

Quella busta era sigillata, come il mio cuore.
L'ho riaperta dieci giorni fa.
Ora va bene.
Ho detto addio ai miei figli, li ho lasciati andare.
Ho avuto bisogno di tutti questi giorni per farlo, tutti questi trecentosessantacinque intensi giorni, che oggi si sono annullati, come non li avessi mai vissuti.
Il mare è calmo ora, lo raccontavo oggi, sono aggrappata ad un relitto, la mia imbarcazione è distrutta dopo la tempesta, ma sono viva.
Viva.


La carne degli angeli


Un punto è l'embrione
un secolo di vita
che ascolta l'universo
la memoria del mondo
fin dalla creazione.
L'uomo che nascerà
è un'eco del Signore
e sente palpitare in sé
tutte le stelle.


Alda Merini


lunedì 28 aprile 2014

Speranza

"Stato d’animo di attesa fiduciosa nel compimento imminente o futuro di un evento,
nel raggiungimento di uno scopo"











sabato 19 aprile 2014

Gestione del dolore

"La mamma sta bene. Lo sa anche Picasso che è una bugia. Che le mamme intrise di dolore fanno paura. E non c'è rimedio che lenisca, finchè non riescono a uscire loro stesse dall'abisso. E non c'è modo di affrettarne il ritorno alla vita. Ma almeno abbiate compassione. E rispetto. "
Ciao Lapo Onlus


Sono giorni che mi frullano in testa tante parole, sarà che non sono più immune al dolore anche se non mi riguarda più direttamente, sarà che non mi è più possibile passare oltre, sarà che il dolore mi gira intorno, poi mi scova, ne annuso la presenza da lontano, e non sbaglio mai. Non sbaglio più.
Il dolore va attraversato, ci si convive insieme, prende forma e poi spazio nel cuore, con il tempo, piano piano, e poi si impara a gestirlo. Ci vuole tempo ed esperienza, ma una volta provato non si è più immune, ormai fa parte di te, e non si guarisce. Ma non è una cosa negativa questa. Se sei ammalato di dolore sviluppi una sensibilità verso gli altri e riguardo i fatti che ti girano intorno, che, seppur non ti lasciano indifferente e fanno sempre lavorare cuore e testa, io considero comunque un dono.
Non è facile ok. Ma non si può non considerare il fatto che l'apertura al mondo ti eleva ad un gradino dal quale osservi la vita con un punto di vista che mai avevi raggiunto prima.
Gestire il dolore è altro affare e su quello ci si sta lavorando.
Ho chiesto silenzio durante il massimo dolore perchè mi sono sentita smarrita, non sapevo cosa fare, non sapevo gestirmi, tanto meno riuscivo a capire come mitigare quell'ondata che mi investiva con violenza e mi lasciava senza fiato. Poi, dopo lo tsunami, quando tutto intorno a me era deserto e desolazione, ho teso le mani per rialzarmi e spesso, non ho trovato nessuno a tirarmi su.
Le parole che mi sono state rivolte in alcuni casi sono state proprio quelle riguardanti l'incapacità a saper gestire il mio dolore, quella situazione. E in effetti ho capito, ho giustificato.
A volte ho suggerito io, a volte ho dichiarato che lo capivo il perchè di certi allontanamenti che secondo me derivavano dal non saper gestire una situazione come la mia, eppure mi è stato risposto che non era affatto così.
Diffidare da tale sicurezza, quelle sono le persone che pretendono un comportamento sempre e comunque costante da te. Nonostante lo tsunami.

Non affronto in questa sede il dolore a seguito della perdita di una persona cara, parliamo di quello di cui normalmente scrivo qui. Parliamo dell'aborto finito in un raschiamento, l'ultimo in ordine di tempo.
 Di tutte le interruzioni di gravidanza vissute, nonostante l'aver rischiato la vita con l'extrauterina (forse perchè quella volta viveva in me un certo stato di incoscienza), ecco nonostante ciò,  dicevo, la più dolorosa in assoluto è stata la perdita fisica dopo il raschiamento. Sarà che un raschiamento dopo una gravidanza ottenuta con pma è davvero difficile da affrontare fisicamente, dopo mesi di punture, letto, medicine, esami, vane ecografie. Sarà che la pma è tanta roba, tanto accumulo di speranza, tante situazioni, belle, brutte, tanto tempo prima e tanto tempo dopo, tempo sottile, che si diluisce nel tuo sangue, diventa dialogo continuo tra te e tuo figlio.

La mia gravidanza non è andata bene dall'inizio: di quel periodo ricordo il letto, il computer, la tv, i libri e le punture. Poi ricordo perfettamente la sua presenza dentro di me e il mio corpo che cambiava, e un sottile, costante, flebile dolore, che mi ricordava che le cose no, non stavano andando per niente bene. Tutto teso alla vita, mica alla morte. Tutto un lavoro proteso verso la luce, mica verso il buio.
Poi ti abitui anche a questo.
Però,  quando tuo figlio smette di vivere, il tuo corpo mica lo sa e pensa che deve continuare a lavorare, e il raschiamento, orrendo termine per descrivere ciò che avviene realmente, porta te stessa e il tuo corpo alla pazzia. Improvvisamente "toglie" ciò per cui vivevi. Improvvisamente, il buio, pur volendo la luce.
Calo ormonale, lo definisce la medicina. 
Nel giro di poche ore arriva lo tsunami e tu, per non morire, non puoi fare altro che prendere fiato e reggere l'apnea, stringendoti ad una roccia (il tuo uomo) e aspettare che finisca. Perchè non sai che altro fare per non morire, pur volendolo in quel momento, pur avendo l'impulso di lasciare la presa e lasciarti andare.

Ecco, io credo che per chiunque viva questo (o un altro tipo di dolore così sconvolgente) si debba il rispetto, quel rispetto che concede la giustificazione di un comportamento, agli occhi degli altri, irrazionale, senza spiegazioni.
Il rispetto si impara, anche se non si è in grado, e non si pretende da chi prova quel dolore. 
Ricordo i periodi intorno ai miei lutti come i più difficili da gestire con gli altri, ricordo la mia inadeguatezza e il mio senso di colpa per il mio rendere nuda la mia sofferenza, parlandone, scrivendone, allontanandomi da chi non comprendeva come fosse innaturale per me in quel momento accettare le gravidanze nate parallele alla mia. Non ero arrabbiata con nessuno, non ero gelosa di nessun altra pancia, mi chiedevo solo "perchè mio figlio no". Perchè mio figlio se ne era andato. E ogni passaggio, ogni conquista altrui, ogni ecografia, battito di cuore, movimento fetale era per me la tomba della speranza che avevo cercato di tenere accesa per tanto tempo. Mi sono giudicata. Mi sono sentita come una brutta persona. Ho cercato di spiegare in lacrime. Mi sono costretta nel cercare di comprendere chi mi era intorno. L'ho fatto male. Ho chiesto maldestramente scusa. Non è servito.
Ci si trincea dietro le proprie convinzioni per non attraversare quel dolore, per non volerlo gestire.

Con il tempo ho smesso di chiedere di essere compresa. 
Ho imparato a volermi più bene, nonostante il vuoto intorno, sapendo che non era affatto dentro di me.
Ma non riuscirò mai a dimenticare quella non gestione del dolore che mi ha spogliato della mia identità di madre, che non ha riconosciuto l'esistenza di mio figlio, che non ha rispettato quella mia sorda sofferenza di genitore mancato. 
Con il tempo ho avvertito come un sottile odio verso di me e quello che rappresentavo, come fossi diventata lo specchio di ciò che non si è riuscito a risolvere.
Pesa su di me tutto questo. 
Ogni giorno.
A volte compaiono parole e gesti e sguardi, che mi spezzano in due e mi costringono a notti in bianco affogate nelle lacrime.
E anche se non sono arrabbiata ora, perchè la rabbia non costruisce, pur essendo a volte necessaria ma solo se circoscritta, io non giustifico più.

"... Ma almeno abbiate compassione. E rispetto. "




Tutti gli uomini sanno che non esistono consigli di conforto al dolore, eppure, di fronte al dolore di altri si cerca di dire qualcosa, consolare, se non altro per sussurrare che…. esiste qualcuno lì, oltre al dolore. Sussurrare qualcosa di banale, per dire di più: “Io sono con te”.

Stephen Littleword, Nulla è per caso




(*)queste parole sono per te.


venerdì 11 aprile 2014

Oggi, io, noi.


Ero già  mamma appena nata quando quella mattina, per la prima volta, mi sono accorta che uno di voi cresceva dentro di me.
Ero già  mamma mentre costruivo il nostro futuro, preparavo la culla del nostro presente, raccoglievo sorrisi e speranze.
Ero già la vostra mamma, quando l'ultimo di voi se ne è andato, lasciandomi in un vuoto pieno di lacrime.

Vi ho protetti, imprigionati nel mio cuore e poi nel mio corpo.
Vi ho difesi, urlando il mio dolore a chi non vi ha riconosciuto come vita.
Vi ho amati di un amore lungo, che veniva da lontano, che riconoscevo come animale.
Un amore di madre che incontra se stessa attraverso di voi.

Oggi le cose non sarebbero dovute essere così.
Oggi tu, avresti preso per mano tuo fratello di tre anni e mezzo e gli avresti chiesto di insegnarti a disegnare un cuore per me.
Poi incerta sui tuoi passi appena imparati, saresti venuta da me per augurarmi buon compleanno, senza riuscire a scandire bene le parole, ed io, con in braccio tuo fratello più piccolino, mi sarei chinata su di te per baciare la tua fronte e sistemare i tuoi ricci disordinati.
Poi oggi no, non avrei lavorato, oggi saremmo andati in un prato con papà, Hope ed Ema  e ci saremmo sdraiati in mezzo ai fiori a guardare le nuvole passare di corsa, ed io vi avrei raccontato quanto lunga è stata la strada prima di incontrarvi, io che già vi conoscevo da quando ero bambina.
Oggi, avrei sorriso di fronte allo specchio, sentendomi ancora ragazzina e la mia pancia vuota, non mi avrebbe ricordato chi ero a quarant'anni.

Le cose non sarebbero dovute andare così.
A riconoscersi in fondo ad un tunnel senza luce, con pezzi mancanti di me stessa che non torneranno più, annaspando nel buio per non cadere, fiera, nonostante tutto, di un dolore che vi tiene lontani da noi, ancora.
Oggi, ho le braccia protese per non lasciarvi andare, tutti noi insieme che ci teniamo per mano, voi, noi, parti di me nel mondo, le radici, la storia che si mischia con il futuro.
Io, quarant'anni e una vita a cercare  le vostre mani, per tenerle strette e non lasciarle più andare.
Posso vivere così, perchè in fondo a me stessa mi riconosco e la vostra vita dentro di me si è espansa, come un liquido bianco, come ogni volta che ho scoperto di aspettarvi. Come un latte che entrava nelle mie vene al posto del sangue, era la vostra vita che si formava in me e il mio corpo che si apriva, lasciandovi entrare.

Per questo ricordo e questa certezza vivo e non mi stanco di cercarvi, anche oggi, che le cose non sarebbero dovute andare così.

Mamma.







postilla:
abbiamo accolto con gioia la Sentenza della Corte Costituzionale che cancella il divieto di fecondazione eterologa. Mio marito, appresa la notizia, è uscito in giardino, sotto il salice di Nevischietto e ha pianto, ha pianto lacrime di liberazione e di commozione. Io mi sono ubriacata ieri sera e ho gridato (e ancora oggi lo faccio) che la maternità non è un diritto, no, ma l'infertilità e l'abortività sono delle malattie e se la Scienza può permettermi di guarire, questo è un diritto che non deve essere calpestato.
Non sapremo cosa faremo, cosa accadrà nel nostro futuro, ho fatto delle analisi ormonali che mi dicono che non è poi per niente male il mio livello di fertilità, ho fatto un controllo tiroideo per aggiustare il tiro del mio tsh che è, ad un certo punto impazzito, mi sono regalata la mia prima mammografia, per gridare al mondo che ho delle tette giovani belle e sane, sto indagando per una nuova serie di indagini da fare,  ho curato me stessa, dandomi spazio, lasciando indietro molto, tutto quello che mi faceva male. Ho chiuso le porte a molte persone che non avranno mai più spazio nel mio cuore e oggi non festeggeranno con me nulla. Oggi avrò il telefono spento, sarò in un posto lontano da casa e con gli occhi chiusi godrò dei benefici di un idromassaggio e sauna e poi di una cena con l'uomo che mi cammina accanto su questa strada, e che è tutto ora per me. Poi domenica faremo un pranzo al lago, luogo teatro di molte vicende della mia vita, con tutta la mia famiglia e chiederò dei regali. Pezzetti di speranza e il riconoscimento che voi, figli miei, siete stati e siete qui, ogni giorno della mia vita, per accompagnarmi per sempre e non lasciarmi mai più sola.
Le cose non dovevano andare così, ma non potevamo prevederlo.
Cito la mamma di una mia cara amica, che da un mese è venuta a mancare:
"L'amore della madre è sempre un amore giovane e immenso che si nutre di se stesso".

Brindo a voi, figli miei.










venerdì 4 aprile 2014

Queste cose qui

Questa mattina si è concluso il mio ennesimo tentativo mirato di gravidanza. Un dolore sordo e lancinante a sinistra, dove la tuba non c'è più, mi ha svegliato, uccidendo con tre giorni di anticipo le mie vane (?) speranze.
E così, visto l'imminente arrivo dell'anniversario della mia nascita, siamo entrate ufficialmente nelle mamme over40.
Aggiungerei, mamme non su questa terra over 40, in attesa di diventarlo.
Mi sono concessa mezz'ora di pianto, tra il caffè e le telefonate di lavoro e un moment rosa.
Poi mi sono auto prescritta delle analisi ormonali, ho alzato le sedie sul tavolo e ho lustrato il pavimento. Poi sono uscita per lavoro e la giornata piena ha fatto il resto.
Il resto.
Il resto non lo racconto mai qui, perché non è affar di mamma, e perché io non sono solo dolore, lacrime e passato. Sono molto di questo, tanto, e poi sono anche fotogrammi veloci e immagini che si fissano nel cuore e mi fanno sorridere e sentire sempre più profondamente che, alla fine, andrà tutto bene.


Margherite del giardino che mia nipote mi ha regalato.
Nonostante la poca luce del bagno, sono lì vive e allegre da una settimana.

Certe sere in compagnia, grappa, vino e fondente 85% : è come indossare 
Gli occhiali della felicità.


Lavorare da casa ha i suoi grandi vantaggi. Il tea time ha un altro gusto.

Dopo un'ecografia andata bene, villa Pamphili è un paradiso senza fine.

Tre giorni fa la primavera stava per scoppiare. Ora è già nata.

Lago di Vico, domenica pomeriggio. Silenzio e terra e cielo che si toccano.
Respiro coltivando benessere.

Ricci domati, dopo quarant'anni.










P.s
Info tecnica.
Questo blog non accoglie più i vostri commenti anonimi. Chi vuole commentare può farlo loggandosi con blogspot o google. 
Non ho mai censurato nulla qui, ma non ho voglia di fare la maestrina con chi non ha il coraggio di farsi guardare in faccia quando aggiunge cattiverie gratuite qua è là. Fatti un giro da un'altra parte, questa è roba mia.